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Home - Approfondimenti - Interviste - Genovesi (Fillea Cgil): Questa crisi ci cambierà, profondamente

Genovesi (Fillea Cgil): Questa crisi ci cambierà, profondamente

di Massimo Mascini
24 Marzo 2020
in Interviste
Genovesi (Fillea Cgil): Questa crisi ci cambierà, profondamente

Il settore delle costruzioni è fermo, quasi completamente. I decreti del governo e gli accordi raggiunti tra sindacati e aziende del settore hanno disposto un blocco che tocca la gran parte delle attività, comprese quelle che pur autorizzate, per la Fillea Cgil non possono lavorare se non rispettando il protocollo del 14 Marzo e quello specifico sottoscritto il 19 con il Mit. Laddove è prevista una continuità dei lavori è comunque obbligatorio assicurare infatti le garanzie di fondo che garantiscono la sicurezza e salute dei lavoratori, sia riorganizzando i lavori che fornendo gli specifici Dispositivi di Protezione Individuale. Restano in piedi le lavorazioni connesse alle attività che devono comunque essere assicurate, a partire dalle manutenzioni, dall’edilizia ospedaliera e carceraria, dalla messa in sicurezza: tutto il resto è rinviato a un momento migliore. Per tutti i lavoratori è previsto l’intervento della cassa integrazione e gli accordi raggiunti in queste ore con le associazioni imprenditoriali del settore assicurano l’anticipo alla fine di aprile dei ratei accumulati in questi ultimi mesi presso le casse edili ed Edilcasse per la tredicesima, le ferie e l’Ape, l’anzianità professionale edile. Sono soldi dei lavoratori, che normalmente vengono erogati alla metà dell’anno o a dicembre, ma che vengono corrisposti adesso perché i lavoratori in cassa integrazione comunque hanno forti decurtazioni del loro salario. Alessandro Genovesi, segretario generale del sindacato di settore della Cgil, è preoccupato per il futuro del settore, ma sapeva che non era possibile comportarsi altrimenti.

Genovesi soffre il settore delle costruzioni in questa difficile congiuntura?

Il momento è difficile, noi siamo solidali con le confederazioni e con tutte le categorie di lavoratori per assicurare quanto possibile per fermare il contagio e garantire la salute dei lavoratori, a partire da quelli che dovranno continuare a lavorare per garantire i servizi minimi. Gli accordi con il governo e con le imprese, di qualsiasi natura, ci danno l’opportunità di raggiungere questi obiettivi, solo se prevarrà il senso di responsabilità di tutti, Confindustria in primis.

Cosa resta in piedi? Quali attività sono consentite?

In linea di massima tutta l’attività è ferma fino a nuovo ordine, restano al lavoro meno del 10% delle persone, per assicurare le forniture per imballaggi al settore agroalimentare, ai trasporti, alla sanità. Funzionano le manutenzioni connesse alle infrastrutture e restano aperti gli stabilimenti che non possono chiudere, come vecchie fornaci, che se fermate completamente non potrebbero più essere accese.

Le grandi opere sono state fermate?

Dove non potevano restare aperte, perché non in grado di assicurare il rispetto dei protocolli sì, abbiamo convenuto di rallentarle, prima di tutto per garantire la salute dei lavoratori e poi per la messa in sicurezza dei cantieri stessi. Una fermata completa non è mai possibile perché non si può lasciare una galleria o un viadotto senza che prima sia messo in “stallo”, il ritmo di lavorazione è comunque estremamente rallentato ovunque. Queste opere sono un po’ come gli altiforni in siderurgia, non si possono chiudere dall’oggi al domani, devono sempre restare in funzione, sia pure al minimo, assicurando la manutenzione necessaria. Ed è un peccato perché in questo settore, ma in generale in tutta l’edilizia negli ultimi mesi avevamo registrato una ripresa che ci faceva ben sperare. Ma la salute viene sempre prima di tutto, vale per chi lavora e deve avere priorità nei DPI e nell’attenzione del sindacato, vale per chi è in cassa integrazione e non va lasciato solo, va sostenuto economicamente e, se mi permetti, anche psicologicamente. Da qui l’accordo fatto ieri con Ance, Associazioni Artigiane, Confapi e Alleanza delle Cooperative per anticipare il pagamento agli operai. Poteva essere l’avvio di un momento generale di ripresa, anche considerando che le costruzioni hanno da sempre rappresentato un volano di sviluppo per l’insieme dell’economia. E’ il nostro rammarico, ma non si poteva fare altrimenti. Quando tutto ciò terminerà riprenderemo anche noi. Poi c’è da sperare nell’effetto rimbalzo, che, una volta che si riprenda a lavorare, la ripartenza sia forte proprio perché si deve superare il blocco subito. Il nostro settore, e quindi tutta l’economia, potrebbe registrare un nuovo salto in avanti.Ora la cosa più importante è dare la massima garanzia per la salute dei lavoratori. E’ il nostro impegno primario. Per questo abbiamo sostenuto le Confederazioni nel loro contraddittorio con le istituzioni e con le aziende. Dobbiamo guardare alla salute dei lavoratori oltre che alla garanzia delle imprese, seguendo 3 coordinate: sensibilità, responsabilità, capacità di imparare dagli errori fatti, in questi venti e passa anni di liberalismo…

Ci sono state frizioni, momenti difficili?

