di Manuel Marocco, ricercatore ISFOL
1. La letteratura internazionale in materia di servizi all’impiego ha individuato un recente trend emerso in alcuni paesi, ove le “agenzie private sono divenute uno strumento chiave nelle politiche per l’occupazione perseguite dai Governi” (1) Alcuni Stati infatti – si tratta del sistema australiano soprannominato Job network nato nel 1998, e poi quello olandese nato nel 2001, di esternalizzazione dei programmi di reintegrazione al lavoro (disposto dal Work and Income Implementation Act) – hanno costituito dei “prototipi” in materia, avendo creato le condizioni per l’applicazione dei principi del mercato competitivo al collocamento.
In effetti, dette nazioni, ed altre sulla loro scorta (Inghilterra, Danimarca, Germania), hanno adottato strategie, più o meno intense, tese ad aprire l’organizzazione dei servizi all’impiego al mercato: ciò non ha significato che le attività siano state completamente abdicate al mercato – i servizi per l’impiego continuano infatti ad essere finanziati dalla mano pubblica – ma ha comportato che l’istituzione statale non è più necessariamente anche il fornitore degli stessi servizi, concentrando piuttosto la propria attività sulla attività di programmazione e monitoraggio (cd. separazione tra acquirente/fornitore, in inglese purchaser/provider split). È proprio la necessità di assicurare tale split che ha determinato la necessità anche di drastiche riorganizzazioni istituzionali di tutti i corpi amministrativi coinvolti.
Nella letteratura, per riferirsi a tali sistemi, si parla di quasi mercati; essi sarebbero nello specifico il risultato della applicazione della cd. teoria dell’agente-principale (principal-agent theory) al settore sociale. In generale, con l’espressione principal-agent problem o agency dilemma, si fa riferimento alle problematiche generate quando una parte di una relazione (il cd. “principale”) delega potere ad un’altra (il cd. “agente”) e la condizione della prima è determinata dalle scelte della seconda. Pertanto, tale teoria non riguarda tanto la scelta se affidare un servizio ad un operatore pubblico o privato, piuttosto le modalità mediante le quali assicurare che l’agente agisca nell’interesse del principale.
Nel settore sociale, la creazione di meccanismi di mercato si realizza mediante l’indizione di gare d’appalto per l’affidamento all’esterno dei servizi all’impiego, sicché i concorrenti privati (for e non profit) subentrano alla istituzione pubblica nella erogazione e il ruolo della stessa si trasforma in quello di, per così dire, controllore dell’accesso degli operatori (Gateway); l’intervento diretto delle preesistenti istituzioni statali monopoliste nel mercato resta comunque possibile, ma esse debbono competere, su base paritaria, con gli operatori privati per l’acquisizione dei fondi pubblici, partecipando alle aste competitive promosse dal Gateway.
L’introduzione dei meccanismi di mercato, secondo i propugnatori di tale teoria, dovrebbe comportare una serie di benefici: un miglioramento dell’efficienza e vale a dire migliori risultati ed effetti, nonché un risparmio di risorse; un miglioramento della qualità, sotto forma di metodi nuovi ed innovativi nell’erogazione dei servizi, la loro personalizzazione, nonché un ampliamento della libertà di scelta degli utenti; ed infine una generale de-burocratizzazione dei servizi, grazie ad una maggiore responsabilizzazione degli incaricati di erogare i servizi ed alla loro maggiore flessibilità organizzativa, in corrispondenza anche del rafforzamento della posizione del “cliente”.
L’adozione di tali meccanismi non dà luogo a un mercato puro, ma appunto ad un quasi mercato, che si differenzia dal primo per tre ragioni: la competizione non è necessariamente guidata dal finalità di lucro, poiché anche organizzazioni pubbliche e enti non profit possono competere alle gare d’appalto indette; le risorse pubbliche continuano ad essere coinvolte; il potere d’acquisto non risiede in capo all’utente finale, ma all’istituzione che agisce come un “cliente”, su incarico degli stessi utenti finali.
