Ex-Ilva: al momento in cui scriviamo, sul recentissimo passato, e quindi anche sul prossimo futuro di questa lunga e contrastata vicenda industriale, c’è una sola certezza. Più due mezze certezze.
Cominciamo dunque dalla certezza. Che è circoscritta, ma non irrilevante. Qualche giorno fa, ovvero venerdì 25 luglio, è stato pubblicato il decreto con cui il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (in sigla, Mase) ha rinnovato la famosa Aia, ovvero, come ha scritto Domenico Palmiotti sul Sole 24 Ore di sabato 26, l’Autorizzazione integrata ambientale “per l’esercizio degli impianti dello stabilimento siderurgico Acciaierie d’Italia spa in Amministrazione straordinaria”, sito a Taranto.
La cosa è importante perché, senza il rinnovo dell’Aia, sarebbe stato impossibile passare all’attesa tappa successiva, quella relativa alla stipula del cosiddetto accordo di programma istituzionale sulla decarbonizzazione del medesimo impianto.
E veniamo alle due mezze certezze. La prima è quella relativa al cosiddetto decreto ex Ilva, cioè a un provvedimento che, fra l’altro, nei disegni governativi, dovrebbe stanziare una cifra significativa, pari a 200 milioni di euro, da usare nel corso della restante parte del 2025. Cifra indirizzata, in un primo passaggio, alla ex Ilva in Amministrazione straordinaria, ma trasferibile poi ad Acciaierie d’Italia in Amministrazione straordinaria. Insomma, un po’ di ossigeno finanziario per andare avanti nei prossimi mesi.
Perché abbiamo parlato di mezza certezza? Perché il decreto è stato sì approvato dal Senato lo scorso 22 luglio, ma deve ancora essere approvato dalla Camera. E proprio oggi il Governo ha posto la questione di fiducia su tale, auspicata, approvazione.
Prima di passare alla seconda mezza certezza, dobbiamo fare un passo indietro nel nostro mini racconto. Un passo che ci riporta a metà luglio, ovvero al giorno (lunedì 14) in cui il titolare del ministero delle Imprese e del Made in Italy (in sigla, Mimit), Adolfo Urso, ha annunciato che la gara per la vendita di Acciaierie d’Italia, la società che gestisce gli impianti siderurgici della ex Ilva, sarà riaperta. Senza che la cosa facesse particolare rumore, è infatti accaduto, nelle settimane scorse, che il rapporto con Baku Steel, la società azera che in marzo si era aggiudicata la prima gara relativa alla vendita della nostra maggior impresa siderurgica, si sia, per così dire volatilizzato. Infatti, l’assommarsi di difficoltà di ogni tipo sulla strada della decarbonizzazione dell’impianto tarantino, ha fatto saltare tempi e modi entro cui sarebbe stato ragionevole tentare di trasformare la vittoria nella gara in una vendita compiuta, che desse avvio a un nuovo capitolo della storia dell’Ilva.
Ed eccoci dunque alla seconda mezza certezza. Per domani, giovedì 31 luglio è convocato al Mimit un incontro che ha a proprio impegnativo oggetto l’accordo istituzionale di programma sulla decarbonizzazione dell’impianto di Taranto.
Nelle sue grandi linee, l’idea che sta alla base di questo progetto è nota. Lo scopo è quello di abbattere l’inquinamento provocato dalla tecnologia dell’altoforno che impiega minerali di ferro e carbone. Si progetta quindi di procedere progressivamente alla sostituzione degli altoforni attualmente presenti a Taranto con forni elettrici. Poiché questi ultimi non usano minerali di ferro ma il cosiddetto preridotto o DRI (Direct Reduced Iron), c’è anche l’idea di allestire almeno un impianto che produca tale preridotto. Ma poiché tutto ciò implica l’uso di grandi quantità di energia, si pensa anche all’allestimento di strutture volte a consentire la disponibilità di ingenti quantità di gas.
A dirlo così, può sembrare che il tutto sia relativamente semplice. Ma dalla fine di luglio del 2012, ovvero da quando l’impianto siderurgico dell’allora Ilva fu sequestrato dalla Procura della Repubblica di Taranto, nulla è stato semplice nelle sue successive vicende giudiziarie, societarie, industriali e ambientali.
Fatto sta che, rispetto a una progettazione più ravvicinata di tale schema di massima, sono comparse ipotesi anche abbastanza diverse fra loro per ciò che riguarda il numero dei forni elettrici da impiantare a Taranto (3 o 4) ed, eventualmente, a Genova (1), la dislocazione degli impianti produttivi del preridotto, la presenza di altri impianti per la cattura e lo stoccaggio di CO2, l’eventuale collocazione di una nave per la rigassificazione del gas liquido a Taranto, oppure l’eventuale presa in considerazione di un’ipotesi alternativa che chiamasse in causa l’area di Gioia Tauro (Reggio Calabria). Ipotesi, queste, alcune delle quali sono state sostenute dal Governo, altre dal Comune di Taranto. Quest’ultimo, in particolare, si è opposto all’idea di collocare una nave rigassificatrice nell’area portuale della città.
Fin qui, si potrebbe dire, una normale, anche se complessa, dialettica democratica. Due giorni fa, e cioè nella serata di lunedì 28 luglio, si è però verificato un colpo di scena. Al culmine di un’agitata riunione del Consiglio comunale, e dopo che il Municipio era stato quasi occupato da sedicenti ambientalisti, il neo Sindaco di Taranto, Piero Bitetti (Pd), si è dimesso dall’incarico cui era stato eletto appena due mesi fa. Ciò, secondo lo stesso Bitetti, per “inagibilità politica”.
Queste repentine quanto inattese dimissioni hanno fatto sì che oggi, 30 luglio, non si sia tenuta la riunione del medesimo Consiglio comunale. Riunione che avrebbe dovuto avere a proprio oggetto, per l’appunto, il suddetto accordo istituzionale di programma. Seconda, più che probabile, conseguenza: domani, 31 luglio, il Sindaco dimissionario non parteciperà alla riunione programmata al Mise.
Al momento in cui scriviamo, non sappiamo quindi ancora chi effettivamente parteciperà all’incontro al Mise, come non sappiamo se, fra i partecipanti attesi, tra cui il Presidente della Regione Puglia, Emiliano, solo alcuni saranno in presenza, mentre altri si collegheranno da remoto.
L’unica cosa che appare certa, è la volontà mostrata dal ministro Urso di andare comunque avanti allo scopo di definire un progetto di decarbonizzazione effettivamente praticabile e di poter poi riaprire una gara internazionale per la vendita di Acciaierie d’Italia.
Un’ultima notazione. Stando all’agenda fin qui nota, i sindacati sono stati convocati a Palazzo Chigi per le prime ore del mattino di venerdì 1° agosto, ovvero nella prima data utile successiva all’incontro previsto al Mise sulla definizione dell’accordo istituzionale di programma.
@Fernando_Liuzzi






