Come sempre in questo caso, ciascuno tende a far valere le proprie ragioni, ma le intese sono state soddisfacenti per tutti. Nei nostri settori, tranne in qualche caso, non c’è stato bisogno di ricorrere a scioperi, a pressioni troppo forti. Questo è importate proprio per la qualità dei nostri rapporti con le controparti, specie quelli futuri.

Siete preoccupati per il futuro dell’economia?

Il rischio che alcune delle aziende che adesso chiudono non riaprano più c’è, è inutile nasconderselo. Ma avremo modo di affrontare, assieme, anche queste cose, per il momento la nostra preoccupazione è tutta sulla durata di questa emergenza. Se torniamo alla normalità nel giro di qualche tempo, non lungo, possiamo farcela. Se i problemi vanno avanti a lungo aumenterà il numero delle imprese che non riapriranno, e c’è da temere anche per la continuità della corresponsione delle indennità degli ammortizzatori sociali. La cassa integrazione è assicurata per 9 settimane, ma non si sa per quanto tempo durerà.

Genovesi, forse questo momento, così difficile, potrebbe essere l’occasione per ridisegnare il paese, correggere le storture che si sono accumulate negli anni, riprendere a investire su salute, scuola, ricerca, cultura, per fare politica industriale, ma quella vera, che manca da decenni.

Questa crisi ci cambierà profondamente, cambierà la politica, le relazioni industriali, la cultura politica e sociale. Cambieremo anche noi, singolarmente presi. Mi auguro che tre cose tornino centrali: l’importanza di investire massicciamente sul welfare pubblico, non solo per la salute ma anche su formazione, assistenza, trasporti pubblici; una vera programmazione di medio termine da parte delle istituzioni in uno spirito davvero collaborativo che superi anche “scoordinamento” dei diversi livelli amministrativi, scommettendo in particolare su una profonda riconversione green delle nostre produzioni a partire proprio dall’edilizia (penso ai temi della rigenerazione, del trasporto su ferro, ecc.), l’attenzione per i lavoratori. Se questo paese non si è spento e non si spegnerà lo dobbiamo a medici e infermieri, certamente, ma anche a tutti coloro che a caro prezzo (perché anche la paura è un tema da non sottovalutare) hanno continuato e continueranno a lavorare, le cassiere dei supermercati, gli autotrasportatori, i corrieri, i manutentori e così via.

Ma ciò sarà possibile?

E’ una scelta obbligata, il modello del libero mercato non ha funzionato, è evidente. Siamo cambiati noi, deve cambiare tutto il mondo attorno a noi.

Infine una domanda sull’incontro di oggi tra Sindacati e Governo dopo il DPCM del 22 Marzo sulla chiusura delle attività. Cosa ne pensi?

Ritengo che si sia commesso un errore di merito sin dall’inizio: quello cioè di aver proposto come riferimento i Codici Ateco e non le attività e le filiere. Il codice Ateco non sempre coincide con le attività e tende a fotografare in maniera, anche larga, di più i settori. Ora nel caso specifico dei settori che segue la Fillea, di fatto i codici Ateco corrispondono in modo molto stringente alle attività, ma questo non è vero in altri settori come per esempio il metalmeccanico o i settori chimici e tessili. Poi c’è stato un errore di metodo: il Governo e Confindustria poteva legittimamente valutare, dopo aver approfondito la ramificazione delle filiere produttive, anche allargare a questa o quell’attività la possibilità di produrre, ma avrebbero dovuto prima confrontarsi nuovamente con il Sindacato e giungere ad una sintesi comune, anche contando sul forte senso di responsabilità che non da oggi, Cgil, Cisl e Uil stanno dimostrando. Confido che nell’incontro di oggi questo problema si superi “limando” meglio quanto previsto dall’Allegato 1 del DPCM. Per noi come Fillea, tranne qualche piccolo aggiustamento, le indicazioni vanno già bene, ma sosteremmo comunque tutti i lavoratori delle altre categorie cui Codici Ateco, se non meglio precisati, obblighino a lavorare anche quando ciò non serve, ne direttamente ne indirettamente, a garantire la tenuta del pubblico e dei servizi fondamentali alle persone e al Paese.

Massimo Mascini

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