di Carlo De Masi – Segretario Generale Flaei Cisl
E’ davanti agli occhi di tutti la profonda crisi strutturale che sta interessando i sistemi economici mondiali. Il capitalismo finanziario ha mostrato tutti i suoi limiti, costringendo i Governi nazionali singolarmente, e insieme come eurogruppo, ad intervenire a sostegno delle banche e dei risparmiatori. Da ciò ne deriva che è necessario recuperare, con immediatezza, una dimensione etica della finanza e industriale delle aziende, ripensando la logica degli investimenti virtuali e della massimizzazione del profitto (per pochi e nel breve periodo) e, quindi, della conseguente distruzione di risorse per il futuro, soprattutto in termini di capitale umano e di investimenti.
Peraltro, la iniqua distribuzione della ricchezza ha allargato la forbice tra le retribuzioni dei managers e quelle dei lavoratori, deprimendo, di conseguenza, la domanda interna e l’economia complessiva del Paese. E questo è ancora più evidente in un settore ad alta redditività (per le imprese) come il comparto dell’energia che, tra l’altro, può scaricare l’inflazione importata sui consumatori finali, grazie ai meccanismi di borsa e tariffari.
Anche in Italia, pur se marginalmente coinvolta nella crisi, è ormai improcrastinabile rivedere gli attuali modelli finanziari e di gestione delle Imprese (tema richiamato anche dal presidente Sarkozy), comprese quelle energetiche e dei servizi di pubblica utilità, rivolte alla sempre maggiore produzione di utili (che non si trasformano in investimenti) e alle logiche finanziarie, piuttosto che ad una gestione partecipata e industriale, proiettata nel lungo termine. Tutte cose che la Flaei, inascoltata, va ripetendo da anni. Nel sistema energetico italiano, infatti, le scelte e i comportamenti dei Governi, che si sono succeduti nell’ultimo decennio, una economia condizionata dalla finanza, una classe manageriale autoreferenziale e disinteressata alle prospettive industriali e di sviluppo, non solo delle aziende, ma anche del Paese, hanno portato:
– ad un progressivo e costante calo dell’occupazione e degli investimenti;
– ad esternalizzazioni di attività proprie del ciclo produttivo;
– a gare al massimo ribasso;
– a problemi di sicurezza di sistema e per i Lavoratori;
– a precarizzazione dei rapporti di lavoro;
– ad una condizione di dumping sociale sul costo del lavoro, esercitato attraverso esodi indiscriminati e non accompagnati dal necessario turn over;
– ad una situazione di depauperamento del patrimonio di competenze tecniche e professionali presenti all’interno del Settore;
– all’azzeramento della ricerca applicata al sistema elettro–energetico.
Senza contare i continui tentativi di marginalizzazione del sindacato, visto, nei fatti, come un fastidioso orpello, utile solo a farsi carico, quando serve, del consenso sociale nei confronti di politiche necessarie, ma impopolari e verso il quale indirizzare (ormai troppo spesso) il malcontento diffuso.
Ma non finiamo mai di stupirci, perché, a quanto fatto sinora, si associa la notizia che il Governo, con decreto, sta nuovamente rimodulando il sistema energetico italiano, a partire dalla: cabina di regia tra Stato e Regioni, privatizzazione della Borsa dell’Energia, costituzione dell’Agenzia nucleare e il conseguente smantellamento della Sogin, riforma dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, ecc., senza prevedere il minimo coinvolgimento delle parti sociali. C’è davvero qualcuno, nel Governo, che, sulla base di autonome iniziative o imposizioni, ritiene sia possibile trovare soluzione alla sindrome di Nimby, che puntualmente riesplode quando si parla di insediamenti produttivi? C’è davvero qualcuno che pensa ad un programma nucleare in Italia senza coinvolgere le parti sociali e le comunità locali?
Per realizzare le riforme necessarie e le grandi infrastrutture energetiche, in un contesto finanziario difficilissimo e socio-ambientale ostile, va ricercato un consenso diffuso che passa attraverso: informazione corretta, garanzie ambientali e di sicurezza, compensazioni territoriali, interventi mirati sulle tariffe, ma soprattutto con meccanismi e momenti di partecipazione ai processi decisionali, ribadendo e rafforzando la consapevolezza dei diritti e dei doveri di cittadinanza di ognuno nell’interesse di tutti.
Sono almeno tre anni che, attraverso ripetute sollecitazioni, la Flaei cerca di dare seguito agli avvisi comuni, sottoscritti in sede di rinnovo del Ccnl, per la realizzazione di una Ccbina di regia/osservatorio di settore, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la partecipazione dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente e di tutti gli attori del settore (associazioni imprenditoriali, forze sociali, istituzioni locali, ecc.), per sviluppare il coordinamento delle problematiche energetiche e costituire la sede per la concertazione programmatica nel settore. La Flaei ha dimostrato sinora un grande senso di responsabilità, affrontando i pesanti processi di ristrutturazione attuati dalle imprese del settore, in assenza di una politica energetica e industriale, in una condizione complessiva di economia allo sbando, cercando di limitare i danni prodotti da un contesto occupazionale in calo (70.000 addetti in meno), oltre al notevole taglio degli investimenti.
Lo ha fatto privilegiando la via della responsabilità rispetto a quella del conflitto e senza modificare gli strumenti rivendicativi: la regolamentazione dello sciopero nel settore elettrico risale a prima della liberalizzazione, quando era presente un unico operatore nazionale.
E’ arrivato il momento di invertire la rotta, anteponendo una vera politica energetica a quella meramente finanziaria.
La Flaei, insieme alla Cisl, intende continuare ad impegnarsi attivamente, e senza pregiudiziali ideologiche, a partire dalla definizione, col Governo, di un nuovo piano energetico nazionale con il coinvolgimento delle parti sociali, avviando, nel contempo con le aziende una riflessione congiunta sul futuro finanziario, industriale ed occupazionale del settore e su un modello di relazioni industriali di prospettiva, finalizzato ad una partecipazione vera del sindacato e dei lavoratori, che passa attraverso la condivisione degli indirizzi politici/strategici generali e dei piani industriali.


























