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Il Diario del Lavoro

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Home - Approfondimenti - Analisi - I Patti per l’occupazione e la competitività

I Patti per l’occupazione e la competitività

24 Marzo 2005
in Analisi

di Volker Telljohann, Fondazione Istituto per il Lavoro

Il 2004 sarà ricordato come l’anno in cui si è accesa la discussione sul presunto crollo di competitività della Germania. Le imprese e le loro associazioni sostengono che l’orario di lavoro settimanale e i livelli di retribuzione minano la competitività della Germania come luogo di produzione. Inoltre, viene criticata la rigidità del sistema di contrattazione collettiva perché secondo le imprese non dà sufficientemente spazio a soluzioni flessibili che tengano conto delle specifiche esigenze delle singole realtà produttive.

I gruppi multinazionali minacciano sempre più spesso di delocalizzare parte delle loro attività o di spostare investimenti futuri in paesi con un minore costo del lavoro. In molti casi queste minacce portano alla stipula di accordi caratterizzati sia da concessioni da parte dei consigli di azienda, sia da garanzie del management rispetto al mantenimento dei siti produttivi per un determinato periodo di tempo. Per i dipendenti questi accordi spesso implicano un deterioramento delle condizioni di lavoro e dei livelli retributivi. Il sindacato tedesco guarda con sospetto la crescente tendenza con cui le aziende ricorrono a questo tipo di accordi, perché in sempre più casi i compromessi fra management e rappresentanti dei lavoratori implicano deroghe agli standard definiti dal contratto collettivo di categoria. Ormai la crescente decentralizzazione della contrattazione collettiva in Germania sta portando anche a adeguamenti a livello dei contratti collettivi di categoria, come dimostra il contratto collettivo di categoria dell’industria metalmeccanica.

Il contratto collettivo di categoria dell’industria metalmeccanica tedesca

 


Il contratto collettivo di categoria dell’industria metalmeccanica firmato a febbraio 2004 ha allargato ulteriormente le possibilità di utilizzo delle cosiddette clausole di apertura e, ha portato inoltre a un’ ulteriore flessibilizzazione delle regolazioni in materia di orario di lavoro. Viene fra l’altro stabilito che al fine di migliorare in modo durevole lo sviluppo dell’occupazione le parti contraenti potranno derogare, temporaneamente, agli standard minimi contrattuali. Successivamente questa clausola ha portato numerose aziende ad avanzare le loro richieste di deroga. L’interesse delle imprese riguarda soprattutto l’allungamento dell’orario di lavoro, la variabilità delle retribuzioni e l’abbassamento del salario. È comunque importante che l’impiego delle clausole di apertura presupponga l’approvazione del sindacato. Inoltre, il sindacato chiede la possibilità di verificare e controllare l’applicazione degli accordi. 


 


 


L’ultima generazione dei patti per l’occupazione e la competitività


 


 


È interessante osservare che proprio l’anno che ha visto sancire l’allargamento dell’Unione europea è stato caratterizzato da una nuova ondata dei cosiddetti patti per l’occupazione e la competitività. Sono gli accordi stipulati da gruppi multinazionali come Siemens, DaimlerChrysler, Volkswagen, Bosch, General Motors, Karstadt, Philips, Braun Melsungen, BASF e Deutsche Bahn (Ferrovie tedesche) che hanno fatto discutere maggiormente anche a livello europeo. Per la maggior parte si tratta di gruppi altamente redditizi che minacciano processi di delocalizzazione in caso non si riuscisse a ridurre in modo significativo il costo del lavoro.


