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Il Diario del Lavoro

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Home - Approfondimenti - Analisi - Il contratto di inserimento

Il contratto di inserimento

6 Settembre 2004
in Analisi

di Mario Emanuele, ricercatore Isfol

L’attuale legislatore, con l’emanazione del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 (in avanti, Decreto), ha provveduto a rinnovare in modo organico la precedente disciplina dei contratti a causa mista, apportando ad essa mutamenti radicali.

In sintesi, il contratto di apprendistato, così come del resto già annunciato nel Libro Bianco, diventa l’istituto di riferimento per la formazione dei lavoratori, mentre il contratto di formazione e lavoro (cfl) viene sostanzialmente abrogato, seppur in modo tacito, con riferimento al rapporto di lavoro privato e rimane in vigore con riferimento al pubblico impiego.


Al posto di quest’ultima tipologia contrattuale è stato introdotto e regolamentato il contratto di inserimento; è, tuttavia, improprio assumere che vi sia stata una mera sostituzione tra le due discipline contrattuali, in quanto quest’ultimo istituto si distingue nettamente dal primo per una serie di elementi che verranno in seguito illustrati e che inducono, sin d’ora, l’interprete ad affermare che esso non possa essere ricondotto tra i contratti a causa mista o a contenuto formativo[1].


Del resto, anche per superare alcune ambiguità e contraddizioni manifestatesi in costanza dell’applicazione del contratto di formazione e lavoro, la volontà legislativa è stata affatto chiara nella conformazione del contratto di inserimento come strumento giuridico volto ad incentivare soprattutto l’adattabilità[2] di particolari categorie soggettive di lavoratori che stentano a trovare una felice collocazione nel mercato del lavoro italiano[3].


 


In relazione al rapporto tra il cfl ed il contratto di inserimento, appare lucida l’analisi di chi ha osservato come abbia costituito “una tardiva presa d’atto che la componente più genuinamente formativa del vecchio contratto di formazione e lavoro – cui subentra il contratto di inserimento – è stata sistematicamente mortificata da funzioni ulteriori e improprie, tra cui la riduzione del costo del lavoro, l’inserimento del mercato del lavoro delle fasce giovanili e, non da ultimo, l’allentamento di talune rigidità in materia di assunzioni”[4].


Anche per questo, il contratto di inserimento dovrebbe presupporre l’esistenza di una professionalità già acquisita, non essendo istituzionalmente volto, come invece per il cfl, al conseguimento di una qualifica. Ciò non toglie che anche soggetti privi di specifica qualifica possano sottoscrivere tale contratto, come avverrà per i giovani tra i 18 ed i 29 che non posseggano un titolo di studio professionale o non abbiano alcuna specifica esperienza professionale precedente.


In esecuzione dei principi e criteri direttivi contenuti all’art. 2 della L. n. 30 del 14.2.2003, è stata regolamentata al Capo II del Titolo VI del Decreto la disciplina del contratto di inserimento (artt. 54-59) [5].


Quest’istituto è definito come “un contratto di lavoro diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro delle seguenti categorie di persone: a) soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni; b) disoccupati di lunga durata da ventinove fino a trentadue anni; c) lavoratori con più di cinquanta anni di età che siano privi di un posto di lavoro; d) lavoratori che desiderino riprendere una attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno due anni; e) donne di qualsiasi età residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile determinato con apposito decreto del Ministro dei lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sia inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile; f) persone riconosciute affette, ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico” (art. 54).


 


Si è ritenuto di riportare integralmente l’elencazione dei soggetti destinatari della misura in esame perché ciò permette di evidenziare come il contratto di inserimento sia chiaramente destinato, come premesso, ad agevolare l’occupabilità di tutti quei soggetti che incontrano difficoltà significative nell’inserimento al lavoro. Questa specifica caratteristica, funzionale alla soddisfazione di esigenze di primaria importanza in un mercato del lavoro complesso e per certi versi asfittico come quello italiano, insieme con la previsione degli incentivi giuridici e contributivi che illustreremo tra breve, induce, peraltro, ad osservare che il contratto di inserimento, ancor più di altri istituti disciplinati nel decreto più volte citato, possa davvero avere una vasta applicazione.


