di Massimo Di Menna – Segretario generale Uil Scuola
Dopo 17 mesi dalla scadenza contrattuale, l’accordo sottoscritto tra Governo e organizzazionin sindacali dovà aprire le porte ai negoziati e ai rinnovi dei contratti di tutti i pubblici dipendenti. Ci sono voluti tre scioperi, polemiche sindacali e politiche, un complicato confronto con il Governo. Tutto questo è alle nostre spalle ma pesa sugli esiti e, soprattutto, quando avremo firmato i contratti, sarà materia di approfondimento per affrontare le questioni relative alla riforma del sistema contrattuale.
E’ un tema su cui finora le discussioni si sono concentrate sulle esperienze dei contratti dei settori industriali, per i quali il legame, nella contrattazione di 2° livello, tra incrementi retributivi e produttività è strettamente connesso al principio di un’equa distribuzione della ricchezza prodotta, in una fase in cui la competitività non è separabile dallo sviluppo di una politica industriale che non può prescindere da una politica del lavoro e per il lavoro. Ma i problemi con cui ci siamo misurati nel confronto con il Governo richiedono un approfondimento, ovviamente specifico, anche per il settore pubblico.
Non possiamo eludere la valutazione di merito della intesa. Tale valutazione per la Uil è positiva, innanzitutto perché consente un incremento retributivo del 5,01% per stipendi fermi al dicembre 2003, mantiene intatta la decorrenza gennaio 2004 per la prima tranche e gennaio 2005 per la seconda, con la conseguente erogazione degli arretrati. E’ stato assunto impegno dal Governo di garantire la copertura finanziaria, per la parte mancante, lo 0,6%, con la Finanziaria 2006, mantenendo gli incrementi del biennio 2004-05 e prevedendo, solo per questo 0,6%, l’effettiva erogazione nel gennaio 2006. La quota da destinare alla produttività, che nella scuola dipende dalle attività dei singoli istituti, con parametri qualitativi e quantitativi, è dello 0,5%, e quindi di equilibrio rispetto alla esigenza, anche in relazione alla coperture dell’inflazione, di non perdere il valore professionale. Si tratta di una buona intesa anche perché tiene conto delle compatibilità finanziarie del Paese e non contrasta con gli equilibri contrattuali dei settori privati.
Il principale problema è rappresentato dal tempo intercorso: il Governo, ha costretto la trattativa a tempi lunghissimi, eludendo sempre, fino alla fase conclusiva, il confronto di merito. Talvolta è parso che si volesse bloccare la stessa contrattazione. Inoltre, in alcuni momenti si è svolta una sorta di trattativa parallela, inutile, tra forze politiche, con interventi anche della Confindustria, quasi a voler creare un equilibrio di rappresentanza nella politica economica, o nella destinazione dei soldi pubblici: la riduzione dell’Irap alle forze politiche, la riduzione dell’Irpef a qualcun altro, contratti pubblici ad altri ancora, e così via. L’insegnamento è il seguente: rispettare i tempi, i ruoli del sindacato, un negoziato rapido e trasparente.
Per la Uil la modifica del sistema contrattuale deve affrontare e risolvere almeno quattro questioni:
1) la rappresentatività dei soggetti e la validità dei contratti (il sistema dei contratti pubblici è il migliore, con la rappresentatività sindacale sulla base degli iscritti e dei voti alle elezioni per le Rsu. Una sorta di democrazia di mandato che tiene conto di iscritti e consensi ed evita l’assemblearismo, dando ruolo e funzione alla rappresentanza collettiva.
2) Definizione rapida delle intese, puntando più sugli accordi e meno sugli scioperi, tre scioperi per un contratto biennale sono troppi. Va anche ridiscussa la tempistica, tre anni di vigenza possono favorire la certezza dei contratti.
3) Avere come obiettivo una riduzione fiscale sul lavoro e quindi pensare a incrementi al netto, riducendo la pressione fiscale a carico del datore di lavoro e del lavoratore. Nel settore pubblico la disponibilità in Finanziaria per gli incrementi si riduce di molto, diminuendo ciò che va in tasca ai lavoratori.
4) Affrontare e risolvere nel settore scuola la contrattazione di 2° livello, oggi una sorta di limbo tra limitate risorse, da un lato, gestite dalle scuole per finanziare l’ampliamento dell’offerta formativa, in cui parte della destinazione è definita dal collegio, e contratto di scuola, dall’altro. Va mantenuto il controllo nazionale, ma va definito un riconoscimento dell’impegno professionale e della qualità della prestazione nei suoi esiti, molto particolari ed importanti nella scuola, e ciò non può che avvenire nelle istituzioni scolastiche, lì dove il contesto del lavoro è più vicino e verificabile con tutte le garanzie di partecipazione e trasparenza.
Ciò che a me pare necessario è che il dibattito interno al sindacato tra le diverse sigle (addirittura la Cgil si è opposta ad una nota a verbale congiunta che impegnava a discutere le modifiche necessarie) non immobilizzi l’azione del sindacato stesso. Non va però dimenticato che non c’è nessuna proposta da parte del Governo. Il cambiamento sembra essere poco apprezzato. Noi pensiamo di lanciare, nonostante tutto, la sfida del cambiamento con il consenso.