A giugno 2004 alla Siemens è stato firmato un accordo in cui si prevede che in due stabilimenti tedeschi l’orario di lavoro settimanale passi per due anni da 35 ore contrattuali a 40 senza aumento di salario. La tredicesima e la quattordicesima vengono sostituite da un bonus legato all’andamento aziendale. Attraverso queste misure il reddito lordo dei dipendenti si riduce di circa il 14 %. Così è stata evitata la delocalizzazione della produzione in Ungheria. L’accordo ha quindi permesso il mantenimento di circa 4.000 posti di lavoro in due stabilimenti di produzione finale di telefoni cellulari e di telefoni cordless. L’azienda rinuncia per 2 anni a licenziamenti per motivi aziendali. Secondo l’IG Metall si tratta di una regolazione speciale e temporanea provocata dai problemi economici che caratterizzano attualmente  questo tipo business. Questa soluzione mirata non dovrebbe danneggiare altre imprese concorrenti poiché la Siemens è l’unica azienda con produzione finale profondamente radicata in Germania. L’occupazione non è solo assicurata per la durata dell’accordo integrativo grazie alle misure di investimento per circa 30 milioni di Euro nella produzione di telefonia mobile in Germania fissate nello stesso accordo. Inoltre è previsto lo sviluppo di capacità aggiuntive per la nuova generazione di cellulari (UMTS). Dal punto di vista dell’occupazione viene concordato l’insourcing di prestazioni consulenziali esterne.


Nel marzo del 2005 la Siemens-VDO, una delle aziende leader a livello mondiale nell’ambito della fornitura di elettronica per autovetture, ha messo in discussione il futuro dello stabilimento di Würzburg (Baviera) con 1.600 dipendenti. La motivazione sarebbe il bisogno di ridurre i costi di produzione e di aumentare in questo modo la redditività. Per raggiungere quest’obiettivo sono stati sviluppati due scenari di cui il primo prevederebbe la chiusura dello stabilimento di Würzburg e lo spostamento dell’intera produzione ad Ostrava nella Repubblica Ceca entro il 2007. Nel secondo scenario lo stabilimento di Würzburg subirebbe tagli occupazionali del 50 %. I rimanenti 800 dipendenti dovrebbero inoltre accettare un allungamento dell’ orario di lavoro da 35 a 40 ore senza conguaglio. Verrebbero abolite inoltre le pause rimunerate. Misure di questo genere significherebbero una deroga agli standard definiti dal contratto collettivo di categoria. Al contrario delle aziende che operano nell’industria della telefonia mobile l’azienda di fornitura dell’industria automobilistica di Würzburg è redditizia al punto da corrispondere agli obiettivi prefissi dal gruppo stesso che chiede rendite fra il 5 e 6 %. Nel 2004 Siemens-VDO ha prodotto infatti utili per 562 milioni Euro che corrisponde ad una rendita di 6,2 %. Lo stabilimento di Würzburg è uno dei 14 stabilimenti tedeschi della Siemens-VDO che occupa complessivamente 44.000 dipendenti, di cui 19.000 in Germania. Oltre allo stabilimento di Würzburg anche lo stabilimento di Karben (Assia) con 1.900 dipendenti sarà esaminato dal management centrale. L’obiettivo sarebbe sempre l’aumento della redditività attraverso la riduzione del costo del lavoro e l’allungamento del orario di lavoro. Solo nell’ottobre del 2004 era stato firmato un accordo aziendale per lo stabilimento di Karben che prevedeva la flessibilizzazione dell’orario di lavoro. Secondo il management Siemens-VDO è esposta alle pressioni dell’industria automobilistica che chiede ai fornitori riduzioni dei prezzi fino a 15 %. Per mantenere allo stesso tempo la propria redditività la Siemens-VDO sarebbe costretta a ridurre i propri costi di produzione.


Un altro caso riguarda uno degli stabilimenti francese della Bosch, dove è stato approvato il passaggio dalle 35 alle 36 ore settimanali senza aumento di salario. Nel marzo del 2005 anche il management della Philips ha chiesto per i 2.300 dipendenti dello stabilimento di Amburgo dove vengono prodotti semiconduttori un allungamento dell’orario di lavoro senza conguaglio. In caso di mancata disponibilità si minaccia di spostare i futuri investimenti all’estero. L’obiettivo del management è una riduzione dei costi di produzione del 20 %. In compenso il management si dichiara disponibile di garantire l’attuale livello occupazionale fino al 2007.