Detti sistemi consistono pertanto in una specifica modalità di erogazione di servizi, distinti sia dalla privatizzazione, ove un preesistente settore pubblico è spostato permanentemente in quello privato, con modifiche nella struttura proprietaria e nei sistemi di finanziamento; sia dai sistemi di voucher, che abilitano i clienti a scegliere liberamente (cd. shop around) tra i differenti fornitori.
Alcuni Autori (2), considerano tale tendenza, riscontrabile nell’area delle politiche sociali, quale significativa espressione di un più generale indirizzo neoliberale alla cd. contrattualizzazione dei rapporti tra amministrazioni centrali, dipendenti pubblici, fornitori e clienti: si parla in proposito di neo-contrattualismo, proprio a sottolineare la diffusione di contratti quale strumento fondamentale di regolazione di tali rapporti. Si tratterebbe cioè di una nuova forma di governance, ove, al tradizionale approccio burocratico e gerarchico, basato su norme imperative e standardizzato, si sostituisce una nuova modalità di gestione del settore pubblico (cd. New Public Management), più orientata al mercato nella allocazione delle risorse e al risultato nella erogazione delle prestazioni.
Nello specifico settore dei servizi all’impiego, è stata individuata l’insorgenza di diversi modelli contrattuali, che differiscono a seconda dei soggetti collettivi/individuali coinvolti. In primo luogo, si identificano i “contratti interni di governo” ove, in presenza di un decentramento/autonomizzazione della gestione dei servizi, i rapporti tra il Governo e i gestori – nel primo caso le istituzioni locali, nel secondo l’agenzia pubblica dedicata – sono disciplinati da un “accordo di performance”, nell’ambito del quale sono disciplinati i risultati attesi e quindi premiati i comportamenti virtuosi degli enti, tutti pubblici, impegnati nella gestione/erogazione dei servizi all’impiego. In secondo luogo, quasi a rappresentare un passaggio evolutivo successivo, ricorrono i “contratti con i fornitori di servizi”, che disciplinano le modalità di esternalizzazione di talune attività a favore di soggetti esterni alla pubblica amministrazione. Ed infine, i “contratti con i clienti” (i cd. patti di servizio, utilizzando la terminologia italiana (3) tra il soggetto erogatore di servizi o trattamenti – pubblico e/o privato – e il cliente, in cui sono enucleati il piano di reinserimento del soggetto, nonché diritti e doveri di quest’ultimo
Altri Autori (4) inquadrano lo sviluppo dei Sistemi di quasi mercato nell’ambito della tendenza generale alla costruzione di “Nuovi Sistemi di sicurezza sociale”, tendenza avviatasi nei paesi anglosassoni e poi in Europa. Tale modello suggerisce l’uso del mercato e della imprenditorialità nella gestione dei programmi di sicurezza sociale; dal punto di vista organizzativo, detti sistemi implicano un quasi mercato, piuttosto che un sistema unificato di provvidenze pubbliche: “Il Governo stipula contratti, definisce standard, regola i servizi e le agenzie di erogazione degli stessi servizi e gestisce così il proprio quasi-business” (5). Tale modello di governance peraltro si lega strettamente con i temi della cd. attivazione dei disoccupati. Con tale espressione ci si riferisce alle proposte a sostegno del passaggio da politiche curative, di mero sostegno economico degli stessi (cd. politiche passive), a misure attive di prevenzione della disoccupazione rivolte al miglioramento della occupabilità dei senza lavoro (6).
2. L’applicazione dei principi del quasi mercato ai servizi per l’impiego ha implicato l’estensione a tale campo del settore sociale delle problematiche insite nell’adozione di tale strumentazione operativa e quindi delle soluzione elaborate a livello teorico per risolverle. Nella relazione principale/agente sorgono tipicamente questioni attinenti: alle asimmetrie informative tra le due parti, all’avversione al rischio dell’agente ed alle divergenze di obiettivi delle due parti. Due principali tipi di “opportunismo” possono quindi svilupparsi in tali relazioni: la selezione avversa (adverse selection) e il rischio morale (moral azard). Il primo è un opportunismo di tipo pre-contrattuale che fa leva sulle asimmetrie informative circa le prestazioni attese; il secondo è invece di tipo post-contrattuale e riguarda invece le performance correnti.
