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Home - Approfondimenti - Analisi - Fondi pensione, investimenti e strategie di protezione dei lavoratori e lotta alla disuguaglianza

Fondi pensione, investimenti e strategie di protezione dei lavoratori e lotta alla disuguaglianza

17 Aprile 2020
in Analisi

Roberto Ghiselli, sui diari del lavoro, pone la questione del che fare con i fondi pensione e il loro ruolo nello sviluppo. Apre una discussione, e di ciò gli va dato merito, ma lascia innominata la questione della crescente disuguaglianza nella quale i fondi hanno un ruolo non secondario.

Noi non siamo neutrali rispetto ai fondi. Essi sono stati il veicolo decisivo di una strategia portata avanti dal pensiero dominante neoliberale per un profondo ritorno alle regole del mercato e della finanza di tutto ciò che le organizzazioni dei lavoratori avevano costruito a loro protezione, in un quadro di tutela egualitario e pubblico, sottraendolo al mercato. Il cosiddetto welfare aziendale su tutti i temi sociali e sanitari ne è stata ulteriore estensione. Per rendere appetibile tutto ciò si è provveduto a dosi massicce di sostegno fiscale creando la tragica e deleteria situazione per cui i lavoratori più deboli sostengono fiscalmente il nuovo welfare privatistico dei più forti e tutti insieme sostengono il debito pubblico crescente di stati sempre più redistributivi in modo regressivo e sempre più incapaci di dirigere lo sviluppo. La crescente e inusitata disuguaglianza ne è stata la conseguenza.

La trasformazione del salario differito del lavoro in munizioni per il mercato finanziario, al quale non si sono sottratti gli stessi fondi negoziali, (come riconosce Il nostro), per cui se i rendimenti degli investimenti in titoli pubblici vanno bene i fondi guadagnano ma il debito dello stato cresce e i chi lavora è vieppiù chiamato a pagarlo con tagli sul welfare pubblico e nuova pressione fiscale, se invece gli investimenti finanziari crollano si portano con se fondi e welfare aziendale, è giunta ora al suo punto di crisi. L’inondazione di liquidità dei mercati per contrastare la crisi, che era già presente prima del coronavirus e che questi accelera come un detonatore, renderà volatile la strategia di protezione del lavoro affidata ai mercati finanziari. D’altra parte questo era l’obbiettivo di chi l’aveva pensata.

Ghiselli riconosce che questa inondazione di liquidità non sarà sufficiente al rilancio dello sviluppo. Condividiamo. Per motivi qui per brevità non analizzabili il capitale privato non è in grado di trasformare in investimenti la enorme e mai vista quantità di ricchezza finanziaria in circolazione. La prevalenza è nel gioco speculativo. I mercati finanziari saranno tuttavia sempre più volatili. Serve il ritorno dello stato non solo nella redistribuzione ma nella definizione degli investimenti da sostenere e fare in prima persona. Le regole non bastano, bisogna gestire. Su questo conveniamo. Ghiselli propone di utilizzare i fondi in questo quadro mantenendone il sistema di fondo. Ciò a nostro avviso non è possibile. Investire oggi significa assumersi rischi di lungo periodo; i capitali pazienti, come li chiama la Mazzucato, e dai rendimenti incerti. Per questo li può fare solo lo stato. I fondi devono dare un rendimento? Chi lo paga? Se il rendimento è perseguito sul piano finanziario ricadiamo in quanto sopra. Se dovesse derivare da rendimenti azionari, contrasterebbe con la caratteristica di capitali pazienti e la necessità di rilancio dello sviluppo a carico del pubblico. Ghiselli se ne rende conto e al fine propone un rafforzamento della protezione fiscale di vantaggio. Ciò ha come non poco sgradita conseguenza, a nostro avviso, un ulteriore aumento della disuguaglianza e frantumazione sociale. Non se ne esce. La strategia imboccata non protegge neanche più chi ha avuto il previlegio di accedervi. E perseguirla ha solo conseguenze negative. Inoltre perché lo stato dovrebbe utilizzare capitali di fondi ad un costo complessivo, fra vantaggi fiscali e rendimenti da garantire, superiore a quelli trovabili sul mercato complessivo? Una sola ragione: un fine politico di frantumazione sociale. Salvare le politiche liberiste, guadagnare tempo, conservare i rapporti sociali esistenti e rafforzare il dominio delle classi dominanti. Non crediamo sia l’obbiettivo di Ghiselli. Non c’è alternativa. Bisogna invertire la rotta. E in fretta prima che gli stessi lavoratori ne chiedano conto. La creazione di un fondo presso l’INPS dove far confluire i fondi pensione a nostro avviso è una valida proposta. In essa potrebbe confluire anche la quota di TFR oggi depositata presso l’INPS. Inoltre, sarebbe possibile una legislazione che universalizzi per tutti la contribuzione e i diritti in materia uscendo dalla logica del “fa chi può” per riunificare e riconsolidare il sistema pensionistico pubblico su base egualitaria nei suoi principi regolatori. Questa cassa potrebbe diventare la fonte per alimentare un “INVESTIBOND” emesso dallo stato, a basso interesse, tuttavia positivo,   raggiungendo i seguenti obbiettivi: rilancio del sistema pubblico pensionistico e del suo finanziamento, riunificazione del lavoro, politiche egualitari e di protezione dei nuovi segmenti di lavoro oggi esclusi, creazione di una base monetaria a sostegno dell’investimento pubblico da mettere a disposizione di una nuova IRI, come ha di fatto proposto anche qualche ministro. Fine della deriva corporativa presa oggi dall’azione sindacale e da segmenti del lavoro. Si raggiungerebbero tutti gli obbiettivi desiderati da Ghiselli e molti di più. All’obbiezione che non sarebbe possibile imboccare questa strada in quanto i fondi sono gestiti da consigli di amministrazione autonomi con la finalità di gestire gli investimenti sul mercato con criteri di rendimento e prudenza scelti dal lavoratore sinceramente non sappiamo se rispondere. Pensiamo che Ghiselli stesso si renda conto della debolezza di tale argomentazione. Se infatti sono fondi negoziali con un ruolo delle organizzazioni dei lavoratori queste non potranno non fare sentire il loro peso. Peraltro nell’interesse dello stesso singolo lavoratore che oggi non ha più davanti a sé la prospettiva di rendimenti ma di vere e proprie perdite finanziarie. Se invece l’unico criterio da preservare è lo stare sul mercato di questi fondi e la loro natura frammentata, allora un dissidio culturale e politico profondo finirebbe per profilarsi davanti a noi e al mondo del lavoro. Infine il coronavirus offre l’occasione per un ragionamento, autonomo ma coerente, sulla stessa questione dei fondi sanitari e del rilancio della sanità pubblica. Gli stessi imprenditori dovrebbero aver capito che la sua distruzione a vantaggio di quella privata ha creato una situazione nella quale i lavoratori, a prescindere dalle loro organizzazioni, ritirano la disponibilità a lavorare sentendosi facilmente affidati, in caso di malattia, allo stiletto della misericordia dispensato, in nome di Dio, dai suoi funzionarie e a loro insindacabile giudizio, nei campi di battaglia medievali.

Luigi Agostini   Marcello Malerba

redazione

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