Anche nel settore automobilistico sono stati firmati vari patti per l’occupazione e la competitività. Nel 2004 la Volkswagen dichiarò di voler indirizzare futuri investimenti verso altri paesi se non fosse stato possibile ridurre in modo significativo il costo del lavoro in Germania. Il calo di vendite che ha colpito il gruppo Volkswagen nel corso del 2004, dovuto ad un erroneo sviluppo di nuovi modelli, ha determinato  una riduzione degli utili del 12 % rispetto al 2003. L’accordo raggiunto per i 103.000 dipendenti in Germania è caratterizzato da uno scambio che prevede da un lato il congelamento dei salari per 28 mesi – dal 1 ottobre 2004 al 31 gennaio 2007 – e dall’altro lato la rinuncia a licenziamenti per motivi aziendali fino al 2011. Inoltre è stato definito un piano dettagliato di investimenti per le sei fabbriche tedesche sulla base del quale viene garantita la sicurezza dei posti di lavoro in futuro. È comunque da sottolineare che l’accordo include anche una clausola di revisione con la quale le garanzie occupazionali vengono relativizzate. Inoltre, la garanzia occupazionale è legata alla possibilità di ricorrere alla mobilità interna. Per quanto riguarda lo sviluppo retributivo è prevista l’erogazione di un bonus una tantum da 1.000 € a marzo 2005, che corrisponde ad un aumento del 1,35 %. È inoltre previsto che a partire dal 1 gennaio 2005 le retribuzioni dei nuovi assunti ed apprendisti si possono orientare ai livelli del contratto collettivo di categoria, inferiori dal 10 al 20% rispetto al precedente contratto collettivo del gruppo Volkswagen. Con questa clausola viene quindi introdotta una differenziazione rispetto ai trattamenti economici dei dipendenti e, di conseguenza, una segmentazione del mercato interno del lavoro. In compenso il gruppo si impegna a creare 185 nuovi posti per apprendisti. L’accordo stipulato prevede inoltre che a partire dal 2006 l’erogazione di una parte della tredicesima sarà collegata all’andamento dei risultati aziendali. Mentre in passato la tredicesima veniva erogata in forma di una somma fissa che superava i 2.000 € a partire dal 2006 la parte fissa sarà ridotta a 1.191 €. Essendo composta da una parte fissa e una parte variabile ci saranno due momenti di erogazione, ovvero novembre e maggio dell’anno successivo. La somma complessiva rimarrà comunque sotto il livello precedente di 2.000 €. In materia di orario di lavoro è stata definita una maggiore flessibilità poiché il corridoio viene raddoppiato da 400 a 800 ore annue. Questo raddoppiamento rende anche più flessibile la gestione degli straordinari. L’accordo introduce poi per 4.200 dipendenti la possibilità di avvicinarsi alla pensione attraverso il tempo parziale. Infine, l’accordo raggiunto definisce un nuovo strumento a livello di codeterminazione che funge da strumento di controllo di applicazione dell’intesa. 


Nel 2004 anche la DaimlerChrysler aveva minacciato di spostare la produzione dallo stabilimento principale di Sindelfingen in Sudafrica o ad un altro stabilimento tedesco più economico se non fosse stato possibile ridurre il costo del lavoro pari a 500 milioni di euro annuali a partire dal 2006. La minaccia di spostamento della produzione riguardava circa 6.000 posti di lavoro. Anche la DaimlerChrysler nel 2004 ha subito una riduzione degli utili rispetto al 2003, imputabile soprattutto alle perdite della Mercedes Car Group che ha dovuto affrontare problemi sostanziali di qualità di prodotto.


