C’era ben poco di sindacale nel lungo intervento di Maurizio Landini a Piazza San Giovanni. Ovviamente c’erano le richieste tipiche della piattaforma della Cgil – pensioni, sanità, fisco, lavoro, precarietà, eccetera – ma espresse in modo abbastanza sommario. Perché del resto non era quello il succo. Il succo, tutto politico, era piuttosto in un paio di frasi chiave pronunciate dal leader Cgil: lette in sequenza danno al suo intervento (più misurato del solito nei toni, tra l’altro) un senso preciso, portando diversi osservatori ad affermare che forse a Piazza San Giovanni è effettivamente nata la famosa coalizione sociale che Landini, all’epoca ancora nei metalmeccanici, aveva cercato di lanciare anni fa con risultati non brillanti. Brillantissima, invece, è stata l’adunata della piazza: dove se non i duecentomila partecipanti dichiarati dagli organizzatori, c’era comunque una massa di gente che da parecchio non si vedeva tutta assieme.
La prima frase rivelatrice di Landini è: “noi vogliamo riunire quello che è diviso”. E cioè: il mondo del lavoro, frantumato da “leggi sbagliate” che hanno acuito le differenze e la precarietà, a partire dal Jobs Act; ma anche il mondo politico a sinistra, dal Pd ai 5Stelle, e infine, in parallelo, anche il mondo vasto delle centinaia di associazioni e movimenti di diversissime estrazioni presenti in piazza: dalle Acli a Libera, da pinco a pallino.
La seconda frase significativa è: “siamo noi la maggioranza nel paese”. Landini da un anno ripete, numeri alla mano, che la destra non ha affatto “vinto” il 25 settembre del 2022, considerando che lo schieramento guidato da Giorgia Meloni ha in realtà preso qualche voto in meno delle precedenti elezioni, mentre l’area progressista parecchi voti in più. Per non dire di quei 18 milioni di persone che a votare non sono proprio andate. Ma a fare la differenza è stata la capacità della destra di compattarsi sempre e comunque, a fronte dell’incapacità degli altri di unirsi sotto una stessa bandiera elettorale.
Dunque, quando Landini dice “la maggioranza siamo noi”, e lo unisce a “siamo qui per unire ciò che è diviso”, traccia la sintesi di quella che potrebbe essere la sua ambizione: svolgere – lui, o la Cgil? – il ruolo di catalizzatore per una riunificazione dell’area progressista all’insegna del sociale. Un campo larghissimo che vada addirittura “oltre” la sinistra (concetto espresso da Zagrebelsky sul palco di San Giovanni e fatto proprio da Landini stesso) e che un domani possa aspirare a vincere parlando al lavoro dipendente come alle partite iva, ai pensionati e agli studenti, al volontariato e al terzo settore, ai credenti e ai laici; ma soprattutto parlando “a chi le tasse le paga”, distinguendo a partire dalla correttezza fiscale chi sta di “qua” e chi di “la”; ed è questa la terza frase significativa che completa il quadro del progetto landiniano.
Basterà? Perché se si può, con una discreta certezza, affermare che la coalizione sociale adesso è nata ed esiste, cosa farà “da grande” ancora non è chiaro. Forse qualche altro tassello si potrà comporre dopo altre due tappe chiave, attese a breve: lo sciopero generale (se si farà, come e con chi, innanzi tutto: considerando che a San Giovanni la piazza lo chiedeva, ma Landini invece non lo ha mai nominato); e poi la manifestazione “gemella” del Pd, che Elly Schlein ha annunciato per l’11 novembre, alla quale dovrebbero partecipare anche i Cinque stelle di Giuseppe Conte e chissà chi altri.
D’altra parte, Landini con la politica interloquisce direttamente ormai da molto tempo. Lasciando stare il tentativo originario della coalizione sociale, vanno ricordate almeno altre due iniziative recenti nelle quali ha voluto come interlocutori proprio i leader dei vari partiti dell’area progressista. La prima a luglio 2022, all’Acquario di Roma, la seconda sul palco del congresso di Rimini, lo scorso febbraio. In entrambi i casi, il capo della Cgil aveva parecchio strapazzato i capi dei partiti, accusandoli di non saper più rappresentare il mondo del lavoro e ricordando loro che la Cgil, bene o male che vada, conta su uno zoccolo duro di circa 5 milioni di iscritti: a differenza dei partiti, le cui tessere sono da anni in via di estinzione. Dunque, volendo, nel progetto ladiniano si potrebbe intravvedere anche l’auspicio di un superamento della rappresentanza politica tradizionale, ormai priva di appeal, a favore di una rappresentanza più tipicamente sociale, sganciata dalle appartenenze partitiche. Una sorta, insomma, di disintermediazione al contrario. Ma del resto, quei 18 milioni che restano a casa il giorno delle elezioni, e che Landini non smette mai di evocare, qualcosa vorranno pur dire; e soprattutto qualcosa potrebbero prima o poi voler ascoltare.
Nunzia Penelope