In teoria, tali problematiche potrebbero essere prevenute grazie alla formulazione dei contratti e il monitoraggio continuativo, tuttavia ciò implicherebbe un incremento dell’apparato amministrativo, nonché elevati costi di transazione, che proprio per la complessità dei servizi sociali, potrebbero rilevarsi particolarmente alti. Si aggiunga che acquirente e fornitore, agendo nel contesto di un mercato incerto come quello del lavoro, non sono in grado di determinare in un contratto scritto tutte le possibili evenienze.
Proprio per porre rimedio a tali problematiche, dal punto di vista teorico sono stati individuati una serie meccanismi di governance per attenuarne gli effetti. I quasi mercati, per garantire gli obiettivi di efficienza ed efficacia all’inizio ricordati, devono allora assicurare il rispetto di cinque condizioni minimali: una struttura di mercato competitiva; la disponibilità per tutti gli attori del sistema di tutte le informazioni più rilevanti; un livello minimo dei costi di transazione; la presenza di giusti incentivi in favore dei fornitori dei servizi; la disincentivazione dei fenomeni di cd. “cherry picking” (o “creaming” e vale a dire selezione, da parte dei fornitori di servizi all’impiego dei disoccupati più facili da collocare/ricollocare) e di cd. “parking” (scarsa assistenza nei confronti dei soggetti con maggiori barriere al reingresso o che non garantiscono il raggiungimento degli obiettivi concordati con il principale).
Incentivi, sistemi informativi e di controllo allora costituiscono i meccanismi per limitare asimmetrie informative e comportamenti opportunistici. I primi possono essere utilizzati per assicurare l’allineamento dell’interesse dell’agente con quello del principale; in genere allo scopo sono utilizzati sistemi di pagamento basati sulla premialità, sicché le migliori performance vengono meglio remunerate.
I sistemi di informazione sono finalizzati a diminuire le asimmetrie informative, aumentando le informazioni a disposizione del principale circa l’adempimento degli obblighi contrattuali da parte dell’agente; a tal fine sono spesso utilizzati sistemi di benchmarking dei risultati, ovvero il monitoraggio delle azioni dei fornitori di servizi. Infine, i meccanismi di controllo sono realizzati tramite clausole contrattuali dirette a specificare nel dettaglio le modalità con cui lo stesso fornitore è tenuto a realizzare le attività loro affidate.
3. Può essere a questo punto utile esaminare uno specifico caso nazionale, quello danese, anche perché, almeno nel periodo considerato (2002-2005), ha presentato alcuni tratti assimilabili a quello italiano; in particolare ciò in virtù del livello decentrato di implemetazione dei meccanismi di quasi mercato (come del resto accade in Olanda, al contrario dell’Australia), nonché per il modello integrativo a “doppio canale” adottato (vedi infra), che è anche quello che appare disegnato nella legislazione adottata dalla maggioranza delle Regioni italiane.
Già nel 2002, con la riforma “Flere i Arbejde” (“Più persone al lavoro”), il nuovo Esecutivo conservatore, di fatto, aprì il Sistema degli Spi ad un sistema di quasi-mercato. La riforma, di fatto, eliminò tutti i limiti previgenti relativi alla esternalizzazione dei servizi tramite gare d’appalto: vincoli circa durata, campo di applicazione, target soggettivi, prezzi e tipi di attività furono superati. Sicché, di fatto, fu attribuita discrezionalità piena ai fornitori privati nel selezionare le modalità più efficaci per facilitare il reingresso dei disoccupati nel mercato.
