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Home - Approfondimenti - Interviste - Di Maulo, la vittoria della Fismic è anche il segnale della crisi del sindacalismo confederale

Di Maulo, la vittoria della Fismic è anche il segnale della crisi del sindacalismo confederale

di Tommaso Nutarelli
1 Giugno 2018
in Interviste

Le cifre parlano di 54 Rsa elette su un totale di 166 e di 3500 voti su un totale di 12mila. Sono questi i numeri che hanno portato la Fismic ad essere il primo sindacato negli stabilimenti torinesi di Fca. Uno scenario che non si vedeva dagli anni ’50-’60, quando la Fismic – allora Sida – era la prima organizzazione di rappresentanza in Fiat. Il Diario ha intervistato il segretario generale Roberto di Maulo per analizzare i motivi di questa performance.

Di Maulo, la Fismic è il primo sindacato negli stabilimenti torinesi di Fca. Un risultato che non accadeva dagli anni ’50 –‘60.

È vero. La Fismic, che allora si chiamava Sida, vanta una lunga storia di rappresentanza all’interno degli stabilimenti torinesi della ex Fiat. Una presenza molto forte, con una maggioranza assoluta, tra gli anni ’50 e ’60. Una posizione che è stata poi ricoperta dalla Uilm e, successivamente, dalla Flm fino alla sua rottura dopo l’accordo sulla scala mobile nel febbraio dell’84. La maggioranza relativa è passata poi alla Fiom, e dall’inizio del 2004 la Fismic ha ricominciato ad acquisire consensi durante le elezioni delle Rsu. Oggi ci presentiamo nuovamente come primo sindacato, riconoscendo anche il buon risultato dell’Aqcf, che però è un’associazione professionale.
 
Qual è la sua lettura della vittoria della Fismic?

Il primo elemento, anche di natura politica, è la crisi del sindacato confederale tradizionale. Questo traspare non solo dalla nostra ottima performance, ma anche da quella dell’associazione capi e quadri. Un mosaico che dovrebbe far scattare un campanello di allarme sulla capacità di far presa da parte del sindacalismo confederale. Emblematico è il nostro ottimo risultato a Grugliasco, storica roccaforte della Fiom.

E secondo lei a cosa è dovuta questa crisi?  

Dobbiamo partire dal fatto che gli scenari e le condizioni di lavoro sono molto mutati. Nella fabbrica il lavoro richiede, rispetto al passato, uno sforzo fisico minore, l’automazione – se ha contribuito a eliminare posti di lavoro – ha anche il merito di aver sottratto la manodopera a compiti gravosi. C’è dunque un maggior coinvolgimento, anche degli stessi operai nelle decisioni aziendali. Questo dinamismo, forse, richiede sindacati e associazioni più agili, con meno vincoli alle spalle, come la Fismic e l’Aqcf, molto più capaci di cogliere i cambiamenti in atto e di tradurli in azioni concrete. Le altre sigle hanno un approccio ancora troppo tradizionale al lavoro, che risente di un orizzonte ideologico regresso.

Quali i sono i punti della vostra “offerta” che i lavoratori hanno ritenuto positivi?

Una carta vincente è, senza dubbio, il sistema di servizi di welfare sviluppato attraverso la contrattazione aziendale in Fca. Un pacchetto che comprende previdenza integrativa, assistenza e tutta un’ampia gamma di benefit. Davanti a tutti questi cambiamenti propri della contrattazione decentrata c’è stata, fin da subito, una grande attenzione e apertura da parte della Fismic.

Lei inoltre ha sempre sostenuto la necessità di dare più a forme di contratti aziendali, come quello di Fca, in alternativa al modello tradizionale Ccnl-contrattazione integrativa.

Questo è un ulteriore elemento. Contratti aziendali liberamente scelti da impresa e sindacati permettono di cogliere al meglio le esigenze e le specificità di quel sito produttivo e di quell’area. Non bisogna legare gli aumenti della retribuzione all’indice dei prezzi al consumo, ma ai parametri del W.C.M. e alla produttività. Tutto questo è stata una vera e propria rivoluzione copernicana, che noi abbiamo accolto positivamente, per storia e cultura, mentre gli altri sindacati quando non sentono parlare di aumenti in paga base e di contratto nazionale si sentono disorientati. Questa nostra capacità di ripensare e rimodulare i metodi e i contenuti della contrattazione è un punto che i lavoratori apprezzano. È giusto che ci sia una base minima salariale, anche se modulata in base al costo della vita di ogni regione, ma poi occorre fare contrattazione aziendale. Il contratto nazionale dei metalmeccanici distribuisce a regime tra i 7 e i 15 euro nel quadriennio, il contratto aziendale di Fca, in media, 1.850 euro ogni anno.

Questi punti si ritrovano poi anche nel nuovo modello di relazioni industriali presentato dalla Confsal.

Certamente. Il modello della Confsal vuole portare nuovamente al centro il lavoratore inteso prima di tutto come persona, un modello che presuppone un sistema di rappresentanza che possa garantire a tutti una piena partecipazione.  

Da sindacato così radicato nel tessuto produttivo, qual è il vostro giudizio sull’attuale situazione politica?

Siamo molto preoccupati da contenuti presenti nel contratto del possibile governo Lega-M5s. Da sindacato industriale leggere che per il rilancio del Sud bisogna chiudere l’Ilva in 20/30 anni ci si accappona la pelle. Non solo manca una visione per una politica industriale, ma, probabilmente, non sanno neanche che cosa sia e come attuarla. Sono state fatte promesse irrealizzabili, l’economia italiana è ancora molto debole, e lasciarla incustodita e orfana di una strada da seguire non le fa di certo bene. Per una volta mi ritrovo in sintonia con l’analisi fatta dal Presidente Vincenzo Boccia all’Assemblea Annuale di Confindustria, dove ha ribadito l’assenza di un piano di sviluppo nella politica grillino-leghista. Il nostro paese ha bisogno di una politica industriale forte, di infrastrutture e non dello spettacolo di questi giorni.

Tommaso Nutarelli

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  • pdf Istat - Conti economici trimestrali - I trimestre 2018
Tags: AutoRappresentanzaSindacatoFismicFcaConfsalFiat
Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Giornalista de Il diario del lavoro.

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