Un terremoto senza epicentro. Così Luigi Giove, segretario generale della Cgil Emilia-Romagna, parla del virus e delle conseguenze sociali e produttive che sta causando nella sua regione e nel resto del paese. Sull’ipotesi di una serrata delle attività spiega come la salvaguardia della salute dei lavoratori sia la prima preoccupazione. Qualora non fosse garantita, allora non è da escludere la chiusura.
Giove, come valuta l’ipotesi di uno stop alle attività produttive?
Non sono un’autorità medica e non ho le competenze tecniche per decidere se le attività vanno chiuse o meno. Il mio ragionamento è molto semplice. Ci sono delle disposizioni che determinano degli standard di sicurezza per ridurre il contagio. Se nei luoghi di lavoro non è possibile rispettarle si riduce l’attività o si chiude. Altrimenti si può continuare a lavorare senza problemi. Ogni decisone deve essere tarata sulla salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori.
Quali sono le conseguenze per la sue regione?
Sicuramente si tratta di una situazione in continua evoluzione. All’inizio della crisi non abbiamo avuto particolari ripercussioni sul nostro sistema produttivo, anzi eravamo più preoccupati dai contraccolpi che potevano venire dalla Cina. L’unico segnale negativo è stato il comportamento schizofrenico di alcune aziende, che chiudevano o mandavano a casa i lavoratori. Con il passare dei giorni e delle ore lo scenario è radicalmente cambiato, e le conseguenze si iniziano vedere soprattutto sul turismo e il commercio, escluso ovviamente il comparto alimentare.
Che tipo di strumenti avete messo in campo?
Al livello regionale siamo stati i primi a fare un accordo per utilizzare i fondi residui della cassa in deroga, e temo che sul finire della settima questi accordi si moltiplicheranno in tutte le realtà produttive.
Con la chiusura della scuola come vi siete mossi con i congedi parentali?
Su questo versante sinceramente non abbiamo molti strumenti, e per questo abbiamo sollecitato un intervento rapido del governo. Se poi ci sarà la chiusura anche dei centri che assistono disabili e anziani, le famiglie dovranno sopportare un carico ancora maggiore.
Secondo lei cosa andava fatto diversamente nella gestione della crisi?
Bisognava essere molto più tempestivi nel dare aiuto a famiglie e imprese. Non si può decidere la chiusura delle scuole senza pensare, contemporaneamente, a come dare un sostegno ai genitori che lavorano. Serviva, e serve ancora, una visione d’insieme e non procedere a compartimenti stagni.
E cosa non andava fatto?
Quello che non andava fatto e che non va fatto è un DPCM al giorno. Queste modo frammentato di prendere le decisioni e di comunicarle non fa bene al paese e alle persone.
Si è molto discusso sul coordinamento governo e regioni, e sulle loro competenze, soprattutto in tema di sanità. In che modo questa crisi orienterà il dibattito futuro, anche quello legato all’autonomia differenziata?
Penso in maniera massiccia e significativa. Bisognerà riflettere molto sulle differenze nel modo di agire tra regione e regione e tra comune e comune. Tuttavia tutto quello che è stato deciso e fatto dalle amministrazione locali è avvenuto nel rispetto delle competenze che al momento gli sono riconosciute. Dunque prima di affrontare il tema dell’autonomia differenziata e parlare di quali compete dare ulteriormente alle regioni, sarà opportuno pensare a ciò che è stato fatto ora. Sicuramente quando si verifica un’emergenza su scala nazionale non è possibile pensare che i singoli comuni possano muoversi in autonomia.
Come vede la figura di un super commissario?
La figura di un super commissario la considero anticostituzionale, perchè antidemocratica.
Il sistema Italia subirà un danno di immagine?
È molto difficile prevederlo, e molto dipende da come procederà il virus. Se, come sembra, si tratta di un problema che interessa tutti i paesi, di certo non si potrà stigmatizzare solo l’Italia.
Passata l’emergenza cosa si dovrà fare?
Questo virus è come un terremoto senza epicentro. Passata l’emergenza si dovrà ricostruire. Purtroppo molte aziende chiuderanno, soprattuto tra le più piccole, che sono quelle con una minor rete di protezione. I servizi pubblici, e la sanità prima di tutto, dovranno avere una considerazione diversa da parte della politica, e non potranno più essere sottoposti al depauperamento di questi anni. E si dovrà anche ricostruire la dimensione sociale, fortemente messa a dura prova, anche a causa delle limitazioni alle libertà personali messe in campo.
Tommaso Nutarelli