di Raffaele Delvecchio – Sindacalista d’impresa
Il 31 gennaio scorso La Repubblica ha pubblicato due articoli, apparentemente slegati l’uno dall’altro: il primo, di Scalfari interviene nel dibattito aperto da Mieli sulla re-visione dei fatti del’60, in particolare quelli relativi ai moti di Genova di luglio del’60 e al Quirinale di luglio del’64. Il secondo, di Ruffolo, contiene un’intervista immaginaria a Keynes nel centenario della nascita. Scalfari difende la visione di vigilanza critica che quarant’anni fa lo portò, insieme a Jannuzzi, ai famosi “scoop” de L’Espresso. Ruffolo mette in bocca a Keynes giudizi critici sulle politiche dei Governi dell’occidente, definite “irresponsabili” perchè finanziarono “uno stato sociale disinvolto e le rivendicazioni corporative dei sindacati”.
Insomma, nonostante il lasso di tempo trascorso, il giudizio su quegli anni è ancora controverso. Anche se non bisogna dimenticare la saggezza di Chu En Lai: richiesto negli anni’70 di un giudizio sulla Rivoluzione Francese, rispose che non era passato ancora tempo sufficiente. Comunque, il mondo del lavoro può essere interessato: il d.lgs. 276/2003, ad esempio, ha forti nessi con l’architettura normativa approntata negli anni’60. Abbiamo imparato sui libri di diritto sindacale che la spallata dell’autunno caldo viene dopo e a causa del riformismo mancato. Se rivediamo il palinsesto legislativo di quegli anni, troviamo contenuti non coerenti con questo giudizio.
Il divieto di appalto di manodopera nel 1960, la limitazione nell’uso del contratto a termine nel 1962, l’introduzione della pensione di anzianità nel 1965 poi abrogata nel 1968, le limitazioni al licenziamento libero nel 1966, l’introduzione dell’intervento straordinario della C.I.G. e il prepensionamento nel 1968, la riforma pensionistica con l’introduzione del metodo retributivo e il ripristino della pensione di anzianità nel 1969, lo statuto dei diritti dei lavoratori nel 1970.
Non mi pare un “catalogo” scadente, anzi !
Ri-visti con attenzione, quegli anni peccano di riformismo mancato, e forse anche di un riformismo che mancò nel capire quanto fosse importante il cambiamento e la sua sostenibilità. Ciò non attenua le responsabilità della nostra classe dirigente (Salvati), ma induce a rivedere criticamente quelle politiche, non sempre interessate alla reale condizione del mondo dell’impresa e del lavoro: i due cardini del successo italiano, presenti nel cartiglio dell’esposizione universale di Torino del 1911, a cinquant’anni dalla proclamazione dell’unità d’Italia.