La siderurgia italiana è in salute e chiude i primi otto mesi dell’anno con una produzione (16,3 milioni di tonnellate di acciaio) superiore del 27% rispetto al 2020, anno fortemente condizionato dalla pandemia: una performance migliore anche dei livelli pre-Covid (+6,1% sul 2019) e sostanzialmente in linea con i livelli del 2018, anno particolarmente buono. E’ quanto è emerso dall’assemblea annuale di Federacciai.
“Oggi ci troviamo di fronte a una congiuntura positivi”, ha commentato il presidente dell’associazione, Alessandro Banzato.
“I primi segnali di ripresa c’erano già stati nella seconda parte del 2020 e la situazione è migliorata quest’anno con una esplosione della domanda che ha trainato la crescita dei volumi a livello sia nazionale che internazionale. Quello che stiamo vivendo è un ciclo espansionistico su scala europea destinato a durare per qualche anno, un trend positivo che si rafforzerà ulteriormente soprattutto quando si tradurranno in cantieri e investimenti i fondi Pnrr in Italia e negli altri Paesi europei”.
Ma il presidente di Federacciai avverte: “Attenzione, le recenti impennate dei costi del gas e dell’energia elettrica potrebbero frenare, se non compromettere, il trend positivo dell’economia italiana ed europea. E’ un tema che mi preoccupa per lo sviluppo futuro”.
A livello mondiale, la produzione da gennaio ad agosto è cresciuta del 10,6%, evidenziando gli aumenti più significativi in India (+25,6%), Brasile (+20,9%), Stati Uniti (+19,5%), Turchia (+16,7%) e Giappone (+17,0%).
Nel 2020 la Cina ha prodotto 1 miliardo di tonnellate di acciaio, il 56,7% della produzione mondiale (1,878 mld) e la sua escalation è stata rapida e costante passando nel giro di 15 anni dal 15% al 50% della produzione mondiale. La nuova geografia dell’acciaio vede dunque la posizione preminente della Cina e l’avanzare di India, Turchia e Iran, Paesi emergenti che hanno una spiccata vocazione alle esportazioni, dato anche il tenore dei consumi interni, e una attenzione alle problematiche di sostenibilità ambientale e sociale non paragonabili a quelli europei. “E’ pertanto facilmente comprensibile – ha sottolineato Banzato – che la tendenza in atto in Europa, il Green Deal, potrebbe generare asimmetrie competitive che, se non gestite in tempo, porterebbero alla sparizione della siderurgia continentale o alla progressiva delocalizzazione della stessa in aree del mondo soggette a meno vincoli. I processi di cambiamento in corso devono pertanto essere accompagnati da misure di difesa e sostegno che consentano alla siderurgia europea non solo di sopravvivere, ma anche di mantenere quelle marginalità che occorrono per continuare a investire e raggiungere gli ambiziosi obiettivi dati”.
“Oltre alle misure difensive per gestire il transitorio è soprattutto necessario attivare azioni di politica industriale che accompagnino, a condizioni competitive salvaguardate, gli ambiziosi obiettivi che la transizione energetica sta già ponendo”, ha spiegato il presidente di Federacciai. “Mi riferisco in particolare alle discussioni sul cosiddetto Fit for 55.
Chiarisco subito che la direzione dell’Europa è indubbiamente quella giusta, discutibile è invece la quantificazione quasi ideologica di alcuni obiettivi. A livello globale l’Europa è responsabile di meno del 10% delle emissioni di Co2 complessive.
Fare i primi della classe quando gli altri, che emettono molto più di noi, non imboccano percorsi virtuosi, guadagnandone in competitività, metterebbe a rischio la tenuta industriale e sociale dell’Europa e del nostro Paese”.
“Ascoltare le sirene dei Paesi che, grazie a vincoli e costi molto più bassi dei nostri ti offrono alti volumi a prezzi bassi, è molto pericoloso – ha concluso Banzato – e in futuro c’è il rischio che a fronte di una siderurgia europea indebolita questi decidano a loro discrezione tempi e prezzi delle consegne”.
TN