di Giorgio Santini, segretario confederale Cisl
La partecipazione dei lavoratori nell’impresa, e con essa lo sviluppo complessivo della democrazia economica, è un tema da molto tempo al centro delle riflessioni e delle proposte della Cisl. Oggi ci troviamo di fronte ad un’occasione fondamentale, poiché la partecipazione dei lavoratori potrebbe costituire uno degli elementi qualificanti della nuova legislatura e divenire uno di quegli ambiti in cui il dialogo tra maggioranza, opposizione e parti sociali potrebbe portare al superamento di resistenze storiche e alla concretizzazione di un progetto e di una prospettiva culturale centrale nel processo di modernizzazione delle relazioni di lavoro.
A sessant’anni dalla promulgazione della nostra Carta Costituzionale dare attuazione all’art. 46 che sancisce che la Repubblica “riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende” significa incidere nel profondo nelle trasformazioni del lavoro e del capitalismo, dopo il declino della cultura e delle ideologie antagonistiche.
E’ necessario un profondo cambiamento culturale in cui la partecipazione, come sostiene Guido Baglioni, sia costituita dagli istituti e dalle pratiche con i quali le parti in gioco vanno oltre le disposizioni e le incompletezze delle leggi e dei contratti (collettivi e non) e oltrepassano “la soglia dello scambio” fra l’offerta e l’impiego del lavoro, perché riconoscono che sussistono obiettivi comuni condivisibili, in primis quello della solidità competitiva dell’impresa e quello del rispetto e della valorizzazione del lavoro. Non è possibile, quindi, limitarsi alla mera partecipazione economica promuovendo il solo salario di produttività, come sembra peraltro tuttora sostenere Confindustria, ma, per la Cisl, è necessario invece impegnarsi in un disegno completo di democrazia economica attraverso la partecipazione dei lavoratori nei consigli di sorveglianza e l’azionariato dei lavoratori nelle aziende.
Tutto ciò è complementare al negoziato sul nuovo modello contrattuale in corso tra le parti sociali: rafforzare il secondo livello di contrattazione, aziendale o territoriale, significa contemporaneamente sostenere il livello di partecipazione dei lavoratori attraverso gli strumenti di informazione, consultazione, condivisione dei processi di trasformazione dell’organizzazione del lavoro, promozione della bilateralità, anche attraverso la formazione continua, la sicurezza sul lavoro e la previdenza complementare. Anche gli interventi di sostegno alle forme retributive premiali legate alla produttività devono essere promosse nell’ottica di favorire il coinvolgimento dei lavoratori negli obiettivi di miglioramento della produttività e della competitività aziendale, legandoli al raggiungimento di obiettivi contrattati e condivisi senza confondersi con erogazioni salariali decise unilateralmente dalle imprese.
La partecipazione, infatti, non è un costo per l’impresa, poiché la valorizzazione del capitale umano è un presupposto imprescindibile per il miglioramento della qualità del lavoro e della produttività, elementi determinanti per reggere alle tensioni competitive del mercato globalizzato. Essa, inoltre, è una sfida particolarmente impegnativa per un nuovo modello di sindacato: se il sindacato condivide con le imprese l’impegno per una competizione di qualità sarà facilitato nel convincere gli stessi lavoratori, di fronte al processo di individualizzazione del lavoro e di frantumazione sociale, che le relazioni industriali sono uno strumento ancora utile e non un freno allo sviluppo e al benessere.
La partecipazione dei lavoratori alla governance dell’impresa è anche uno strumento, da realizzarsi analizzando esperienze e buone prassi europee, per promuovere un capitalismo italiano più solido e maturo di fronte ai processi di finanziarizzazione e smaterializzazione dell’impresa, che hanno prodotto, a livello nazionale, europeo e globale, meccanismi speculativi e degenerazioni rilevanti.