L’accordo raggiunto prevede una riduzione del 2,79% della retribuzione extracontrattuale e fa esplicitamente riferimento al contratto collettivo di categoria che aveva esteso le possibilità di introduzione di clausole di apertura. Tale riduzione dovrebbe consentire di avvicinare i livelli retributivi della DaimlerChrysler agli standard definiti dal contratto collettivo di categoria. Nella divisione ricerca e sviluppo si potrà lavorare volontariamente e con conguaglio fino a 40 ore la settimana. Per alcune attività di servizio, ad esempio la mensa, verrà applicato un contratto collettivo integrativo che prevede un allungamento graduale dell’orario fino a 39 ore, in questo caso senza conguaglio. Infine, una parte delle pause sarà convertita in un giorno supplementare di aggiornamento professionale. Il management, da parte sua, rinuncia a licenziamenti per motivi aziendali fino al 2012 e garantisce investimenti adeguati sia per il comparto dell’auto, sia per il comparto dei veicoli commerciali. Viene stipulata inoltre la rinuncia a processi di outsourcing nell’ambito dei servizi. Il management garantisce inoltre che fino al 2012 tutti gli apprendisti saranno assunti al termine del loro periodo di apprendistato. Viene concordato inoltre che per altri 3.800 dipendenti ci sarà la possibilità di avvicinamento alla pensione attraverso il tempo parziale.


L’accordo del luglio 2004 è il risultato di un negoziato particolarmente duro fra management e consiglio di azienda. Ha avuto luogo, fra l’altro, una giornata di protesta organizzata a livello nazionale dal coordinamento di gruppo alla quale hanno partecipato 60.000 dipendenti. È interessante osservare che nel caso della DaimlerChrysler ci sono state delle divergenze anche all’interno delle strutture di rappresentanza, e in particolare fra il coordinamento del consiglio di azienda (Gesamtbetriebsrat) e la direzione regionale dell’IG Metall, da un lato, ed i consigli di azienda locali e le loro maestranze, dall’altro. Le tensioni fra il livello centrale e il livello periferico si sono manifestate anche durante le azioni di protesta; in questa occasione né il coordinamento di gruppo, né la direzione regionale del IG Metall sono riusciti a controllare e a canalizzare la protesta. I consigli di azienda locali infatti hanno favorito una certa radicalizzazione della protesta entrando in questo modo in conflitto sia con il coordinamento del consiglio di azienda, sia con la direzione regionale dell’IG Metall. Il dissenso riguardava non solo i risultati del negoziato ma anche la mancanza di procedure democratiche di coinvolgimento delle strutture di rappresentanza a livello decentrale durante la negoziazione.


Per quanto riguarda la General Motors Europe, la situazione è caratterizzata da perdite continue dal 1999. Nel 2003 le perdite ammontavano a 384 milioni di Euro per aumentare nel 2004 a circa 600 milioni di Euro. Di fronte a questa crisi di competitività il gruppo ha presentato un programma di ristrutturazione che prevede una riduzione dei costi del lavoro di 500 milioni di Euro all’anno. Il piano iniziale prevedeva processi di delocalizzazione con la chiusura di almeno un sito produttivo, la riduzione dei livelli occupazionali e la riduzione dei livelli retributivi. Per massimizzare i risultati del piano di ristrutturazione il gruppo ha cercato di mettere in competizione vari stabilimenti fra di loro. Come già avvenuto nel 2000 e 2001 attraverso la cooperazione fra il Cae della General Motors e la Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) viene organizzata una giornata di azioni a livello europeo per contrastare la strategia aziendale. La giornata di protesta alla quale hanno aderito gli stabilimenti situati in Germania, Svezia, Gran Bretagna, Belgio, Polonia e Spagna ha contribuito a dimostrare una certa compattezza delle strutture di rappresentanza a livello europeo. La dimostrazione di solidarietà fra i vari stabilimenti e il ruolo di coordinamento assunto dalla Fem hanno costretto il management ad accettare un negoziato con i rappresentanti dei lavoratori a livello europeo. Questo negoziato ha portato l’8 dicembre 2004 alla stipulazione di un accordo quadro fra il management centrale della GM Europe e il Cae che prevede la rinuncia a chiusure di stabilimenti ed a licenziamenti per motivi aziendali. Il numero dei dipendenti negli stabilimenti tedeschi, che si aggira intorno a 35.000 persone viene ridotto di 6.000 invece dei 10.000 previsti inizialmente. La riduzione dei livelli occupazionali che dovrebbe costare al gruppo circa 750 milioni Euro prevede l’applicazione di diversi strumenti, fra cui il pagamento di liquidazioni per una parte dei lavoratori e per gli altri il passaggio a cosiddette società occupazionali che prevedono la riqualificazione del personale uscito dalla Opel per 12 mesi. Inoltre è previsto l’avvicinamento alla pensione per 3.000 dipendenti attraverso il tempo parziale o il passaggio a joint-ventures o spin-offs, vale a dire ad attività di cooperazione con altre aziende. Fra i vari casi del settore automobilistico la GM Europe rappresenta l’unico caso in cui vengono effettuati tagli occupazionali. L’accordo quadro firmato dal Cae doveva poi costituire la base per i negoziati più dettagliati a livello nazionale.