Particolarmente rilevante risulta anche il riferimento ai datori di lavoro legittimati alla sottoscrizione del contratto di inserimento (art. 54, co. 2): a) enti pubblici economici, imprese e loro consorzi; b) gruppi di imprese[6]; c) associazioni professionali (stranamente non sono stati ivi compresi i singoli professionisti), socio-culturali, sportive; d) fondazioni; e) enti di ricerca, pubblici e privati; f) organizzazioni e associazioni di categoria. Seppur sia escluso tutto il pubblico impiego, è comunque davvero ampia la platea dei datori di lavoro che potranno far ricorso a questa misura contrattuale.


Al comma terzo dell’art. 54 è stato prevista una condizione oggettiva la cui ricorrenza sarà in futuro necessaria per la stipula di questo contratto: i datori di lavoro interessati, infatti, fatta salva l’ipotesi che non sia venuto a scadere nel medesimo periodo un solo contratto di inserimento, per procedere a nuove assunzioni dovranno avere “mantenuto in servizio almeno il sessanta per cento dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia venuto a scadere nei diciotto mesi precedenti. A tale fine non si computano i lavoratori che si siano dimessi, quelli licenziati per giusta causa e quelli che, al termine del rapporto di lavoro, abbiano rifiutato la proposta di rimanere in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, i contratti risolti nel corso o al termine del periodo di prova, nonché i contratti non trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato in misura pari a quattro contratti[7]. Agli effetti della presente disposizione si considerano mantenuti in servizio i soggetti per i quali il rapporto di lavoro, nel corso del suo svolgimento, sia stato trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.


 


Il progetto individuale di inserimento


 


Dalla lettura del dettato normativo, risalta immediatamente come il fulcro essenziale del contratto in esame sia la previsione del progetto individuale di inserimento, la cui definizione è considerata una condizione giuridicamente indispensabile in vista dell’assunzione.


Tale progetto, che dovrà essere individuato con il consenso del lavoratore, dovrà parimenti essere “finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al contesto lavorativo” (art. 55, co.1).


Per la migliore definizione dei piani individuali di inserimento, inoltre, il Governo ha ritenuto di rinviare ogni elaborazione sulle necessarie modalità alla contrattazione collettiva, nazionale e territoriale, come individuata all’art. 55, co. 2. In tal caso, la contrattazione collettiva potrà, in vista della migliore realizzazione del progetto, far ricorso anche “ai fondi interprofessionali per la formazione continua, in funzione dell’adeguamento delle capacità professionali del lavoratore, nonché le modalità di definizione e sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento diretti ad agevolare il conseguimento dell’obiettivo” del miglior inserimento del lavoratore nel contesto produttivo prescelto.


 


Il riferimento al progetto individuale di inserimento permette di rimarcare, ancora una volta, la distanza di questo contratto rispetto al contratto di formazione e lavoro dove il progetto formativo, approvato da appositi organismi collegiali amministrativi (commissioni regionali tripartite) o da soggetti di natura sindacale come gli enti bilaterali, finiva per influenzare la causa stessa del contratto, postulando la necessarietà dell’abbinamento dell’elemento formativo al normale scambio lavoro-retribuzione.


Nel contratto di inserimento, infatti, dove la formazione è prevista solo eventualmente (art. 55, co. 4) e, pertanto, non può certo dirsi che essa costituisca un elemento essenziale del contratto, il progetto mira semplicemente al miglior adattamento del lavoratore al contesto produttivo in cui lo stesso è stato inserito, evidenziando in tal modo come il fine essenziale non sia quello di formare un lavoratore, ma di poterlo adeguatamente inserire o reinserire nella singola azienda e di accompagnarlo in questo processo di adattamento sino al termine di durata del rapporto.


 


Per quanto riguarda i requisiti formali del contratto, la scelta di imporre l’adozione della forma scritta a pena di nullità (art. 56) per la sua sottoscrizione appare espressiva della volontà legislativa di perseguire con forza le finalità per cui è stato regolamentato questo contratto; qualora tale requisito formale dovesse essere disatteso, il lavoratore potrà richiedere ed ottenere la costituzione ope iudicis del proprio rapporto di lavoro a tempo indeterminato.