Abbiamo di fronte modelli ed esempi importanti: in primis la direttiva comunitaria sullo statuto della società europea, trasposta nel 2005 nel nostro Paese. Essa condiziona la costituzione legale di questo tipo di società ad un accordo sulle modalità di coinvolgimento dei lavoratori, modalità che non si limitano ai diritti di informazione e consultazione ma coinvolgono veri e propri diritti di partecipazione, come il diritto dei lavoratori di eleggere o promuovere l’elezione di membri negli organi di società, a partire dal consiglio di sorveglianza, elemento di trasparenza e democratizzazione della vita societaria.
Inoltre, la direttiva europea sui diritti di informazione e consultazione (2002/14), fondamentale per una conoscenza effettiva delle condizioni aziendali da parte dei lavoratori e di una loro maggiore consapevolezza rispetto alle esigenze dell’impresa, deve trovare piena applicazione, anche grazie ai processi di rinnovo contrattuale, ed estendersi diffusamente, così come prevede la normativa comunitaria che fissa la soglia minima di 50 dipendenti, in dimensioni di impresa non eccessivamente grandi.
Mantenendo una riflessione incentrata sul piano europeo, non possiamo poi tacere il necessario rilancio del sistema dei Cae (Comitati aziendali europei) e della revisione della direttiva, risalente al 1994, che li ha istituiti. Oggi, secondo molti osservatori, il dialogo tra lavoratori rappresentati dai sindacati e associazioni dei datori di lavoro nei Cae non è più sufficiente per adempiere appieno al ruolo regolatore. Nasce pertanto l’esigenza di rafforzare la funzione dei Cae come strumenti fondamentali in un contesto in cui il limite geografico prevalente dell’azione sociale rimane lo Stato nazionale, mentre i processi economici risultano invece sempre più globalizzati.
Tornando al nostro Paese, è poi chiaro che un rilievo fondamentale assume la riforma del nostro diritto societario, con l’introduzione del modello duale e la previsione, accanto al consiglio di gestione appunto del consiglio di sorveglianza, giusto compromesso, almeno nell’impostazione teorica, tra il modello di partecipazione forte della cogestione sul modello tedesco e strumenti che rischiano di ridurre la partecipazione a dinamica ininfluente rispetto alla trasparenza, all’indirizzo e al controllo delle imprese.
Vi è poi la partecipazione finanziaria. Noi intendiamo con essa l’azionariato come investimento collettivo finalizzato alla partecipazione alla governance. E’ uno strumento che avrebbe potuto accompagnare positivamente le privatizzazioni delle aziende statali negli anni ’90, che invece si sono rivelate prevalentemente finanziarie e speculative. Vanno previsti piani di azionariato su base negoziale collettiva e con adesione volontaria, riflettendo, pur con le cautele necessarie, rispetto al possibile ruolo dei fondi pensione.
La contrattazione territoriale e l’utilizzo degli enti bilaterali sono inoltre i puntelli su cui poter sviluppare la partecipazione non solo nelle imprese medio-grandi, ma in tutto il tessuto produttivo nazionale.
Chiediamo pertanto al Governo di impegnarsi in una politica di incentivi di sostegno alla democrazia economica sul piano fiscale. Sul piano legislativo si dovrebbe inoltre privilegiare, nell’ambito dell’assegnazione di concessioni pubbliche, le imprese che accettano la partecipazione dei dipendenti ed il sistema duale.
La partecipazione si presenta quindi come opportunità, come una scelta, che deve essere incentivata e favorita, come una risposta innovativa rispetto ai caratteri dell’efficienza, della competitività e della crescente globalizzazione dei mercati.
Superare l’antagonismo nelle nostre relazioni industriali non significa cancellare il conflitto: esso rimane uno strumento di difesa e di iniziativa dei lavoratori dipendenti. Ma con forme di partecipazione che funzionano realmente esso diventa meno consueto, normale, rituale.
La partecipazione costituisce quindi un “bene pubblico”, un capitale di fiducia che diviene cruciale negli attuali tempi di crescente incertezza. Un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro, in cui vi è un reciproco e responsabile riconoscimento tra lavoratori ed impresa ed in cui il ruolo di un sindacato consapevole può essere l’elemento decisivo per passare dalla teoria all’applicazione concreta e quotidiana di questi principi nei luoghi di lavoro.


























