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Home - Approfondimenti - Analisi - I limiti della riforma

I limiti della riforma

18 Novembre 2004
in Analisi

di Madia D’Onghia – ricercatrice all’Università di Foggia

1. Negli ultimi anni, il tema della previdenza pensionistica complementare è stato sempre più al centro dell’attenzione del mondo politico e sindacale, anche in considerazione del fatto che ormai l’unico regime pensionistico in grado di assicurare alle generazioni future standard di prestazioni pensionistiche tollerabili dovrà necessariamente essere articolato su due pilastri, pubblico e privato. La previdenza pubblica, infatti, per sopportare il sempre maggior numero di anziani e il minor numero di contribuenti dovrà ridurre sensibilmente la quota di pensione riferita all’ultimo reddito, che potrà oscillare mediamente dal 30% per gli autonomi al 60% per i dipendenti con molti anni di lavoro.

Proprio il sostegno della previdenza complementare costituisce uno dei tasselli più significativi della tanto pubblicizzata, discussa ed avversata riforma pensionistica voluta dal Governo Berlusconi, approvata in Parlamento il 28 luglio scorso, divenuta legge con il n. 243 del 23 agosto 2004 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 222 del 21 settembre 2004) ed entrata in vigore il 6 ottobre 2004. Si tratta di una legge delega costituita (per esigenze parlamentari di contenimento dei tempi di votazione sulla fiducia chiesta dal Governo sul provvedimento) da un solo articolo e ben 55 commi che potrà tuttavia essere pienamente operativa soltanto fra alcuni mesi, dopo l’emanazione dei numerosi decreti attuativi previsti dalla legge stessa.

Si tratta di una riforma a tutto tondo, poiché interesserà la totalità dei lavoratori: dipendenti privati e pubblici, autonomi e parasubordinati, lavoratori già in possesso di un’anzianità contributiva e che si apprestano a entrare per la prima volta nel mondo del lavoro.


Pur non potendo effettuare valutazioni approfondite, visto che si tratta di una delega al Governo e, quindi, di una serie di disposizioni che richiederanno successivi provvedimenti attuativi, è possibile procedere ad alcune prime riflessioni sui criteri e i principi direttivi che interesseranno l’attuale sistema della previdenza pensionistica privata, cercando di far emergere gli aspetti più problematici. In tale prospettiva, va evidenziato, in via preliminare, come, sul piano della tecnica legislativa, il legislatore abbia utilizzato un lessico poco preciso con formule, talvolta, di estrema sintesi e ‘pericolosamente’ indeterminate che rendono il testo di legge, in alcune sue parti, di difficile lettura e interpretazione. Fatta questa avvertenza, è possibile ricondurre sostanzialmente l’operazione di restyling della previdenza integrativa a quattro principali direttrici:


a)        incremento del gettito contributivo rivolto ai fondi pensione tramite il conferimento del Tfr;


b)        incremento della concorrenzialità tra le diverse forme previdenziali, mediante la revisione e il miglioramento delle regole per la portabilità della posizione individuale tra le stesse e l’eliminazione dei vincoli per le adesioni collettive a fondi aperti;


c)        perfezionamento del sistema di vigilanza e semplificazione delle procedure amministrative;


d)        ridefinizione della disciplina fiscale della previdenza complementare.


 


2. a) Sul primo versante la riforma punta, come già parzialmente fatto in passato, sulla smobilizzazione totale del Tfr che continua a costituire per il legislatore il “pezzo” di stipendio più appetibile da far confluire nella previdenza complementare, nella convinzione di aggredire una somma che non è considerata essenziale per soddisfare i bisogni primari del lavoratore. Si prevede il trasferimento tacito, salvo diversa scelta del lavoratore, del Tfr maturando (e, dunque, solo delle quote di Tfr che i lavoratori matureranno da una certa data in poi) ai fondi pensioni. In particolare, con le nuove regole, il Tfr sarà destinato automaticamente alle forme pensionistiche complementari in tutti i casi in cui non intervenga una «diversa esplicita volontà espressa dal lavoratore». Il perdurante silenzio del lavoratore sarà inteso come assenso quando saranno decorsi 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo delegato, in ipotesi di rapporti in corso a tale momento, ovvero decorsi 6 mesi dall’assunzione del lavoratore, negli altri casi. Il Governo è anche delegato a individuare tali «modalità tacite di conferimento del Tfr» e ciò vuol dire che per conoscere le specifiche modalità secondo le quali sarà considerato efficace il silenzio assenso bisognerà attendere i decreti legislativi attuativi. Le disposizioni sul Tfr e sulle modalità tacite di conferimento dello stesso alla previdenza complementare riguarderanno anche i lavoratori dipendenti di enti o aziende i cui rapporti di lavoro non sono disciplinati da contratti o accordi collettivi, nonché i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro. Il Tfr non trattenuto in azienda potrà confluire, oltre che ai fondi negoziali istituiti o promossi dai lavoratori o dalle organizzazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro, così come fino a oggi, anche ai fondi promossi dalle Regioni, tramite loro strutture pubbliche o a partecipazione pubblica all’uopo istituite.


