Sandro Degni – Segretario generale Uiltrasporti
La globalizzazione, segna una rottura con i modelli tipici di mercato, con le forme di organizzazione del capitale, con i modelli di governo del consenso politico e sociale. Gli effetti sul mondo del lavoro sono stati “violenti” ed ancora oggi “contestati” mentre l’Italia conserva, saldamente, il suo posto tra le grandi potenze industriali. La politica dei redditi ha prodotto risultati importanti. L’andamento dell’inflazione, oggi lontana dai valori a due cifre degli anni ‘90, dimostra un fatto fondamentale: la sostanziale tenuta del protocollo del 23 luglio 1993. L’impianto di regole del protocollo va perciò difeso: i due livelli di contrattazione (nazionale e aziendale), rappresentano il sistema negoziale che meglio risponde alla necessità di favorire l’azione sindacale di tutela dell’azienda e dei lavoratori. Colpire la cultura della contrattazione collettiva e il ruolo negoziale del sindacato, attraverso il ridimensionamento degli spazi contrattuali, è una scelta errata e politicamente antistorica.
Una ricetta fondata su rapporti di lavoro individuali, oltre che impraticabile, è la più chiara anticamera del corporativismo che, privo di senso della responsabilità, non persegue certo obiettivi di efficienza e di produttività. Ma non c’è dubbio che qualcosa bisogna fare. Il Protocollo del 23 luglio,infatti, è stato disegnato in un periodo con problematiche assai diverse da quelle attuali: l’inflazione falcidiava i redditi fissi, il sistema produttivo nazionale era in forte ripiegamento, non c’era l’euro. Oggi le condizioni sembrano diverse: c’è un problema di valorizzazione del lavoro e la moneta unica facilita e semplifica i confronti tra le retribuzioni.
E’ allora un problema di “manutenzione”, di ammodernamento dell’impianto contrattuale contenuto nel protocollo stesso (es.: tempi e modalità del recupero dell’inflazione reale, contenimento di prezzi e tariffe all’interno dell’inflazione programmata, fisco e costo dei servizi che incidono sul reddito dei lavoratori) e di inserire un sistema di regole, fissate sempre contrattualmente ma flessibili, dinamiche e adattive per cogliere i cambiamenti dell’organizzazione del lavoro.
Ci sono due modi per “smantellare un impianto”: abbatterlo brutalmente o, non operando un’adeguata manutenzione, mandarlo in rovina. Noi pensiamo che non si possa prescindere, soprattutto nel settore trasporti, da modelli e regole fondamentali validi per tutti, cioè nuovi contratti nazionali più regolatori che gestori. Tutelare il potere d’acquisto, dando per scontata la crescita dei profitti, era, ed è, il compito della contrattazione di primo livello; la politica dei redditi degli anni ’90 ha favorito il profitto di impresa rispetto al salario, riducendo poderosamente il peso di quest’ultimo sul reddito nazionale. Infatti l’Italia, secondo le statistiche Eurostat sulle retribuzioni e sul costo del lavoro, è stato l’unico Paese europeo che ha fatto segnare una riduzione del costo del lavoro nel 1998, sceso del 2,1% su base annua, mentre a livello dell’euro è aumentato dell’1,2% come dimostra la tabella seguente.
Costo delle ore di lavoro nell’industria in Euro; 1998
U.s.a 20,05
Germania 28,68
Belgio 26,15
Francia 25,53
Austria 24,66
Danimarca 24,52
Norvegia 23,42
Finlandia 21,47
Italia 19,12
Irlanda 15,41
Spagna 13,32
Portogallo 7,51
(Fonte Eurostat)
Non si potrà trasformare la concertazione in mera consultazione tra le parti anche se spesso essa si è ridotta a puro galateo, e spesso nemmeno a questo. Troppe volte si sono visti accordi svuotati di contenuti nel tempo: la quotidianità del lavoro prevaleva sulle innovazioni. Oggi servono meno leggi e regolamenti, meno vincoli e sanzioni, ma più linee guida ed orientamenti, più programmi ed incentivi; insomma più dialogo sociale che consenta di perseguire responsabilmente il massimo di consenso attraverso la ricerca delle comuni convenienze.
E’ interesse comune trovare soluzioni concordate, soprattutto in un momento di profonde trasformazioni dell’azienda ferroviaria, del suo modo di presentarsi e di stare sul mercato. Fondamentale è, ad esempio, l’informazione; senza confusione di ruoli, l’azienda deve mantenere la sua completa autonomia strategica, e il sindacato, attraverso il rafforzamento delle proprie conoscenze, deve accrescere la capacità di stimolo e di controllo a tutela dei propri rappresentati.