Il 4 marzo 2005 è stato firmato il cosiddetto “contratto per il futuro” per gli stabilimenti tedeschi a Rüsselsheim, Bochum e Kaiserslautern. Punto centrale dell’accordo è la garanzia di attività per tutti gli stabilimenti europei fino al 2010. Vengono quindi evitate chiusure di stabilimenti; inoltre si rinuncia fino al 2010 a licenziamenti per motivi aziendali. Da parte dei dipendenti viene concessa una riduzione dei livelli salariali che finora superavano gli standard del contratto collettivo di categoria per il 18 %. L’obiettivo è un successivo avvicinamento ai livelli salariali definiti dal contratto collettivo. Per questo motivo viene concordata una rinuncia ad aumenti salariali fino al 2005. In seguito fino al 2010, gli aumenti alla Opel dovrebbero essere inferiore di 1 % rispetto agli aumenti stabiliti dal contratto collettivo. È prevista inoltre una riduzione della tredicesima dal 130 % al 70 % a partire dal 2006. In caso di pareggio o utile è prevista un’erogazione del 100 %. Per quanto riguarda l’orario di lavoro viene concordata una flessibilizzazione attraverso un allargamento del “corridoio” sulla base del quale la settimana lavorativa può oscillare fra le 30 e le 40 ore. Sarà consentito inoltre il lavoro al sabato con un limite di 15 all’anno. Infine, nel “contratto per il futuro” vengono definiti anche gli investimenti e l’assegnazione dei nuovi modelli ai vari stabilimenti. Allo stabilimento di Rüsselsheim viene assegnato lo sviluppo della nuova classe media di Opel (Vectra) e Saab (9-3), a partire dal 2008, ed il nuovo modello Astra. Inoltre viene confermato il ruolo del centro di ricerca e sviluppo dello stabilimento di Rüsselsheim nell’ambito del gruppo. Alla Saab di Trollhättan, che era in competizione con Rüsselsheim per la produzione della classe media, dal 2006 saranno prodotti da 8.000 a 10.000 esemplari della Cadillac BLS così come altri modelli della Saab come per esempio la 9-3 station wagon. Allo stabilimento di Bochum viene invece assegnata a partire dal 2006 la produzione del modello Astra a cinque porte. Inoltre sono previsti degli investimenti per 20 milioni di dollari. Complessivamente c’è da constatare che il “contratto per il futuro” non implica un’erosione del contratto collettivo di categoria ma solo un avvicinamento agli standard definiti dal contratto collettivo.


Quanto è difficile sviluppare una strategia e raggiungere accordi condivisi a livello europeo lo dimostrano le proteste dei rappresentanti dei lavoratori in Gran Bretagna ed in Belgio, che nella fase finale del negoziato hanno formalmente protestato presso la Federazione europea dei metalmeccanici, denunciando la violazione del principio di trasparenza da parte dei loro colleghi tedeschi dello stabilimento di Bochum.