Queste nuove previsioni appaiono confuse e poco intelligibili: non si capisce, infatti, come si possano ipotizzare” tacite” modalità di conferimento ai fondi, senza che il lavoratore abbia espresso la sua volontà e soprattutto non si comprende con quale ordine di priorità verrebbe effettuata la scelta.


Il legislatore delegante, inoltre, nel prevedere la destinazione delle quote di Tfr, maturato e maturando in capo ai lavoratori, a finanziamento della previdenza complementare, non opera alcuna distinzione all’interno della categoria dei lavoratori, dimenticando che la categoria non è unitaria ma che al suo interno occorre distinguere fra lavoratori per i quali persiste il modello previdenziale obbligatorio di tipo retributivo, lavoratori nei confronti dei quali convive il sistema retributivo e quello contributivo e, infine, lavoratori che ricadono sotto la vigenza del modello contributivo.


Per quanto attiene i fondi regionali, poi, ai quali il Governo sembra voler demandare il vero decollo della previdenza complementare, va evidenziato che per effetto congiunto della norma che prevede il conferimento tacito a favore dei fondi istituiti o promossi dalle Regioni, della norma che assegna alle Regioni competenze (sia pure concorrenti) in materia di previdenza complementare nonché delle istanze sempre più decise di un assetto istituzionale che valorizzi le Regioni, potrebbe affermarsi e consolidarsi un sistema di fondi pensione radicati sul territorio e molto disomogeneo.


Al riguardo si ha notizia che in alcune Regioni (Veneto, Lombardia, Toscana, Lazio) siano già in fase avanzata i relativi studi di fattibilità che addirittura sembrano prefigurare la disponibilità delle Regioni a farsi carico anche di oneri relativi al funzionamento (copertura parziale dei costi di gestione amministrativa) o al finanziamento (per alcuni casi particolari: ad esempio, maternità) dei fondi pensione relativi. Ciò rischia di creare un sistema di fondi integrativi frantumato, con regole estremamente diversificate per i lavoratori e con il rischio di far dipendere il diritto all’integrazione pensionistica dal fatto che il lavoratore risieda in una Regione o in un’altra.


La previsione del meccanismo del silenzio-assenso per l’utilizzo del Tfr potrà dare luogo a tante altre problematiche che dovranno essere necessariamente chiarite durante la fase attuativa della legge delega. Ad esempio, nel caso in cui il lavoratore non manifesti espressamente la propria scelta, vi è la necessità di stabilire chiari criteri di individuazione del fondo pensione di destinazione, quando per lo stesso soggetto vi è l’assenza di un fondo negoziale di riferimento, oppure, viceversa, la contemporanea esistenza di più forme pensionistiche collettive.


Le imprese, da parte loro, sconteranno, seppur parzialmente e in modo attenuato, i riflessi negativi di tale riforma: in primo luogo esse non potranno più fare affidamento sul Tfr maturando, fino a oggi considerato un’ottima fonte di finanziamento a basso costo e, inoltre, dovranno gravarsi della più complessa gestione del personale. Basti pensare a quello che potrebbe accadere, ad esempio, nelle piccole imprese, dove la totalità dei dipendenti scelga un fondo sempre diverso da quello preferito dagli altri lavoratori: la gestione amministrativa dei contributi da far confluire ai fondi, inevitabilmente, subirebbe un incremento esponenziale.


A compensazione di tali oneri la legge delega prevede agevolazioni in termini di facilità di accesso al credito, di equivalente riduzione del costo del lavoro e di eliminazione del contributo relativo al finanziamento del fondo di garanzia del Tfr. La riduzione del costo del lavoro si riferirà in particolare all’elevazione, fino a un punto percentuale, del limite massimo di esclusione dall’imponibile contributivo delle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali o di secondo livello.


Le nuove previsioni potrebbero produrre effetti non del tutto positivi neanche per i lavoratori, i quali vedranno ridursi le possibilità di chiedere anticipazioni del Tfr rispetto a quanto concesso ai lavoratori che lasciano il Tfr in azienda; si allontanano i tempi della sua percezione, in quanto il lavoratore lo potrà percepire non più ogni volta che cessa il rapporto di lavoro, ma solo quando matura i requisiti per il trattamento previdenziale da parte del fondo; non avranno più la disponibilità dell’intero Tfr in un’unica soluzione, ma solo una parte potrà essere percepita in capitale, mentre l’altra dovrà necessariamente essere trasformata in rendita periodica, cioè una mini pensione che sarà corrisposta mensilmente. Potranno evitare tutto questo solo quei lavoratori che non aderiranno alla previdenza complementare.


