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Home - Approfondimenti - Analisi - Governo-sindacati: perché l’accordo 2021 non assomiglia a quello del 1993

Governo-sindacati: perché l’accordo 2021 non assomiglia a quello del 1993

di Nunzia Penelope
10 Marzo 2021
in Analisi
Siglato rinnovo Aec per i 50.000 addetti del comparto artigiano

Che cosa c’entra l’accordo firmato oggi a Palazzo Chigi tra il governo Draghi e Cgil, Cisl e Uil sul Pubblico Impiego con quello del 1993 tra il governo Ciampi e tutte le parti sociali? Praticamente niente, anche se in questi giorni si è molto insistito, soprattutto sui media, nel proporre l’uno come modello dell’altro. Ma è decisamente una forzatura. L’intesa di questa mattina, infatti, è un accordo quadro che ha come base la riforma della Pubblica amministrazione; per quanto fondamentale, nulla di paragonabile con il protocollo del 1993, un testo ampio e dettagliato, di grande respiro, che definiva le regole del gioco tra governo, sindacati e Confindustria e gettava le basi per la politica dei redditi degli anni a venire. Quella che si sarebbe poi definita, con una parola, concertazione. L’intesa con Ciampi, inoltre, era triangolare, cioè coinvolgeva anche le imprese, mentre l’accordo sottoscritto oggi è tra due sole parti in gioco: il governo, in quanto datore di lavoro del settore pubblico, e i sindacati. Entrambi gli accordi sono stati firmati nella Sala Verde di Palazzo Chigi, scelta simbolica, certo, ma non sufficiente ad accomunarli.

“E’ solo l’inizio” ha detto infatti lo stesso Mario Draghi, avvertendo che ”questa firma è sicuramente un evento di grande importanza, è il primo passo: ma molto, se non quasi tutto, resta da fare. C’è veramente molto da fare”, ha sottolineato. Malgrado l’understatement di Draghi, si è tuttavia scelto di dare a questa intesa un peso specifico che va oltre i suoi stessi contenuti. Un valore simbolico, dunque, innanzi tutto perché questo accordo sul lavoro pubblico rappresenta il primo atto di politica economica del governo, e poi perché erano ormai diversi anni che i sindacati a Palazzo Chigi non mettevano piede, a causa della tendenza dei governo Conte 1 e Conte 2, a fare da se’.  C’era stata, per la verità, nella primavera 2020, la firma sul protocollo per la sicurezza nei luoghi di lavoro, testo prezioso che ha consentito all’Italia di non fermare completamente le attività a causa del Covid. Ma anche in quel caso era un accordo tra due soli contraenti: Confindustria e sindacati, col Governo nel ruolo di testimone, o al massimo di notaio. Nessuna concertazione triangolare.

E’ dunque un forte simbolo, l’accordo presentato con tutti gli onori del caso questa mattina, soprattutto perché serve a dimostrare la volontà del governo di ristabilire un rapporto vero, concreto, costruttivo, con le parti sociali. Partendo, non a caso, proprio dal settore pubblico, terreno sul quale i sindacati di categoria hanno avuto non pochi problemi con chi ha preceduto Renato Brunetta a Palazzo Vidoni (Fabiana Dadone, oggi traslocata alle politiche giovanili), tanto da indire uno sciopero del pubblico impiego nell’autunno scorso. Oggi il governo Draghi raccatta i cocci del rapporto interrotto, o mai iniziato. Ed è molto significativo anche il fatto che sia proprio Renato Brunetta a sancire la pace: cioè colui che in un altro mondo, in un altra era, con la sua riforma della pubblica amministrazione, lanciata con lo slogan ”guerra ai fannulloni”, aveva creato non poche tensioni nel settore. Resta che per ora l’intesa è soltanto una cornice, che si dovrà via via riempire di contenuti. E infatti da venerdì inizierà la trattativa vera, quella con i sindacati di settore, per definire i rinnovi dei contratti pubblici, le assunzioni, i concorsi, e tutto il resto.

C’è anche da dire che l’accordo firmato oggi esclude una parte dei sindacati, ovvero gli autonomi, non convocati a Palazzo Chigi assieme alle tre confederazioni, malgrado abbiano un certo peso nel settore pubblico. Proprio nella volontà, diciamo, di non averli in mezzo, qualcuno spiega la segretezza assoluta con cui Palazzo Vidoni e le centrali confederali di Cgil Cisl e Uil hanno lavorato in queste settimane per mettere a punto il testo dell’accordo. Inoltre,  la limitatezza dell’accordo, circoscritto appunto al settore pubblico, rispecchia probabilmente anche la volontà della Cgil di non impelagarsi in una trattativa a tutto campo. Maurizio Landini ha più volte spiegato di preferire una serie di intese su singoli temi: oggi il lavoro pubblico, poi gli ammortizzatori sociali, il fisco, eccetera. Anche questa è una differenza non da poco rispetto all’intesa del 1993, che, per l’appunto, affrontava un insieme vastissimo di tematiche, tutte strettamente collegate le une alle altre da un unico filo conduttore.

Insomma, non c’è dunque nulla che avvicini l’accordo Draghi 2021 con l’accordo Ciampi 1993? Qualcosa in realtà c’è:  e sono le condizioni di emergenza assoluta del paese. Nel 1993 l’emergenza era la crisi economica iniziata un anno prima (e parzialmente risolta da Giuliano Amato con l’accordo del luglio 1992 che, per dirla gergalmente, ”ci metteva una pezza”), crisi che a sua volta si inseriva in un contesto politico disastroso, con i partiti decimati da Mani Pulite e  le imprese a loro volta decapitate dagli arresti di grandi nomi dell’industria. La firma del protocollo Ciampi salvò l’Italia dalla catastrofe, restituendo stabilità all’economia e credibilità al paese. L’intesa di oggi sul pubblico impiego, nel suo piccolo, si inserisce in un quadro nazionale non troppo dissimile da quello di quasi trent’anni fa, sia pure per motivi totalmente diversi: viviamo anche oggi una crisi economica gravissima, causata dal Covid, e vediamo un sistema politico nuovamente sconvolto e in pericolosa fibrillazione.

Una differenza sostanziale, rispetto al 1993, è che, oggi, a salvarci (almeno dalla crisi economica, la politica è un altro discorso) arriverà il NextGenerationEu. Che tuttavia, per essere utilizzato nel migliore dei modi, richiede la collaborazione di tutti i soggetti – governo, politica, parti sociali – e  soprattutto la massima coesione sociale. Esattamente la stessa coesione sociale che era indispensabile per portare il paese fuori dal pantano nel 1993, e che si ottenne grazie alla sapiente lungimiranza di Ciampi. E che oggi si spera di realizzare nuovamente, grazie a Mario Draghi, passo dopo passo.

Nunzia Penelope

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Vicedirettrice de Il Diario del lavoro

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