Offrire una radiografia la situazione industriale e occupazionale degli stabilimenti italiani del gruppo, da aggiornare ogni tre/quattro mesi. Questo lo scopo dell’iniziativa presentata oggi, in conferenza stampa, dal segretario generale Fiom Cgil, Maurizio Landini. L’indagine, chiamata “RadiograFiat”, è stata effettuata nell’arco temporale di un mese (marzo-aprile 2014) prendendo in esame i circa 65mila lavoratori dei 56 stabilimenti produttivi del Gruppo Fca-Cnh Industrial.
Fra i primi interessanti dati illustrati da Davide Bubbico, docente di Scienze economiche e statistiche all’Università di Salerno, che ha preso parte attiva alla ricerca, c’è sicuramente quello riguardante il ciclo produttivo: nel 2013 gli stabilimenti della Fca in Polonia, Serbia, Ungheria e Turchia, e altri siti del Centro ed Est Europa, hanno prodotto 390mila vetture, contro le 386mila automobili uscite dalle fabbriche italiane.
“Nel primo trimestre 2014 – ha spiegato il professore – il 46% delle vetture vendute in Italia è stato prodotto all’estero, un dato che viene confermato anche a novembre. La quota di mercato di Fca in Italia, infatti, nel periodo gennaio-novembre, è scesa dell’1%, mentre i costruttori esteri sono cresciuti di oltre il 5%”.
A braccetto con questi dati sembrano andare quelli relativi al ricorso all’uso degli ammortizzatori sociali: alla fine del primo trimestre 2014, in Italia, il 51% dei 65mila dipendenti Fca, appare coinvolto in qualche forma di ammortizzatore: il 33,3% dalla cassa integrazione straordinaria, il 7,5% da contratti di solidarietà, e il 10,2% dalla cassa integrazione ordinaria in modo prolungato.
Tutto torna, quindi. Ma c’è dell’altro.
“Quando gli stabilimenti vanno a pieno regime -ovvero senza cassa integrazione, ha spiegato Bubbico- la produttività del lavoro è molto elevata, in quanto la riorganizzazione aziendale del lavoro ha aumentato i ritmi produttivi in termini di carico di lavoro”. “L’idea della Fiat – ha concluso il docente – è avere stabilimenti con organici estremamente ridotti, come Mirafiori o Cassino, e insieme molto produttivi. Delegare all’Europa dell’Est la produzione di utilitarie rischia di creare un problema su come utilizzare tutta la forza lavoro disponibile, dunque un nuovo ricorso alla cassa integrazione”.
A queste riflessioni hanno fatto eco quelle del segretario generale: “Oggi, senza cassa integrazione e ammortizzatori sociali, saremmo di fronte a carichi produttivi che danno lavoro alla metà delle persone. Sono aumentati ritmi e carichi di lavoro, ovvero: le persone lavorano meno giorni, ma lavorano più di prima”.
Il leader della Fiom ha quindi lanciato l’allarme: “Con il cambio di piano della Fiat c’è il rischio concreto che i numeri non garantiscano gli attuali livelli occupazionali .Un rischio che aumenta con la fine della cassa integrazione, tenendo conto anche delle misure del governo che intendono modificarla”.
Un’altra preoccupazione, messa in evidenza dal segretario generale, è quella riguardante le logiche aziendali volte alla delocalizzazione: “Non c’è solo il problema della sede legale, che non è più in Italia, ma c’è proprio un nuovo sistema industriale che opera nell’auto e nella componentistica che, mentre afferma di voler rilanciare i siti italiani, sposta all’estero tutti i processi progettistici e produttivi più innovativi”, ha affermato Landini. “Questo processo non è stato colto, soprattutto dal governo ed è per questo che bisogna aprire una discussione seria che coinvolga in primis le istituzioni governative”.
Gli ultimi, sconcertati dati, evidenziati dal segretario generale, riguardano infine i livelli salariali: “Dal 1° gennaio 2015 i minimi salariali dei dipendenti Fca saranno i più bassi fra quelli di tutti i lavoratori metalmeccanici in Italia”.
“Il lavoro che il nostro sindacato sta svolgendo ora è tutto volto al come meglio gestire le dismissioni, applicando strategie diverse a seconda dei diversi contesti regionali. Mentre un confronto vero con il governo noi lo vorremmo sul come delineare una politica industriale di portata nazionale. Ed è essenziale iniziare a farlo, tanto più nel settore della componentistica e dell’auto, considerando anche il fatto che l’Italia è rimasta l’unico paese industriale con un unico produttore di auto sull’intero territorio nazionale”.
“Il modello Fca –ha quindi concluso Landini- non può diventare il modello per la politica industriale del paese, perché così rischiamo solo di accompagnare il progressivo ridimensionamento della nostra capacità industriale”.
Fabiana Palombo




