 


3. b) Dopo le disposizioni sul trasferimento tacito del Tfr, che per la loro portata ‘rivoluzionaria’ portano a considerare la riforma del 2004 una riforma più del Tfr che delle pensioni, un’ulteriore rilevante novità è rappresentata dalla previsione di una totale equiparazione tra le diverse forme di previdenza complementare e conseguentemente dalla possibilità di accedere liberamente a quella che il lavoratore ritiene più idonea e più conveniente.


La legge delega prevede, infatti, che al fine di incrementare l’entità dei flussi di finanziamento alle forme di previdenza complementare, dovranno essere adottate misure che consentano l’eliminazione degli ostacoli che si frappongono alla libera adesione e circolazione dei lavoratori all’interno del sistema della previdenza complementare, definendo regole comuni in ordine alla comparabilità dei costi, alla trasparenza e portabilità, al fine di tutelare l’adesione consapevole dei soggetti destinatari.


In particolare, l’attenzione del legislatore delegato dovrà orientarsi al sostegno di tutte le forme pensionistiche complementari, siano esse istituite su base collettiva sia individuali, garantendo sempre e comunque la libera scelta del beneficiario il quale potrà, con varie forme, esplicite o tacite, conferire il proprio contributo al fondo che più gradisce. A tal fine, la riforma prevede scrupolosamente che il lavoratore sia sempre adeguatamente informato sulle condizioni di accesso alla previdenza complementare e sul regolamento degli enti che ne gestiranno i contributi. Fra questi, potranno essere presenti anche enti di previdenza obbligatoria, ai quali il legislatore consentirà di attivare fondi a cui destinare, in via residuale, le quote del Tfr non altrimenti devolute.


Non può essere sottaciuto il pericolo di tale completa equiparazione tra le diverse forme di previdenza complementare (fondi negoziali, fondi aperti, piani pensionistici individuali) dal momento che si mettono sullo stesso piano soggetti e prodotti che non sono equiparabili. I fondi negoziali avviati con la contrattazione collettiva considerano soci gli aderenti, così non è per le altre forme pensionistiche complementari. Di conseguenza i fondi negoziali sono dotati di regole per i diritti dei soci, di garanzie contrattuali e di veri strumenti di controllo e di intervento sugli indirizzi e sugli andamenti di gestione ed in più possono conservare ai soci il diritto di disporre di quote di TFR per far fronte ad esigenze di cura, formazione e tutela della rendita pensionistica.


Il rischio è che la completa equiparazione tra fondi negoziali, fondi aperti e polizze individuali, parificando di fatto soggetti che non sono tra loro equiparabili, snaturi e depotenzi il ruolo della previdenza complementare.


Un ulteriore diritto attribuito al lavoratore è quello di poter liberamente disporre, ai fini della sua destinazione, anche del contributo dovuto dal datore di lavoro che, verosimilmente, confluirà nello stesso fondo prescelto per la destinazione dei contributi a suo carico o, in assenza di una esplicita volontà in tal senso, nel fondo automaticamente e alternativamente attivato che assicurerà la sua previdenza complementare. In altri termini, i datori di lavoro saranno obbligati unicamente al versamento della contribuzione per la previdenza integrativa, mentre i lavoratori decideranno a che fondo far confluire tali somme.


Ma qui il legislatore delegante non prevede l’ipotesi di inadempimento da parte del datore di lavoro e non dice pertanto alcunché su quali siano le forme di tutela del lavoratore con riguardo specifico alle quote di Tfr non versate. In breve è da chiedersi se trattandosi sempre di contribuzione Tfr, si possa ipotizzare l’intervento del fondo di garanzia che si sostituisca al datore di lavoro nel pagamento della contribuzione dovuta a tale titolo e da versare al fondo di previdenza integrativa.


E’ previsto, poi, un incentivo che rende particolarmente appetibile il concorso alla previdenza complementare, soprattutto in considerazione delle differenze che attualmente distinguono tale previdenza a vantaggio di quella di base. Si tratta di riconoscere anche alle prestazioni di previdenza complementare il diritto di non cedibilità, di non sequestrabilità e di non pignorabilità. Viene così accolto quanto sottolineato più volte dalla Covip circa la problematica della cessione (al fine di garantire o estinguere debiti contratti con il datore di lavoro o soggetti terzi) dei crediti vantati dagli iscritti verso i fondi pensione, a fronte di contratti di finanziamento, nonché in merito al problema della sequestabilità e pignorabilità delle prestazioni.