Tuttavia, tale innovazione non fu presentata come una privatizzazione del Servizio pubblico per l’impiego danese (Arbejdsformidlingenaf, AF) (7), piuttosto come coinvolgimento di “altri attori”. Nel 2005, in effetti già esistevano 159 attori non istituzionali, costituito per 2/3 da soggetti privati, ma anche da organizzazioni sindacali, comprese le potenti casse assicurative di disoccupazione (vedi infra) ed enti di formazione. Il coinvolgimento delle organizzazione dei lavoratori costituisce un tratto peculiare danese, che non trova riscontro in altri paesi che hanno adottato sistemi di quasi mercato. Va tuttavia notato che, col tempo, gli operatori privati, hanno conquistato posizioni nel mercato a danno delle istituzioni formative e, in parte, dei Sindacati.
Fu così realizzato un sistema di quasi mercato solo parziale, perché, a differenza di altri paesi (quali Australia e Olanda), lo Spi continuava ad esistere parallelamente, non essendo tenuto a partecipare alle aste per poter continuare la propria attività, ma potendo continuare a gestire i target group non esternalizzati. In conclusione – come in Italia – sussisteva un doppio canale parallelo di erogazione dei servizi all’impiego: da un parte i soggetti pubblici (costituito dal già menzionato AF e dai Comuni, responsabili per l’erogazione di servizi dedicati ai disoccupati non assicurati contro la disoccupazione (8) e, dall’altra, i fornitori privati.
L’Esecutivo nel 2003 impose un tetto minimo di esternalizzazione, stabilendo che almeno il 15% dei disoccupati assicurati dovesse essere preso in carico da fornitori esterni. Ed, in effetti, all’inizio del 2005, il numero di disoccupati ad essi affidato raggiunse il picco: il 40% era in carico presso “altri attori”. Successivamente, si è verificata una caduta, a fronte del Piano d’Azione del Ministero dell’Occupazione danese varato nella primavera del 2005 – sicché nel 2006 solo il 10% dei disoccupati era preso in carico da fornitori esterni.
Nel complesso detto Piano, poi implementato nell’autunno del 2006, aveva l’obiettivo di creare un mercato dei servizi all’impiego più centralizzato e standardizzato, ponendo fine ad una serie di distorsioni territoriali nel frattempo createsi (9). Tra l’altro si prevedeva che:
– il “primo contatto” (10) con i disoccupati non dovesse essere più affidato all’esterno e che i fornitori esterni dovessero intervenire solo per attività ove fossero in grado di “fare la differenza”;
– nelle gare d’appalto fossero specificati chiaramente i target group da trattare e gli obiettivi di politica del lavoro da raggiungere, nonché evitati inutili appesantimenti burocratici, in particolare sistemi di pagamento eccessivamente macchinosi;
– maggiore focus fosse dedicato a risultati misurabili (11) ed all’obiettivo di ricollocare i velocemente disoccupati nel mercato del lavoro, piuttosto alle attività di formazione;
– fosse stabilita la responsabilità piena dei fornitori per il finanziamento delle attività svolte dai disoccupati durante l’affidamento.
In conclusione, la prima fase di sperimentazione danese di quasi mercato del 2002-2005 è stata graduale ed esitante; secondo alcuni riflettendo lo scarso consenso politico (e forse la debolezza anche del settore privato) in un paese caratterizzato da una forte tradizione concertativa nella pianificazione e da una leadership del settore pubblico nella erogazione dei servizi (12).
Una prima analisi valutativa della sperimentazione (13) – anche comparandola con altre – ha sottolineato alcune peculiarità dell’esperienza danese. In primo luogo, con il riguardo agli attori del mercato dei servizi all’impiego è stata ribadita l’importanza relativa assunta dalle organizzazioni sindacali e dalle loro Casse, anche a scapito delle istituzioni formative ed educative (14). La presenza associativa ha costituito una garanzia di controllo sulla qualità dei servizi erogati, anche nella comparazione internazionale, ove spesso la prevalenza riconosciuta al raggiungimento dei risultati – l’importante è centrare l’obiettivo e non come esso è stato raggiunto – che caratterizza quelle esperienze, ha fatto sì che le modalità esecutive delle attività eseguite dei fornitori privati fosse spesso invisibile alle amministrazioni appaltanti (cd. black box).
