Proprio nei giorni in cui la Germania ha ordinato la sospensione delle autorizzazioni all’export verso Israele di equipaggiamenti militari, ieri i camalli di Genova hanno bloccato un carico di armi trasportato dalla nave saudita Bahri Yanbu attraccata al porto con destinazione Abu Dhabi. I portuali, sostenuti dai sindacati, hanno respinto la manovra di imbarco di un cannone smontato e nella mattinata di oggi, dopo un incontro in Prefettura, è scatta la decisione di rispedire il carico al mittente, la Oto Melara di La Spezia. “Questo è un grosso risultato formale”, commenta a Il diario del lavoro il coordinatore regionale della Filt-Cgil di Genova, Enrico Poggi. Nella giornata di ieri, spiega, “ci è stato segnalato questo carico bellico e perciò siamo intervenuti. Già in passato abbiamo dichiarato di non voler caricare armi da questo porto, oltretutto in questo particolare momento, perché non sappiamo dove vanno e alimentano conflitti come quello più emblematico e preoccupante nella Striscia di Gaza”.
Ma per il sindacato, la questione più importante è che i lavoratori vengono “usati” per mansioni delle quali non sono informati. “Questo non è più tollerabile”, incalza Poggi, per questo “abbiamo portato avanti un’azione netta”. Non uno sciopero, perché avrebbe paralizzato anche altro materiale non bellico, ma il blocco esclusivo di quel carico. In una prima fase l’azione è stata condotta unitariamente a Cisl e Uil; successivamente, però, le due sigle si sono defilate “e quindi siamo andati avanti insieme alla Camera del Lavoro di Genova. Siamo stati in Prefettura e abbiamo esposto i nostri punti di vista”. Per la Filt, infatti, è necessario che tutti coloro che sono coinvolti in queste operazioni siano preventivamente informati di quello che arriva al porto di Genova, “non trovarcelo in banchina così, come se fosse una scatola di tonno”. La Prefettura ha assicurato che avrebbe provveduto a fare una segnalazione al governo, “ma comunque abbiamo comunicato che una volta fuori avremmo dichiarato il blocco del del carico”. Stamattina arriva l’annuncio dell’Agenzia marittima che il carico è stato respinto al mittente. “Questa è un’azione pratica che dimostra la forza dei lavoratori e la loro determinazione. Non siamo manovalanza che deve solo eseguire: abbiamo e rappresentiamo una coscienza e per questo l’abbiamo portata, come nostro dovere, all’attenzione dell’autorità attraverso azioni lecite e legittime che si ripeteranno in futuro, se necessario”.
Appena qualche settimana fa i lavoratori dell’aeroporto di Brescia Montichiari avevano indetto uno sciopero contro una partita di armi da manovrare. In quell’occasione, la Commissione di garanzia ha mandato una diffida dichiarando lo sciopero illegittimo, non avendo i lavoratori rispettato le procedure previste dalla legge sui servizi pubblici essenziali. Ma è accettabile che le armi siano considerate tali? “A livello nazionale, con la Commissione di garanzia c’è un contenzioso aperto su queste vicende perché non si può paragonare un’arma a un bene di prima necessità. Ultimamente, poi, sembra che ci sia stato un uso un po’ arbitrario delle precettazioni e questo non è tollerabile: per questo le organizzazioni sindacali e le confederazioni hanno aperto un tavolo di confronto col governo e con le Commissioni di garanzia, per capire come gestire e non usare in maniera arbitraria questo strumento”.
La posizione dei camalli non è dell’ultima ora: già nel 2019 la stessa nave saudita Bahri Yanbu contenenti droni diretti in Yemen venne respinta. Poggi era presente anche allora, quando fu messa in campo un’azione analoga a quella di ieri. “Ci fu segnalato da altri portuali un carico in arrivo che era già stato rifiutato a Marsiglia e l’avevano portato a Genova nottetempo, come è successo anche stavolta. Anche allora bloccammo il carico che poi fu rispedito al mittente”. Il principio è sempre lo stesso: “Non possiamo controllare quello che accade su una nave, ma abbiamo il dovere di tutelare i lavoratori che si vedono costretti, e magari anche sanzionati se non vogliono, a caricare un’arma. È su questo che dobbiamo intervenire: se consideriamo le armi come un carico normale, un lavoratore che si rifiutasse di caricarla viene sottoposto a un codice disciplinare, ma è evidente che in questo caso è un po’ diverso e perciò noi abbiamo deciso di intraprendere questa direzione”.
Qualcosa di simile all’obiezione di coscienza, anche se per Poggi è un argomento delicato. “La nostra azione deve tutelare i lavoratori, perché senza una nostra indicazione questo si metterebbe da solo contro l’azienda. Perciò noi mettiamo in campo una tutela erga omnes”. A questo proposito, l’Usb e il Centro Studi Iniziativa Giuridica hanno lanciato il “Manifesto per un diritto del lavoro della pace” per tutelare i lavoratori sottoposti a sanzioni disciplinari per questo tipo di scioperi e introdurre l’obiezione di coscienza per chi non vuole manovrare armi. L’iniziativa è stata sottoscritta da associazioni, costituzionalisti, giuristi, avvocati del lavoro, sindacalisti ed esponenti di movimenti. “La Cgil fa parte già della Rete pace e disarmo, ma livello nazionale la questione del Manifesto sarà sicuramente analizzata”, spiega ancora il coordinatore regionale della Filt Genova.
Intanto, parallelamente a Calp e Usb che hanno proposto di creare un osservatorio permanente sui traffici militari che sarà discusso a settembre con Comune, Prefettura e Capitaneria, la Filt chiede con forza l’intervento dell’esecutivo: “Ci sono delle regole – che magari vanno riviste -, ma dobbiamo avere un coordinamento che può arrivare solo dal governo. In queste vicende sono coinvolti molti ministeri – dalla Difesa, gli Esteri, al ministero dei Trasporti, dell’Interno, la presidenza del Consiglio. Noi vogliamo che ci sia un collegamento e un’informazione chiara per tutti che arrivi a fino ai lavoratori. Non sono operazioni che si fanno alla chetichella”. Il problema, dunque, è politico. Anche se c’è scetticismo, “ci aspettiamo che la politica si prenda la responsabilità di queste materie in maniera pratica e fattiva”. Dopo la mobilitazione del 2019, ricorda Poggi, il governo Conte aveva parlato di avviare normative che andassero a regolare il transito delle armi nei porti italiani. “Questo governo, però, ha abbandonato la linea, ma noi teniamo il punto: sono armi, vanno trattate in una maniera diversa e abbiamo il diritto di sapere cosa tocchiamo. Perciò il governo e la politica trovino gli strumenti giusti per tutelare innanzitutto dei lavoratori, ma anche i cittadini italiani”.
Elettra Raffaela Melucci
