Come già menzionato, anche nel caso della General Motors il negoziato era accompagnato da scioperi ed azioni di protesta. Visto che in Germania i consigli di azienda non hanno il diritto di indire degli scioperi, le attività di protesta contro i licenziamenti previsti dal management sono state dichiarate delle “iniziative di informazione” per i dipendenti. In particolar modo a Bochum, dove la lotta si era più radicalizzata e dove lo sciopero è durato più giorni, c’era bisogno di ricorrere alle “iniziative di informazione” per giustificare l’astensione dal lavoro. Quanto alle dinamiche interne né l’IG Metall, né il consiglio di azienda sono mai riusciti a controllare del tutto il movimento di protesta. A Bochum si sono infatti manifestati orientamenti divergenti all’interno del sindacato, del consiglio di azienda e delle maestranze. Da un lato c’era la posizione che condivideva le concessioni per rendere più sicuro il futuro dello stabilimento di Bochum, dall’altro c’era invece  il rifiuto di una politica delle concessioni.


Queste contraddizioni si sono manifestate anche durante la fase di consultazione sull’accordo raggiunto con il management. Il corpo dei fiduciari, cioè la struttura aziendale dell’IG Metall, si è espresso infatti  negativamente sull’accordo e ha consigliato di non approvarlo visto che l’accordo non dà una prospettiva per lo stabilimento di Bochum per il periodo successivo al 2010. Con questa posizione il corpo dei fiduciari si è messo in opposizione sia rispetto alla maggioranza del consiglio di azienda dello stabilimento di Bochum, che alle strutture locali e regionali dell’IG Metall. Anche il presidente del Cae, che è anche il  presidente del consiglio dell’azienda di Rüsselsheim, ha condannato la posizione del corpo dei fiduciari di Bochum come un atto irresponsabile, visto che in caso di non approvazione il futuro dello stabilimento di Bochum sarebbe fortemente messo a rischio.


L’accentuata conflittualità e la disapprovazione dell’accordo da parte dei fiduciari dimostrano probabilmente che anche i patti per l’occupazione e la competitività, che del resto vengono firmati ad intervalli sempre più brevi, non riescono più a dare la necessaria fiducia ai dipendenti. Esiste quindi anche il rischio che la mancanza di credibilità si trasformi in una crisi di legittimità delle strutture di rappresentanza.


 


Le motivazioni, le caratteristiche ed i contenuti dei patti per l’occupazione e la competitività


 


Alla base di tutti questi casi sta la minaccia di trasferire la produzione e/o di indirizzare investimenti futuri verso paesi con un minore costo del lavoro. In alcuni casi si tratta di una competizione con stabilimenti all’interno dell’Ue 15, nella maggior parte, comunque, con stabilimenti situati nei nuovi Stati membri o fuori dall’Europa. A prendere l’iniziativa è sempre il management che richiede un abbassamento dei costi per migliorare o riacquisire la sua competitività a livello internazionale. Questo è l’argomento non solo di gruppi come la General Motors Europe che devono affrontare una situazione di perdite sostanziali nel corso degli anni recenti ma anche di gruppi come la Siemens che nel 2004 ha occupato in Germania il primo posto nella classifica delle imprese che hanno realizzato i maggiori utili. Al protagonismo del management che si trova in una posizione di forza potendo utilizzare in modo offensivo una politica di benchmarking a livello globale corrisponde una posizione difensiva del sindacato e dei consigli di azienda che in genere cercano di limitare gli effetti negativi della globalizzazione della competizione.


Gli accordi firmati possono riguardare singoli stabilimenti, l’insieme degli stabilimenti di un gruppo in un paese così come nel caso della General Motors tutti gli stabilimenti europei. A seconda del livello di contrattazione anche gli attori cambiano. Mentre in imprese di minore dimensioni gli accordi possono essere firmati dal consiglio di azienda nel caso dei grandi gruppi gli accordi possono essere firmati dal coordinamento di gruppo a livello nazionale o anche dal sindacato come nel caso della Volkswagen. Solo nel caso della General Motors abbiamo anche il coinvolgimento degli attori europei, sia da parte del gruppo, sia da parte dei dipendenti.  


