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Home - Approfondimenti - Analisi - Il boomerang del taglio alle pensioni d’oro secondo il Contratto Salvini-DiMaio

Il boomerang del taglio alle pensioni d’oro secondo il Contratto Salvini-DiMaio

di Stefano Patriarca
24 Maggio 2018
in Analisi

(analisi a cura di Tabula-futuro e previdenza, la società di ricerca, studi e consulenza sul risparmio previdenziale diretta da Stefano Patriarca)

Nel contratto/programma di governo definito tra 5s e Lega si ipotizza un intervento sulle “pensioni d’oro”. Tale intervento si indica in tal modo: “Per una maggiore equità sociale riteniamo altresì necessario un intervento finalizzato al taglio delle cd. pensioni d’oro (superiori ai 5.000 euro netti mensili) non giustificate dai contributi versati.” Anche se la formulazione appare generica vi sono elementi per procedere ad una valutazione qualitativa e quantitativa.

Area di intervento

Il contratto non specifica se si tratta di singole pensioni o di redditi pensionistici (la somma dei redditi da pensione che percepisce un soggetto). Si può supporre che ci si riferisca alla somma di tutti i redditi da pensione percepiti da un soggetto (vecchiaia, reversibilità, assistenziali, etc…). Il numero complessivo dei soggetti titolari di redditi pensionistici superiori a 5.000 euro mensili (circa 8.500 lordi) è valutato dall’Inps (nel 2016) in circa 30 mila persone (il 2 per mille circa dei pensionati), con un reddito pensionistico medio annuo lordo pari a circa 130.000 euro annui (10.000 lordi mensili) e circa 76.000 netti (5.840 al mese). Nel complesso la spesa annua a carico dello Stato e dell’Inps per tali redditi pensionistici è di circa 4 miliardi (l’1,4% dell’intera spesa per pensioni).

Squilibrio contributivo

Nel testo con la frase “non giustificate dai contributi versati” si richiama la necessità di eliminare la parte di pensione non corrispondente al valore finanziario/attuariale dei contributi pagati. In termini più tecnici tale gap può essere definito “squilibrio contributivo”. Ma come messo in evidenza da alcune ricerche 1, lo squilibrio tra contributi pagati e pensione percepita, squilibrio valutabile in media attorno al 25% di ogni pensione percepita e liquidata con il sistema retributivo, non cresce al crescere del livello della pensione, anzi spesso si riduce. Tale effetto è dovuto al fatto che nel sistema retributivo i rendimenti pensionistici dei redditi medio alti sono decurtati dall’operare di aliquote di rendimento che al crescere della retribuzione si riducono al di sotto del 2% per ogni anno di contribuzione.

Inoltre, lo squilibrio è fortemente connesso all’età di pensionamento (più è bassa e più le pensioni si discostano dai contributi pagati). Le pensioni “d’oro”, in genere, sono caratterizzate da età di pensionamento più alte della media e da anni di contributi numerosi. Per questo mentre le pensioni attualmente in pagamento e liquidate con il sistema retributivo in media, sono superiori al valore finanziario e attuariale dei contributi corrisposti tra il 20% e il 30%, le pensioni più alte vedono ridursi tale squilibrio proprio perché la pensione è ridotta dall’operare dei rendimenti decrescenti. In media si può stimare che lo squilibrio tra contributi e prestazioni per pensioni superiori a 5.000 euro netti mensili si collochi attorno al 5-6 %.

Effetti e gettito atteso

Si ipotizza che il provvedimento sotteso alla proposta sia il seguente: la pensione percepita viene ridotta (solo per coloro che hanno redditi pensionistici superiori a 5.000 euro netti) dell’ammontare equivalente allo “squilibrio” tra contributi e prestazioni (“parte non giustificata dai contributi pagati”). Ad esempio, per una pensione di 10.000 euro lordi al mese (circa 5.837 netti) lo “squilibrio” tra contributi e prestazione lorda può essere valutato attorno al 5%, e quindi la pensione lorda sarebbe ridotta di circa 500 euro, e quella netta si ridurrebbe di circa 284 euro al mese (il 4,9%) e sarebbe portata a circa 5.553 euro. Il gettito complessivo atteso da tale intervento, considerando che la riduzione lorda sarebbe compensata in parte da una riduzione di prelievo fiscale connesso alla minore pensione percepita, può essere stimato in circa 115 milioni annui (circa 210 milioni di minore spesa pensionistica e 85 di minori imposte incassate sulla parte di pensione non più corrisposta).

 Intervento contestuale all’introduzione della Flat Tax

Occorre però considerare che il taglio delle “pensioni d’oro” avverrebbe contestualmente all’introduzione della flat tax, che rappresenta un rilevante risparmio di imposte per i redditi (anche da pensione) alti e molto alti. In altri termini il taglio della pensione sarebbe ampiamento compensato dall’operare dalla flat tax, per cui considerando l’insieme dei due provvedimenti, una pensione “d’oro” di 5,837 euro netti mensili, nonostante il taglio per lo squilibrio tra contributi e prestazione, aumenterebbe di ben 1.674 euro mensili. Infatti, la riduzione da “squilibrio” di 284 euro mensili sarebbe più che compensata da una riduzione fiscale di 1.958 euro al mese. In altre parole, il risultato complessivo sarebbe quello di far aumentare di circa il 30% la pensione “d’oro”.

Gli effetti complessivi sulla spesa pubblica

In termini di spesa pubblica a fronte di una minore spesa pensionistica di 210 milioni si avrebbe una riduzione del gettito fiscale di circa 862 milioni, con un aumento di spesa pubblica di circa 653 milioni, su una platea di sole 30 mila persone (in media circa 21.700 euro di reddito netto in più l’anno a testa, beneficio crescente al crescere del reddito).

(leggi qui l’articolo completo di tabelle)

Stefano Patriarca

Tags: PensioniGovernoPrevidenza
Stefano Patriarca

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