Un’altra caratterista saliente della sperimentazione danese, è costituita dalla strategia di “risparmio” perseguita dagli Spi danesi, nel far ricorso a fornitori privati. Di fatto, questi sarebbero stati utilizzati soprattutto per liberare le amministrazioni dagli adempimenti amministrativi (ad esempio nella realizzazione del servizio di “primo contatto” con i disoccupati già ricordato). Ciò ha implicato che il coinvolgimento dei privati non ha comportato, come ci si aspettava, lo sviluppo di metodologie innovative nell’esecuzione delle attività, quanto piuttosto, appunto, un risparmio di risorse. Va detto che ciò ha determinato, lo sviluppo di un alto livello di coordinamento, dialogo e cooperazione tra amministrazioni appaltanti e fornitori. Peraltro, proprio il Piano ministeriale del 2005, più orientato ad una strategia rivolta al risultato, potrebbe influenzare negativamente il grado di partnership in precedenza raggiunto.
Ciò è stato possibile anche grazie ad un’altra peculiarità del modello danese e vale a dire il notevole decentramento territoriale della costruzione dei sistemi di quasi mercato. Le sedi della concertazione territoriale hanno cioè beneficiato di una certa discrezionalità nel decidere il livello di coinvolgimento di altri operatori nei sistemi locali per l’impiego. Anche ciò ha ulteriormente favorito il dialogo e la fiducia le Circoscrizioni regionali e i fornitori esterni. Negli altri paesi, invece, un modello di quasi mercato più spinto, ha determinato una mancanza di fiducia tra amministrazioni pubbliche e i fornitori, che non trovato riscontro in Danimarca.
Bisogna infine ricordare che la cd. Strutturale degli Spi danesi (15), entrata in vigore nel 2007, ha modificato sostanzialmente la loro struttura organizzativa, con riflessi – ancora non valutabili – anche sul sistema di aste per l’acquisto di servizi da “altri attori” (16).
Le Regioni italiane del Centro Nord – nella maggior parte dei casi (17) – hanno scelto sistemi di quasi mercato non spinti e cioè salvaguardando il ruolo delle Province, quale fulcro fondamentale per l’erogazione dei servizi all’impiego e affidando agli “altri attori” un ruolo solo integrativo dei Centri per l’impiego. Insomma un sistema a “doppio canale” in cui convivono attori privati e pubblici, agli ultimi dei quali è comunque riservata un ruolo preferenziale.
Rimane che anche in questo campo la situazione appare fortemente differenziata sul territorio; tra l’altro ancora nessuna regione del Mezzogiorno ha messo a frutto la potestà legislativa loro attribuita dalla riforma costituzionale del 2001, con il rischio di rafforzare ulteriormente il gap tra le diverse aree del paese.
NOTE
1) Così Struyven L. (2004), Between Efficiency and Equality. New Public-Private Arrangements in Employment Assistance for the Unemployed, Paper, TLM.NET conference “Quality in Labour Market Transitions: A European Challenge”, Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences, Amsterdam, 25 – 26 Novembre 2004.
2) Mosley H., Sol E., Contractualism in Employment services: A socio-economic perspective, in SOL E., WESTERVELD M., “Contractualism in employment service”, Kluver Law international, The Netherlands, 2005.
3) Sia consentito rinviare a Marocco M., Il “patto di servizio” strumento di gestione delle risorse, in questa Riv., 28 Ottobre 2008.
4) Consedine M., Selling the Unemployed: the Performance of Bureaucracies, Firms, and Non-Profits in the New Australian “Market” for Unemployment Assistance, in Social Policy & Administration, 2000, 34, 3.
5) Consendine M, op.cit. p. 275.