In merito alla durata del contratto di inserimento, il Decreto prevede che essa non possa essere inferiore a nove mesi, né superiore a diciotto mesi e che, in caso di assunzione di soggetti disabili, come individuati all’articolo 54, co. 1, lett. f), la durata massima può essere estesa fino a trentasei mesi)[8]; inoltre, una volta decorso il termine stabilito, tale contratto non potrà essere rinnovato tra le stesse parti, ma il lavoratore ne potrà sottoscrivere uno analogo con un diverso datore di lavoro. Sono invece ammesse eventuali proroghe, sempre che siano motivate adeguatamente in stretta connessione alla prosecuzione del progetto individuale di inserimento, entro il limite massimo di durata appena indicato; risultano così legittimate anche più proroghe del medesimo rapporto di lavoro, diversamente da quanto invece avviene ai sensi della disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato (ex D.Lgs. n. 368/2001) dove ne è prevista semplicemente una nel solo caso in cui il contratto a termine abbia una durata inferiore ai tre anni.


 


L’accordo interconfederale


 


In data 11.2.2004, una ben nutrita rappresentanza delle associazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e le maggiori confederazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil) hanno sottoscritto un accordo interconfederale, con efficacia transitoria e sussidiaria, per una prima disciplina dei contratti di inserimento e di reinserimento, in attesa che ad una regolamentazione più dettagliata provveda la contrattazione collettiva di settore, secondo i livelli di pertinenza. La sottoscrizione di tale accordo, peraltro, ha permesso, recependo quanto previsto al comma 13 dell’art. 86 del D.Lgs. n. 276/2003 (per la messa a regime del medesimo decreto, anche con riferimento al regime transitorio e alla attuazione dei rinvii contenuti alla contrattazione collettiva), che tale tipologia contrattuale potesse trovare rapidamente esecuzione in contesto regolatorio maggiormente organico.


Le parti contraenti hanno convenuto che, in sede di contrattazione collettiva, dovrà essere affrontato “il tema dell’attribuzione del livello di inquadramento in correlazione alle peculiarità settoriali e/o a specifiche condizioni professionali del lavoratore” e dovranno essere ricercate “soluzioni atte a conseguire il mantenimento in servizio dei lavoratori, tenuto conto delle diverse specificità produttive ed organizzative e dei relativi necessari requisiti professionali, anche nell’ambito dei provvedimenti di incentivazione che dovessero essere emanati in materia”.


 


Tra gli altri aspetti, è stato stabilito che, in vista della definizione della categoria dei “disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni”, le parti dovranno fare riferimento a quanto previsto all’art. 1, co. 1, del D.Lgs. n. 181/2000, come sostituito dall’art. 1, co. 1, del D.Lgs. n. 297/2002, laddove tali sono considerati coloro che, “dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un’attività di lavoro autonomo, siano alla ricerca di una nuova occupazione da più di dodici mesi”. Sono stati inoltre determinati, in via generale, alcuni elementi della disciplina del contratto di inserimento, come la durata della sua efficacia che, fermo quanto previsto all’art. 57 del D.Lgs. n. 276/2003, potrà, “nell’ipotesi di reinserimento di soggetti con professionalità compatibili con il nuovo contesto organizzativo”, essere individuata in sede di contrattazione collettiva anche in termini inferiori rispetto a quella massima ope legis indicata, “tenendo conto della congruità delle competenze possedute dal lavoratore con la mansione alla quale è preordinato il progetto di inserimento”[9]; viene altresì regolato l’orario di lavoro, che potrà essere a tempo pieno o a tempo parziale, nonché  l’eventuale periodo di prova che sarà determinato attraverso il rinvio al contratto collettivo applicato per la categoria giuridica ed il livello di inquadramento attribuiti al lavoratore nel contratto di inserimento/reinserimento.


In aggiunta, è stato concordato che nel contratto di inserimento dovrà essere contenuto un trattamento di malattia ed infortunio non sul lavoro disciplinato secondo quanto previsto in materia di accordi per la disciplina dei contratti di formazione e lavoro o, in difetto, dagli accordi collettivi applicati in azienda, riproporzionato in base alla durata del rapporto prevista dal contratto di inserimento/reinserimento e comunque non inferiore a settanta giorni.


