Se qualcuno ancora avesse voglia di mettere in dubbio la crisi dei salari italiani, un nuovo report si aggiunge adesso ai molti già diffusi da organismi al di sopra di ogni sospetto come Ocse o Mediobanca. A elaborarlo è stata la Fondazione Di Vittorio della Cgil, che lo ha presentato oggi a Roma. I dati parlano da soli. I lavoratori dipendenti del settore privato, nel triennio 2021 al 2024, hanno perso quasi 6.400 euro lordi di potere d’acquisto. Un po’ di aiuto lo hanno dato gli sgravi fiscali e contribuitivi, considerando i quali il valore si riduce a 5.505 euro in meno. Sulla base di una retribuzione media annua lorda per il settore privato nel 2021 di 26.660 euro, scrive la FDV, la perdita è stata, per la precisione, di 6.399 euro, pari a circa duemila euro l’anno. I lavoratori pubblici, nello stesso arco di tempo, hanno scontato una perdita pari a circa 5.700 euro
La crisi finanziaria del 2008, l’emergenza Covid-19 e la crisi energetica derivante dall’aggressione russa in Ucraina hanno accentuato le problematiche salariali in Italia, unico Paese europeo in cui i salari lordi annuali a prezzi costanti, tra 1991 e 2024, sono diminuiti: -831euro, -2,4%. La Francia ha invece ‘guadagnato’ 10.866 euro (+31,9%), la Germania +12.442 euro (+32,9%), la Spagna +2.836 (+9,4%). L’andamento dell’economia c’entra fino a un certo punto. Infatti, nel periodo 2010-2024, i dati mostrano che la produttività è aumentata del 4,3%, le retribuzioni contrattuali del 20,5% e l’inflazione del 29,6%. Ma il divario tra salari e prezzi — pari a 9,1 punti percentuali — “evidenzia una significativa compressione dei salari reali e una progressiva erosione del potere d’acquisto dei lavoratori”. Inoltre, va anche considerato che nel 2024 la quota salari italiana è pari al 58,3% del PIL, nettamente al di sotto dei principali paesi Ue: con la Spagna al 62%, la Germania al 64,9% e la Francia al 66,9%. E tra il 1960 e il 2022, mentre la quota dei salari sul Pil in Italia è scesa dal 78% al 60%, quella dei profitti è salita dal 22% al 40%, come conseguenza della finanziarizzazione dell’economia.
Pesano, sui salari, anche le modalità di lavoro: la quota di lavoro standard, cioè contratti a tempo pieno e indeterminato, è scesa dal 78% del 2004 al 72% del 2024, mentre l’incidenza del lavoro non standard, che comprende contratti a termine e part-time, è aumentata dal 22% al 28%. Nel 2024, risulta che più di 5 milioni e 300 mila dipendenti (il 28,2% dei dipendenti) avevano un contratto temporaneo e/o part-time. Di questi ultimi, il 51,8% è decisamente involontario. Sono part time solo perché’ non è stato possibile ottenere un lavoro a tempo pieno.
L’Italia, tirando le somme, è dunque tra i Paesi Ocse che hanno registrato “la peggiore performance salariale reale nell’ultimo decennio”: nel primo trimestre del 2024, i salari reali risultano “ancora inferiori del 6,9% rispetto ai livelli pre-pandemia”, a fronte di andamenti più resilienti in altre economie europee. Il confronto con Francia, Germania e Spagna è infatti impietoso: dal 1991 al 2024 i salari in Italia sono diminuiti del 2,4%, pari a 831 euro, mentre in Francia sono cresciuti del +10,23% ovvero di 10.866 euro, in Germania del +13,61% pari a 12.442 euro e in Spagna del +4,06% pari a 2.836 euro.
Ai dati segue la valutazione politica: per Maurizio Landini quella che stiamo vivendo ‘’e’ una vera e propria emergenza salariale nazionale’’, che andrebbe presa molto seriamente. Aumentare i salari, prosegue il leader della Cgil, “non è solo un elemento di tutela dei lavoratori e del loro potere d’acquisto, ma in realtà̀ è anche alla base di una serie di politiche economiche e industriali necessarie per far crescere il nostro Paese, che richiede anche un intervento legislativo adeguato:” non solo salario minimo, ma anche una legge che stabilisca criteri certi per la definizione della rappresentanza.
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