Dal punto di vista del contenuto, per quanto riguarda le misure che dovrebbero contribuire ad un miglioramento della competitività troviamo


§         la flessibilizzazione e l’allungamento dell’orario di lavoro,


§         la riduzione dei livelli salariali,


§         la riduzione dei bonus annuali, il legamento del loro calcolo a parametri aziendali e la flessibilizzazione delle modalità della loro erogazione,


§         la riduzione dei livelli occupazionali.


Il risultato di queste misure consiste in un aumento della produttività del lavoro, che per il singolo lavoratore significa in genere un peggioramento sia delle condizioni di lavoro, sia della sua situazione economica. E’ da evidenziare inoltre che queste misure spesso portano ad una differenziazione dei trattamenti all’interno delle maestranze e quindi ad un processo di segmentazione del mercato del lavoro interno.


Come contropartita il management può concedere


§      delle garanzie per i siti e i livelli occupazionali,


§      degli investimenti e l’assegnazione di futuri ordini di produzione,


§      la rinuncia a processi di outsourcing.


Per quanto riguarda le garanzie dei livelli occupazionali che vengono date anche per 5–7 anni è comunque da tener presente che le imprese in genere si riservano la possibilità di rinegoziare gli accordi in caso di andamento di mercato negativo.


Le stesse garanzie dei livelli occupazionali vengono quindi concesse utilizzando clausole di revisione. Visto la durata delle garanzie occupazionali che può arrivare anche a sette anni è piuttosto probabile che le imprese facciano ricorso alle possibilità di rinegoziare gli accordi. In questo caso l’effetto di un’ulteriore perdita di credibilità della politica delle “alleanze aziendali” sarebbe inevitabile.


Questa tendenza implica di fatto un nuovo tipo di scambio. Si può sostenere che è vero che avviene uno scambio fra il management e le strutture di rappresentanza, ma è anche vero che in genere non si tratta di  scambi equi. Con l’orientamento prevalente all’incremento della competitività delle imprese vengono concordati delle concessioni da parte dei dipendenti che hanno un carattere definitivo. Abbiamo quindi, da un lato, concessioni chiaramente definite per quanto riguarda i livelli remunerativi, la flessibilizzazione e l’allungamento dell’orario di lavoro che hanno un impatto concreto sugli aspetti organizzativi ed economici delle condizioni di vita e di lavoro, dall’altro lato invece, i dipendenti ottengono garanzie e diritti meno tangibili, meno certi e di conseguenza anche meno esigibili.  Si può quindi avanzare la tesi che questi accordi aziendali sono caratterizzati da un carattere iniquo dello scambio. Alla certezza della perdita di posizioni, da un lato, corrisponde l’incertezza delle conquiste, dall’altro. Di fronte a questo quadro non sorprende che da parte dei lavoratori diminuisce la convinzione che i patti per l’occupazione e la competitività possano rappresentare uno strumento adatto per garantire in prospettiva la sicurezza dei posti di lavoro.


Infine, diminuisce la fiducia reciproca fra gli attori a livello aziendale che in passato era una delle caratteristiche della politica di ‘modernizzazione cooperativa’. Dal punto di vista dei dipendenti tutti gli attori a livello aziendale tendono a perdere di credibilità. Il risultato spesso consiste in un aumento di conflittualità che da parte sua indica un peggioramento generale delle relazioni industriali. Per quanto riguarda il sindacato la perdita di credibilità si può leggere nell’andamento di sindacalizzazione. Da un lato, i sindacati perdono fra gli iscritti tradizionali che non si sentono più tutelati dal sindacato; dall’altro lato, il sindacato fatica sempre di più a sindacalizzare i neoassunti. Anche questo non sorprende, poiché sono proprio i neoassunti che spesso pagano il prezzo maggiore quando vengono negoziati i patti per l’occupazione e la competitività come dimostra per esempio l’accordo firmato alla Volkswagen. In questo contesto caratterizzato da una ridotta legittimità  diventa sempre più difficile per il sindacato, ma soprattutto per i consigli di azienda, creare un consenso sul quale si possano reggere le ‘alleanze aziendali’.

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