Non siamo ancora entrati in una fase di consolidamento, anche per i fattori di rischio e incertezza che animano lo scenario nazionale e internazionale a causa delle conseguenze della pandemia. È questo il commento di Giorgio Graziani, segretario confederale della Cisl. Dal Mise, dice Graziani, apprezziamo lo sforzo di trovare delle soluzioni alle tante vertenze aperte, ma delle buone intenzioni si deve passare ai fatti. Da una certa parte molto ideologizzata della politica c’è ancora un atteggiamento ostile nei confronti dell’industria, ma il paese non può prescindere dalla sua spinta per lo sviluppo.
Graziani i dati Istat certificano una ripresa dell’industria. Ma abbiamo davanti una ripresa strutturale o ci sono ancora delle criticità?
I dati dell’Istat sull’industria sono numeri incoraggianti, che ci indicano come il cammino intrapreso sia quello giusto. Ma la ripresa è ancora timida ed ha bisogno di essere consolidata. Le stime di maggio sulla produzione, infatti, segnano per la prima volta una battura d’arresto. In Italia e in Europa non siamo ancora totalmente usciti dall’emergenza pandemica, e in altri paesi la situazione è ancora più grave. Dunque permangono ancora fattori di rischio e incertezza, sia al livello nazionale che internazionale. L’ottimismo deve essere ancora abbinato a una certe dose di cautela.
La moda e i settori affini sono gli unici comparti ancora coperti dall’ombrello del blocco dei licenziamenti. Questo vuol dire che altre filiere produttive sono effettivamente fuori dalla pandemia?
Noi pensiamo di aver raggiunto un accordo positivo con il Governo, allargando le soluzioni trovate della cabina di regia e firmando un avviso comune importante che raccomanda l’utilizzo di tutti gli strumenti alternativi agli esuberi ed ai licenziamenti. Era giusto confermare il blocco in alcuni settori più a rischio come il tessile ed il calzaturiero, ma altrettanto importante è aver conquistato 13 settimane di cig gratuita per tutte le crisi aziendali aperte al Mise ed a livello locale. Ci sono tanti settori in sofferenza, come l’automative, soprattutto per quanto riguarda la componentistica, così come una parte della chimica e della gomma-plastica.
Molte vertenze sono ancora aperte al Mise. Qual è la situazione?
Apprezziamo molto l’atteggiamento propositivo e volenteroso del Mise. I tavoli di discussione sulle vertenze sono aperti, cosi come quelli relativi a specifici settori, ossia moda e automotive. Ma delle buone motivazioni è tempo di passare ai fatti. Il punto non è capire se le vertenze aperte siano più o meno di cento, ma trovare delle soluzioni per gli oltre 100mila lavoratori coinvolti in queste crisi. Se portiamo una vertenza al Mise è perché crediamo che quell’azienda e quella filiera siano strategiche per la nostra economica. Oggi le condizioni per far bene ci sono tutte. Il Pnrr è un’occasione che non possiamo perdere per rilanciare la politica industriale in un quadro di sostenibilità ambientale, innovazione, qualità.
Secondo lei perché c’è questa situazione? Manca la volontà politica?
Non credo che manchi la volontà. Occorre una grande capacità progettuale ed una nuova visione di politica industriale che nel nostro paese manca da anni. Trovare poi delle soluzioni in tempo di pandemia non è facile. Inoltre molte di queste vertenze si trascinano da anni a causa di una insufficiente istruttoria o di scelte discutibili dei Governi. Il bandolo della matassa è sempre più complesso.
Come valuta il Pnrr?
Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ci sono elementi senza dubbio positivi, come l’attenzione per piccole e medie imprese, che sono il cuore del nostro sistema produttivo, la riduzione delle disparità economiche e sociali tra Nord e Sud, l’attenzione alla transizione ecologica e digitale. Dunque il perimetro degli interventi è più che positivo. Quello che però noi chiediamo da tempo è di essere coinvolti nella governance. Bene la direzione intrapresa, ma ora bisogna definire la progettualità e soprattutto la fattibilità degli interventi. La Cisl ha sempre dichiarato la sua disponibilità nel dar vita a un grande patto sociale per il paese.
Quanto ha pesato in questi anni l’assenza di una politica industriale?
Molto. Purtroppo in questi anni è stato lasciato tutto in mano al mercato o all’iniziativa delle singole aziende o dei singoli territori, e questo non ha fatto altre che aumentare le disparità già esistenti o le delocalizzazioni. Ma se vogliamo continuare a essere la seconda manifattura in Europa non possiamo prescindere da una politica industriale degna di questo nome.
Crede che in questi anni ci sia stato un atteggiamento di ostilità, anche da parte di certa politica, nei confronti del mondo dell’industria?
Ci sono state sicuramente posizioni ideologiche molto radicali ed anche scelte discutibili, come e’ accaduto nel passato per la ex Ilva. Quando si parla di transizione ecologica si deve pensare a un processo che non è immediato, che richiede del tempo, anche perché non abbiamo ancora tutte le tecnologie a disposizione. Oggi il tema è saper conciliare lo sviluppo industriale e la tutela dell’ambiente, sapendo che nessun settore economico e produttivo può fare a meno dell’altro. Bisogna sostenere tutti i comparti strategici per l’economia del paese, come il turismo ed il terziario, in una logica di sistema, sapendo che non si può prescindere dalla spinta innovativa e tecnologica dell’industria.
Tommaso Nutarelli