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Home - Rubriche - Il guardiano del faro - I ragazzi d’Italia e gli apprendisti stregoni

I ragazzi d’Italia e gli apprendisti stregoni

di Marco Cianca
3 Giugno 2020
in Il guardiano del faro
I ragazzi d’Italia e gli apprendisti stregoni

Il Colosseo. E la scritta “tutto ha avuto inizio da qui”. Immagini di altre città. Napoli, Firenze, Torino, Milano. “Dedicato a chi ha reso la nostra Italia lo splendido Paese che è oggi”: foto di muratori, artigiani, baristi, cuochi, infermieri. “Per il nostro passato e per il nostro futuro”: mani di un anziano stringono quelle di un bambino. “Contro chi ha distrutto il nostro Paese”: la grottesca caricatura di uomo in abito gessato che inghiotte fasci di banconote, rifiuti accatastati, il ponte Morandi crollato, uno scambio di mazzette. “Per riportare l’Italia al suo antico splendore”: un tricolore sventola illuminato dal sole nel cielo blu. “Il 6 giugno tutti a Roma, pronti a tutto…”.  “Per i nostri figli e per il nostro futuro”.  Scene di stadi, curve e fumogeni. Firmato: “I ragazzi d’Italia”.

Un post avvisa che “l’Italia è in marcia ma non vuole politica, vuole pane e libertà”, con tre punti esclamativi. “Se non hai la forza di ribellarti, non hai il diritto di lamentarti”. “Noi ci saremo!”. L’appuntamento è al Circo Massimo, sabato pomeriggio. Promettono di essere in molti, provenienti dal Nord, dal Sud, dal Centro. Ma chi sono i ragazzi d’Italia? La sigla è nata negli ambienti degli ultrà del calcio e rapidamente si è esteso a tutte le tifoserie. L’imprinting è chiaramente di estrema destra ma alle simpatie neofasciste potrebbero unirsi schegge anarcoidi e antagoniste. In comune, l’odio per le guardie, simbolo del potere e della repressione.

Roba da ordine pubblico, verrebbe da dire. Ma sarebbe un errore derubricare il tutto confinandolo nell’ambito della marginalità sociale al confine con la delinquenza. Intanto, è la prima volta che accade. Non c’è alcun precedente del genere. E già la scelta di uscire allo scoperto da parte di ambienti chiusi e settari, l’intenzione di unire tribù rivali che nei loro scontri vantano morti e feriti, rivela una spregiudicatezza e una determinazione che dovrebbero far riflettere. Il disagio sociale è talmente forte da rendere tutto plausibile. Ai violenti di ogni risma si affiancano giovani in buona fede convinti di subire ingiustizie e sopraffazioni. Le tesi sulla devianza sono confortevoli alibi per chi non vuol vedere la profondità della ferita.

Negazionismo, complottismo, sfiducia, odio, rancore. Tutto il peggio dei sentimenti di rivalsa si è aggrumato e ha preso energia come reazione alle misure di contenimento, interpretate quale volontà di dominio da parte di chi ha i soldi e comanda. È la stessa musica che suonano i gilet arancioni del generale Antonio Pappalardo. Un movimento che però appare più folcloristico e meno eversivo dei ragazzi d’Italia, anche se nulla esclude che possa espandersi ed assumere connotati preoccupanti. E un domani le varie anime di questo ribellismo post pandemia potrebbero fondersi nel comune intento dell’assalto, speriamo in senso figurato, al Palazzo.

Chi di antipolitica ferisce, di antipolitica perisce, verrebbe da dire rivolti ai Cinquestelle ormai identificati con il potere. Il fatto è che questo humus qualunquistico è coltivato dai tanti apprendisti stregoni che forse non sanno quel che dicono e se lo sanno sono degli irresponsabili.

Quando il presidente della Confindustria Carlo Bonomi dichiara che la politica fa più danni del virus, getta benzina sul fuoco delle contrapposizioni. Quando medici e virologi come Alberto Zangrillo proclamano la fine dei contagi ed escludono una seconda ondata, alimentano lo scetticismo e l’ignoranza. Quando giornali come Libero, il Tempo, la Verità sparano sprezzanti titoloni contro il governo, che ha comunque le sue colpe, irrigano il campo della faziosità. Quando Giorgia Meloni e Matteo Salvini si appellano alla piazza anche il 2 giugno, allargano la faglia antiistituzionale e occhieggiano ai fautori della rivolta generale. In questo contesto, esasperato dalla crisi economica e dalla mancanza di soldi, i ragazzi d’Italia, nella loro retorica ingenua e brutale, rischiano di essere massa di manovra per chissà quali oscure trame. Una costante della nostra storia.   

Sergio Mattarella invoca lo spirito del ’46 e sollecita unità morale, solidarietà, coraggio. Conforta pensare che la maggioranza degli italiani sembra dargli ragione. Indossando la mascherina con prudenza, rispetto, ottimismo. E persino orgoglio.

Marco Cianca

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