La Uiltrasporti conferma l’impianto contrattuale articolato su due livelli di contrattazione, “con funzioni distinte e non sovrapponibili” e intende mantenerlo per difendere “il potere d’acquisto delle retribuzioni rispetto all’inflazione reale”, con la possibilità di utilizzare a livello decentrato quote di produttività per “incrementare e riqualificare le politiche salariali e/o contrattuali”.
Il ragionamento parte dal valore del lavoro. Esso è, infatti, la risposta più efficace alla povertà ed all’esclusione sociale. Sarebbe allora miope combattere questa funzione centrale del lavoro, negando tutela ai diritti fondamentali dei lavoratori, così come sarebbe miope combattere le grandi trasformazioni che sono in atto nell’economia globale, alle quali deve essere però affidato, prioritariamente, il campito di ridurre le disuguaglianze, migliorare la sicurezza socio-economica, consolidare le istituzioni, rendere efficace il funzionamento dei mercati, in sostanza, un programma, sia pur graduale, di welfare globale proiettato verso la tutela universale dei diritti fondamentali del lavoratore.
Noi siamo convinti che sviluppo economico e sviluppo sociale si alimentano reciprocamente là dove sono poste in essere politiche capaci di utilizzare nuove tecnologie, di garantire una “conveniente” disponibilità dei fattori di produzione, di integrare i mercati e di contrastare, in sostanza, tutte le forme di esclusione sociale. La stessa flessibilità del lavoro è una opportunità che deve affermare, con le politiche di riqualificazione professionale, il rispetto dei diritti fondamentali nel lavoro e la garanzia di strumenti protettivi essenziali per tutti e non essere lo strumento per indebolire il potere contrattuale dei lavoratori e, in definitiva, la stessa contrattazione collettiva.
Stabilità macro-economica, modifiche strutturali, politiche di sviluppo economico, sviluppo dei diritti fondamentali del lavoro, sicurezza sociale per tutti, lotta alla povertà attraverso il lavoro, non sono forse il nocciolo della missione, secondo noi, del sindacato di oggi e di domani? Resta, tuttavia, diffusa l’incertezza e permangono alti i rischi di instabilità finanziaria, i divari di reddito, i fenomeni di disagio sociale.
La scelta, per concludere, è molto semplice:
– un livello nazionale, cui compete la definizione di una piattaforma minima di diritti universali e di uno zoccolo salariale di categoria, difendere il potere d’acquisto delle retribuzioni e determinare, attraverso i contratti interconfederali ed i contratti collettivi nazionali, le norme generali di garanzia e di tutela dei lavoratori dipendenti che debbono essere uguali per tutti coloro che lavorino nel settore;
– un livello decentrato, per la distribuzione dei benefici della crescita di produttività e per il confronto sull’organizzazione del lavoro, utile per rafforzare momenti di contrattazione territoriale da affiancare (in termini alternativi, naturalmente) alla classica contrattazione aziendale. I temi sono di grande rilievo: organizzazione del lavoro, sicurezza, rapporto tra retribuzione e produttività, redditività, responsabilità, qualità del prodotto o del servizio. Ancora, rari sono i casi in cui i premi di risultato, fondati su indicatori di produttività e qualità, hanno avuto un legame con l’organizzazione del lavoro.
All’interno di questo impianto contrattuale, anche noi spingiamo per introdurre elementi di riforma nella struttura contrattuale del 23 luglio, a partire da un’operazione di semplificazione dei contratti nazionali di categoria, che potrebbero essere tendenzialmente riferiti ai grandi aggregati (non solo dei trasporti ma anche dell’industria, dei servizi e del pubblico impiego). Questi nuovi contratti nazionali dovrebbero fissare le regole ed i minimi di accesso al lavoro e riservare al livello decentrato la parte di gestione del mercato e delle integrazioni salariali esplicitamente ancorate ai risultati aziendali. E’ indubbio che se la contrattazione collettiva non riesce a ridistribuire efficacemente la produttività nel fattore lavoro, aumentano i profitti per le imprese e i margini per politiche salariali unilaterali e individuali, che minano il ruolo stesso del sindacato.
Le nuove regole dovranno assumere almeno questi due fondamentali obiettivi:
a) la centralità della formazione, iniziale e continua, nell’organizzazione del mercato del lavoro, indipendentemente dall’assunzione o dalla perdita della qualità di lavoratore subordinato;
b) la promozione di un vero ‘federalismo contrattuale’, cioè di un sistema articolato (ambito nazionale e decentrato) ma con raccordi ‘soggettivi’ (tra agenti contrattuali) ed ‘oggettivi’ (fra livelli contrattuali), con un decentramento cioè, ‘guidato’, in grado di adeguare il regime economico e normativo alle diverse condizioni di lavoro(territoriali, categoriali, aziendali), alle esigenze di valorizzazione della produttività e della mobilità professionale, al rapporto tra prestazione e retribuzione.