La riforma, inoltre, prevede espressamente che tutti i maggiori risparmi e tutte le maggiori entrate derivanti dalle misure di contenimento, introdotte prioritariamente nel sistema pubblico delle pensioni, vengano destinati alla riduzione del costo del lavoro nonché a specifici incentivi per promuovere lo sviluppo delle forme pensionistiche complementari anche dei lavoratori autonomi.


 


4. c) In ordine alla terza direttrice, la riforma prevede un’ampia operazione di semplificazione delle procedure di autorizzazione dell’esercizio delle attività di previdenza complementare, di riconoscimento della personalità giuridica dei fondi pensione e di approvazione degli statuti e dei regolamenti dei medesimi. La semplificazione, tra l’altro, potrà prevedere anche l’utilizzo di strumenti quale il silenzio assenso.


Con la riforma si cercherà anche di rafforzare il management dei fondi pensione, ponendo particolare cura nella scelta di persone particolarmente qualificate e indipendenti, e di stringere ancor più le attività di vigilanza esercitate dalla Covip, anche prevedendo una maggiore incisiva rappresentanza delle organizzazioni sindacali che aderiscono al fondo. Con il riconoscimento poi del diritto alla contitolarità con gli iscritti (cioè con i lavoratori) del diritto alla contribuzione, i fondi potranno meglio agire contro i datori di lavoro inadempienti, sia per contributi sia per Tfr non versati, potendo all’occasione anche chiedere, in rappresentanza dei propri iscritti, l’eventuale danno previdenziale derivante dal mancato conseguimento dei relativi rendimenti. I fondi pensione saranno dunque legittimati a rappresentare i lavoratori nelle controversie aventi ad oggetto i contributi omessi e potranno anche ricorrere a forme di riscossione coattive e ciò può significare, tra l’altro, l’attribuzione ai fondi pensione della facoltà di iscrivere a ruolo le somme dovute e non pagate dai datori di lavoro, con conseguente emissione da parte dei concessionari alla riscossione delle cartelle di pagamento.


d) Novità, infine, sono previste anche sul versante fiscale che, come già avvenuto per il passato, è utilizzato per incrementare l’appetibilità delle forme pensionistiche complementari. In particolare, gli incentivi dovranno orientarsi verso un ampliamento dei limiti di deducibilità, sia a beneficio dei lavoratori dipendenti sia a beneficio dei piccoli e medi imprenditori, nonché verso un abbattimento della ritenuta che grava sui rendimenti delle attività poste dai fondi.


 


5. Questa rapida analisi delle novità in tema di previdenza complementare evidenzia come il testo legislativo uscito dal Senato non sia complessivamente condivisibile e come molte delle scelte compiute risultino contraddittorie, generiche e soprattutto non rispondenti all’obiettivo, pur condivisibile, di rafforzare il sistema di previdenza complementare con regole più efficienti e di omogeneizzare le diverse forme pensionistiche.


Perplessità solleva, ad esempio, la previsione per cui tutte le scelte finalizzate al rafforzamento della previdenza complementare siano subordinate al fatto che il trasferimento del Tfr ai fondi pensione non dia luogo ad oneri per le imprese, prevedendo, oltre alle necessarie e giuste compensazioni in termini di accesso al credito soprattutto per le aziende piccole e medie, anche un’equivalente riduzione del costo del lavoro. In nome della libertà individuale si finisce per mutare sostanzialmente il valore dei contratti collettivi riguardanti la costituzione del Tfr e le sue salvaguardie.


Quanto poi, all’individuazione di modalità tacite di conferimento del Tfr ai fondi pensione qualora il lavoratore non esprima, entro un termine fissato, la volontà di non aderire ad alcuna forma pensionistica e non abbia esercitato la facoltà di scelta in favore di una delle forme medesime, si tratta di un’opzione legislativa anche questa opinabile. Contrariamente a quanto avrebbero voluto le parti sociali, convinte di far decollare la previdenza complementare con il loro fattivo impegno teso a un coinvolgimento di tutti i lavoratori, ci si trova dinanzi ad una ipotesi di allocazione del Tfr che passa attraverso il silenzio del lavoratore e la scelta autoritativa del legislatore.


Queste sono solo alcune delle criticità presenti nella legge n. 243 del 2004 che non potranno essere ignorate dal Governo; a questo punto non resta che attendere l’avvio del lavoro impegnativo di attuazione della delega, dove sarà necessario fare estrema chiarezza su una molteplicità di profili, in questa sede solo sinteticamente accennati, anche con l’ausilio delle parti sociali, che dovrebbero essere le autentiche co-protagoniste della riforma, co-protagonismo che, a quel che consta, è tuttavia mancato nell’approvazione della legge delega.


 

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