di Aris Accornero – Professore emerito di Sociologia industriale all’Università di Roma – La Sapienza
Il congresso della Fiom-Cgil ha confermato che è iniziata la rimonta di una situazione così deteriorata e così pregiudicata da far temere la rottura definitiva delle relazioni fra le tre maggiori centrali sindacali italiane. Giusto due anni fa, Cisl e Uil stavano infatti per firmare il Patto per l’Italia, che chiudeva l’azione, tutto sommato comune, in difesa dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Azione che la Cgil aveva sostenuto sulle piazze, non senza forzature nei confronti di chi avrebbe voluto una lotta più cauta e manovrata. Ma già prima di quella rottura, prima del governo Berlusconi e dell’infausta alleanza fra Confindustria e centro-destra, un’altra crepa si era prodotta fra i sindacati, e su precisa volontà della Fiom, quando la Cgil non aveva firmato l’avviso comune sui contratti a termine sottoscritto da Cisl e Uil.
E’ da allora che la posizione della Fiom, già distintasi in precedenza per non aver firmato il biennio economico del contratto e, in seguito, per non avere firmato il nuovo contratto, era parsa condizionare l’intera situazione sindacale. Ora che il panorama generale è molto cambiato, il congresso di Livorno ha tolto la Fiom da una posizione orgogliosamente marginale e francamente insostenibile, contrassegnata nello specifico dalla scelta di presentarsi all’appuntamento contrattuale con tre distinte piattaforme rivendicative.
Fra i metalmeccanici la Fiom è senza alcun dubbio il primo sindacato, sia per iscritti sia per consensi, e questa forza, questa rappresentatività, dovrebbero indurre alla cautela anche quando le critiche alle sue scelte e ai suoi leader ci sembrano ragionevoli. Forza e rappresentatività sono state dimostrate in più di una occasione, anche di recente: tant’è che molti osservatori hanno attribuito alla Fiom la durezza dell’agitazione alla Fiat di Melfi, dove la Fiom non è così forte né altrettanto rappresentativa, e dove semmai era esasperata l’intera maestranza.
Forza e rappresentatività della Fiom non sono bastate a produrre i risultati contrattuali che essa voleva e che la Federmeccanica non intendeva concedere ai sindacati. Le lotte aziendali condotte per superare il contratto firmato da Cisl, Uil e Fismic hanno avuto esiti limitati e l’unica cosa chiara di questo bilancio era che le imprese avevano firmato “obtorto collo”. Questa forma di pressione non poteva convincere gli imprenditori metalmeccanici che l’accordo separato era stato un calcolo sbagliato, tanto più che un po’ tutto il padronato stava convincendosi d’aver fatto un errore ben più colossale: l’apertura di credito e lo smaccato favore concesso dalla Confindustria a Berlusconi.
Cosicché la Fiom stava altrove quando fra gli imprenditori cominciava a montare la disapprovazione e poi la rivolta contro la strategia della presidenza D’Amato, e quando fra i sindacati si diffondeva la consapevolezza che il perdurare della disunione li avrebbe resi tutti impotenti nei confronti del governo. La Fiom ha peraltro fruito di queste novità, dovute innanzitutto al fatto che dal centro-destra la Confindustria ha avuto ben poco, e Cgil-Cisl-Uil quasi niente sia facendo muro a muro sia concedendo qualcosa.
Ora la Fiom si predispone a muoversi in un quadro politico reso meno sfavorevole dal sensibile spostamento della Confindustria e dal palpabile indebolimento del centro-destra. La sua strategia, innanzitutto quella contrattuale, appare più attenta all’esigenza di ricuperare posizioni unitarie con Fim e Uilm, e meno assillata dai doveri morali della supplenza politica, che fino a ieri sembrava il movente di fondo delle scelte fatte.
Quest’ultimo tratto sembra riproporsi con il drastico rifiuto della concertazione “modello 1993” (che del resto tutti vogliono rivedere), il quale si concreta in una politica dei redditi ostentatamente salarialista. Non è detto che sia la via giusta per tornare a far crescere la fetta di reddito che va al lavoro: come ha detto Gianni Rinaldini stesso, al reddito concorrono poste e proventi che hanno poco a che fare con la retribuzione. E non è giustizia bastevole che il salario si limiti a ricuperare il carovita, poiché c’è dietro la questione distributiva: e questo lo sa anche Roberto Biglieri, direttore generale della Federmeccanica.
Significativo del congresso l’impegno su due questioni spinose e urgenti riguardanti la democrazia sindacale. Innanzitutto, la questione del mandato a trattare e a firmare, da cui riemerge da un lato l’assoluta priorità che la Fiom – come la Cgil – continua a dare ai lavoratori rispetto agli iscritti, e alle Rsu rispetto ai sindacati, e dall’altro alcune sintomatiche concessioni alla ben diversa filosofia associativa Cisl. E poi la questione dei meccanismi operativi di verifica della rappresentanza, dove pare di buon auspicio l’avvicinamento a talune proposte Fim che consentirebbero agli iscritti e ai lavoratori di seguire più da vicino le trattative. (Nuove trattative del resto non sono di là da venire: è ormai all’ordine del giorno un “round” contrattuale impegnativo.)
E’ importante che di democrazia sindacale si discuta e si decida: se poi lo fanno i metalmeccanici, dove maggiori sono state le lacerazioni, può essere che ne venga una spinta per tutti. Non possiamo continuare gli uni a deprecare e gli altri a difendere gli accordi separati. Bisogna evitarli, innanzitutto non partendo col piede sbagliato delle piattaforme separate.