Il Lombardia il fenomeno delle grandi dimissioni sta volgendo al termine, ma non per tutti. Donne e giovani, infatti, ne sembrano ancora interessati. È quanto emerge da un’indagine condotta dalla Cisl regionale su un campione di 17mila lavoratori che, dal post pandemia ad oggi, ha presentato domanda di dimissioni presso gli sportelli del sindacato.
Le Great Resignation sono state un fenomeno globale che ha interessato il mondo del lavoro, ovviamente con le differenze legate alle specificità di ogni paese, negli anni immediatamente successivi alla crisi causata dalla pandemia. Una scelta, quella di lasciare il posto di lavoro, riconducibile allo stress accumulato durante i mesi più duri del covid, al bisogno di riappropriarsi dei tempi della propria vita, oppure mossa dal desiderio di trovare un’occupazione diversa, maggiormente gratificante sotto il profilo della carriera e della retribuzione.
In Italia, per quantificare il fenomeno, i numeri degli anni passati parlano di 1 milione e 839mila dimissioni nel 2019, in calo di 273mila unità nel 2020, a causa dell’esplosione della pandemia, e di una risalita nel 2021, con poco più di 2milioni, arrivate a 2,2milioni nel 2022. Ma come certificano le analisi della Banca d’Italia, molti lavoratori hanno cambiato impiego all’interno dello stesso settore, oppure hanno rassegnato le dimissioni solo con la certezza di una nuova occupazione. Dunque non si è trattato di un vero e proprio salto nel vuoto.
Nell’indagine della Cisl lombarda, il campione preso in esame è composto da donne per il 52,4% e da uomini per il restante 47,6%. L’età media è di 43 anni e il 32,8 % ha meno di 36 anni. Per quanto riguarda il titolo di studio il 23,4% sono laureati e il 76,6% hanno un diploma. Nella ricerca emerge come le principali motivazioni che hanno spinto alle dimissioni siano l’eccessivo stress (36%), il clima aziendale e le relazioni professionali (34,9%), la prospettiva di un miglioramento economico (29%) e una maggior conciliazione grazie allo smart working (26,2%).
Ma a incidere sulla scelta pesa anche e soprattutto il genere e l’età. Per le donne la necessità di soddisfare il carico di cura aumenta del 4% la propensione a dimettersi, mentre le prospettive di un lavoro economicamente più appagante o stimolante per la carriera registrano una percentuale negativa, -4,5 e -4,8%. Per gli under 36 il poter conciliare meglio vita e lavoro, il troppo stress e un ambiente di lavoro più dinamico incidono rispettivamente con un +15%, +14,5% e +11,2% rispetto agli over 35. Dunque le grandi dimissioni non sono per tutti e non allo stesso modo e, per oltre la metà deli intervistati, non si sono tradotte in un salto nel vuoto. Infatti il 60% quando ha rassegnato le dimissioni aveva già all’orizzonte un nuovo impiego. Inoltre lo studio registra una transizione all’interno dello stesso settore, in particolare nella sanità (85%) e nel terziario avanzata (75%).
C’è, tuttavia, un mutamento della stabilità occupazionale perché il 75,6%, che prima delle dimissioni aveva un contratto a tempo indeterminato, dopo scende al 57,3%. Ma questo cambio non incide negativamente e non genera rimorsi in chi ha compiuto questa scelta. Infatti il 93% degli intervistati presenterebbe di nuovo le dimissioni e quasi l’88% del campione afferma di essere molto o abbastanza soddisfatto della nuova situazione lavorativa.
Tommaso Nutarelli