Lui lo chiama “telelavoro”, da noi si dice “smart working”, ma il concetto è quello che ormai tutti sappiamo. Il dialogo tra Enrico Moretti – docente di economia del lavoro a Berkeley, già consigliere di Obama e piu recentemente membro della commissione Colao – e Tito Boeri, direttore scientifico del Festival dell’Economia di Trento, avviene a distanza, tra la California e l’Italia, nell’ambito della versione web del Festival, e affronta il tema dei temi di questi mesi. Comunque lo si voglia chiamare, il lavoro da casa, afferma Moretti, “è stato il più grande shock sul mercato del lavoro mai visto prima”, per dimensioni e portata destinato a causare cambiamenti anche nel lungo periodo. Non solo sul piano dell’occupazione, ma anche nella “geografia” delle citta, che in breve tempo potrebbero perdere quella centralità economica che hanno conquistato negli ultimi decenni. In sostanza, se il telelavoro “rescinde il nesso tra luogo del lavoro e luogo di residenza”, nel senso che l’uno e l’altro potranno collocarsi anche a moltissimi km di distanza, perché mai continuare a vivere in metropoli costose e inquinate?
“Le città americane e le grandi capitali europee sono cresciute moltissimo per reddito procapite, innovazione e dinamismo, proprio grazie alla presenza di un tessuto economico e una geografica economica rilevanti”, osserva l’economista; ma in futuro, così come sono cresciute, potrebbero rapidamente declinare. Già prima del lockdown, il 60 per cento dei lavoratori americani, secondo un sondaggio, si erano dichiarati favorevoli al lavoro da remoto; le stesse aziende, piuttosto restie all’inizio, hanno dovuto constatare che nei mesi del lockdown la produttività è cresciuta, e si è perfino allungato il tempo dedicato al lavoro rispetto a quello in ufficio. Non a caso i big della Silicon Valley, da Google, a Facebook, a Twitter, hanno annunciato una nuova organizzazione basata su almeno il 50% dei dipendenti al lavoro da casa entro il 2025. Il Ceo di Twitter, Jack Dorsey, ha affermato che chiunque tra i dipendenti scegliesse di lavorare da casa per sempre, potrà farlo.
In questo quadro di diffuso e forse eccessivo entusiasmo, Moretti ipotizza due scenari possibili: uno estremo, un secondo più moderato. Nel primo scenario si immagina che lo smart working venga confermato in maniera stabile dalla maggior parte delle aziende e applicato alla maggior parte dei dipendenti. Le grandi città vedrebbero quindi un esodo di lavoratori verso localita’ più piccole e meno costose, con una qualità della vita migliore. “Se questa ipotesi si dovesse avverare – spiega Moretti – una parte significativa di famiglie potrebbe lasciare le grandi città. Con un ulteriore vantaggio: il salario sarebbe in ogni caso quello delle metropoli”. In altre parole: un dipendente di una azienda milanese potrebbe senza problemi trasferirsi a vivere a Palermo, unendo il vantaggio di un lavoro a Milano, con annesso stipendio “nordico”, a un costo della vita “meridionale”.
La conseguenza sarebbe però il crollo degli abitanti nelle grandi città, con ripercussioni a catena su tutta l’economia urbana: dalla discesa del prezzo delle case e degli uffici, alla riduzione di tutta una serie di servizi che svolgono il ruolo di indotto, dai bar ai ristoranti, trasporti, negozi, ecc. Insomma, a conti fatti, non sarebbe un grande affare. Senza contare, avverte Moretti, che l’isolamento, nel lungo periodo, non favorisce la produttività, ma la riduce: “oggi tutti stanno sostanzialmente lavorando su progetti nati prima del Covid, e dunque si nota l’incremento di produttività. Ma senza il confronto diretto, il dialogo, la presenza, il rapporto dal vivo con i colleghi o con i clienti, difficilmente nasceranno altri progetti: l’isolamento non è mai creativo”. Dunque, in prospettiva, un mondo del lavoro “solitario” finirebbe con spegnere entusiasmo, creatività e produttività, con danno per le aziende e per i lavoratori, anche per quanto riguarda le carriere. Conferma Boeri: anche in ambito universitario la ”solitudine” riduce la possibilita’ di crearsi quelle reti di rapporti che solo dal ”vivo” si possono intrecciare e che sono fondamentali per andare avanti, sia intellettualmente che da un punto di vista di carriera.
E qui entra infatti in gioco il secondo scenario, meno apocalittico, che Moretti ritiene più plausibile: quello che prevede un mix tra lavoro in presenza e lavoro da remoto. “Non c’è ragione di pensare – osserva – che le forze economiche accettino il declino delle città. Inoltre, appare improbabile che i lavoratori, trasferiti nelle aree rurali, rimangano attivi e creativi nel lungo periodo, rispetto a quelli che vivono nelle grandi città”. Ragionevolmente, si può quindi presumere che in futuro ogni dipendente lavori uno o due giorni a settimana da casa, e gli altri in ufficio. In questo caso, la riduzione della “presenza” f sarebbe, rispettivamente, del 20 e del 40%. Con conseguente riduzione, del 20 o del 40 per cento, del traffico dovuto agli spostamenti casa-lavoro, ma anche dei metri quadri necessari alle aziende, con equivalente riduzione dei valori immobiliari degli uffici (ma non delle abitazioni). Le citta restebbero comunque il cuore pulsante del lavoro, ma con notevoli vantaggi in termini di qualità della vita.
Ci sono poi altre considerazioni da fare. A parte quelle legate alle diseguaglianze sia di genere (le donne sono più danneggiate dallo smart working rispetto agli uomini) che di metri quadri (non è lo stesso lavorare da una casa grande e comoda o piccola e affollata), c’è un dato di fondo che non va dimenticato: attualmente, non più del 30-35% delle mansioni lavorative può essere svolto da remoto, ed è faccenda che riguarda essenzialmente gli impiegati, i colletti bianchi. Anche nel caso la metà lavorasse da casa, stiamo pur sempre parlando del 50% del 30%. Una quota significativa, ma non tale da prefigurare una rivoluzione epocale. Un barista per dire, dovrà sempre stare dietro al bancone del bar per servire un caffe, un cuoco in cucina, un operaio in fabbrica, un autista del bus al volante, un insegnante di nuoto in piscina. E’ possibile che in futuro questi, e molti altri lavori, saranno praticabili a distanza, ma per ora non è cosi. E probabilmente, covid a parte, è ancora una fortuna. Perche a distanza è comodo, certo, ma di persona è meglio: come ammettono alla fine gli stessi Boeri e Moretti, augurandosi di rivedersi presto a Trento, dal vivo, nella (insostituibile) versione fisica del Festival.
Nunzia Penelope