6) l tema dell’attivazione/responsabilizzazione del beneficiario della prestazione sociale è da diverso tempo al centro di un vasto dibattito scientifico e prima nei paesi di area anglosassone e poi in quelli del continente europeo, che hanno fin dagli anni ’80 avviato riforme dei propri sistemi di protezione sociale. Rispetto ai regimi apprestati nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale, ove i benefici sociali rappresentavano diritti connessi allo status di cittadino, è stata individuata la tendenza a riconoscere detti benefici solo in corrispondenza dell’adempimento di talune obbligazioni. Non può poi non essere notato che la cd. Strategia europea per l’occupazione (Seo), sin dai suoi esordi, mediante il pilastro della occupabilità, ha posto al centro della sua azione di indirizzo delle politiche perseguite dai singoli paesi, appunto, la “personalizzazione” delle misure di lotta alla disoccupazione di lunga durata e giovanile e il passaggio alle politiche attive del lavoro.
7) Sino al 2007, l’Af era organizzato in 14 Circoscrizioni Regionali per il Mercato del lavoro, sotto la diretta responsabilità dell’Arbejdsmarkedsstyrelsen (Autorità Nazionale del Mercato del Lavoro, AMS) e del Consiglio Nazionale del mercato del lavoro (Landsarbejdsrade), ove erano rappresentate le parti sociali. A ciascuna circoscrizione corrispondeva un Consiglio del Mercato del lavoro (Regionale Arbejdsmarkedsråd, RAR), a composizione tripartita che garantivano un forte adattamento delle politiche del lavoro ai bisogni ed alle condizioni di mercati del lavoro locali.
8) Accanto ad un sistema universalistico assistenziale, gestito a livello locale, alcune Casse assicurative, vicine al Sindacato, forniscono ai disoccupati, volontariamente assicurati, un generoso e relativamente lungo trattamento di disoccupazione, parametrato all’ultima retribuzione. Le A-kasser – sono così denominate – sono associazioni di persone costituite a fini mutualistici, sottoposte ad un “riconoscimento” statale e alla vigilanza di una apposita direzione nell’ambito del Ministero dell’Occupazione danese.
9) In particolare, alti costi di transizione erano legati al fatto che il sistema di aste era gestito a livello regionale, con criteri di affidamento degli incarichi differenti da territorio a territorio.
10) Nel 2003 fu imposto agli Spi l’obbligo di contattare gli in cerca di lavoro almeno ogni 3 mesi, per verificare la loro disponibilità al lavoro.
11) Era previsto che il 75% del compenso pagabile ai fornitori esterni fosse basato sulle performance raggiunte e solo la parte residua per la presa in carico dei disoccupati; inoltre un bonus era pagato in caso di interventi in favore di disoccupati di lunga durata od immigrati.
12) Linday C., Mcquaid R (2008), Inter-agency Co-operation in Activation: Comparing Experiences in Three Vanguard ‘Active’ Welfare States, in “Social Policy & Society”, 7:3, 353–365.
13) Bredgaard T., Larsen F. (2008), Quasi-Markets in Employment Policy: Do They Deliver on Promises?, in Social Policy & Society 7:3, 341–352.
14) Del resto, come in Australia e Paesi Bassi, anche in Danimarca le grandi multinazionali – ad es. le agenzie di somministrazione – non hanno dimostrato interesse per il nuovo business.
15) Assai semplificando, è stata prevista la riduzione delle Circoscrizioni territoriali da 14 a 4 e la costituzione di nuovi uffici territoriali, che vedono l’unificazione delle precedenti istituzioni competenti in materia di erogazione delle poltiche attive (Comuni e
16) Può essere ricordato in proposito la previsione in base alla quale se il nuovo ufficio territoriale non riuscirà a raggiungere le performance concordate, l’amministrazione potrà anche imporre l’acquisto dei servizi all’impiego all’esterno.
17) L’unica eccezione al momento è costituita dalla Lombardia Per una ricostruzione dei sistemi di accreditamento regionali sia consentito rinviare a Di Domenico G., Marocco M. (a cura di), Strumenti e strategie di governance dei sistemi locali per il lavoro, Isfol, I Libri del Fondo sociale europeo, 121, 2008, in particolare pp. 34 e ss.