Particolarmente significativa è la disciplina sul progetto individuale di inserimento, soprattutto perché dimostrativa di quanto, a tal proposito, sia rilevante l’interesse delle parti sociali. E’ stato, a tal proposito, deciso che tale progetto dovrà essere finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore al contesto lavorativo, valorizzandone le professionalità già acquisite ed, inoltre, che in esso dovranno essere indicati: a) la qualificazione al conseguimento della quale è preordinato il progetto di inserimento/reinserimento oggetto del contratto; b) la durata e la modalità della formazione.


Diversamente, rispetto al recente decreto di riforma del mercato del lavoro, l’accordo interconfederale prevede esplicitamente la somministrazione di formazione teorica, nella misura minima di 16 ore, “ripartite tra l’apprendimento di nozioni di prevenzione antinfortunistica e di disciplina del rapporto di lavoro ed organizzazione aziendale ed accompagnata da congrue fasi di addestramento specifico, impartite con modalità di e-learning, in funzione dell’adeguamento delle capacità professionali del lavoratore”[10]. Infine, si è convenuto che nel contratto di inserimento dovrà essere previsto un trattamento di malattia ed infortunio non sul lavoro disciplinato secondo quanto previsto in materia di accordi per la disciplina dei contratti di formazione e lavoro o, in difetto, dagli accordi collettivi applicati in azienda, riproporzionato in base alla durata del rapporto prevista dal contratto di inserimento/reinserimento e comunque non inferiore a settanta giorni.


 


Ritornando alla regolamentazione contenuta nel Decreto, accanto alla ferma apertura verso il contributo delle parti sociali, è stato deciso (all’art. 58, co. 1) che, in assenza di specifiche previsioni della contrattazione collettiva, nazionale o territoriale, per la regolamentazione del contratto di inserimento potrà essere applicata, se compatibile, la disciplina del rapporto di lavoro a termine (D.Lgs. n. 368/2001).


Ferma la differenza con la disciplina ordinaria del contratto di lavoro a tempo determinato che legittima la sua applicabilità e l’apposizione del termine a seguito della verifica della sussistenza di condizioni di natura oggettiva (esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive), nel contratto in esame, invece, vista la scelta legislativa di destinare tale istituto all’inserimento/reinserimento di lavoratori appartenenti a categorie considerate deboli ai fini della loro penetrazione e permanenza nel mercato del lavoro, può allora dirsi che l’opzione per l’applicazione della disciplina del D.Lgs. n. 368/2001 si fondi sulla considerazione che esso costituisca una sottospecie del contratto a termine, ma di “tipo soggettivo”[11].


Gli incentivi


 


Nella regolamentazione normativa, un aspetto di primaria importanza è rappresentato, evidentemente, dagli incentivi economici e normativi che sono stati o che verranno introdotti per promuovere la sottoscrizione dei contratti di inserimento.


Secondo quanto stabilito all’art. 59, co. 1, rilevano innanzi tutto gli incentivi giuridici, con effetti sulla retribuzione: in primis, con evidenti ricadute in termini retributivi, è stato, infatti, previsto che “durante il rapporto di inserimento, la categoria di inquadramento del lavoratore non può essere inferiore, per più di due livelli (la precedente previsione relativa al contratto di formazione e lavoro prevedeva un inquadramento inferiore di un solo livello rispetto a quello fattuale), alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è preordinato il progetto di inserimento oggetto del contratto”.


Sempre in un ambito prettamente giuridico assume altresì importanza quanto stabilito al comma secondo della medesima disposizione, per cui, “fatte salve specifiche previsioni di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di inserimento sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti”, tra cui è possibile annoverare l’art. 18, co. 2, della L. n. 300/1970 sulla tutela reale del posto di lavoro in caso di licenziamento individuale (coloro che erano stati assunti con un contratto di formazione e lavoro, diversamente, venivano regolarmente computati a tal fine).


Vista la complessa fase di transizione per la finanza pubblica, appare ancora tutta da giocare la partita degli incentivi economici per il contratto di inserimento; nel frattempo, tuttavia, il Legislatore ha confermato che “gli incentivi economici previsti dalla disciplina vigente in materia di contratto di formazione e lavoro trovano applicazione con esclusivo riferimento ai lavoratori di cui all’articolo 54, comma 1, lettere b), c), d), e) ed f)”. Tra i destinatari della disciplina del contratto di inserimento, dovrebbero rimanere, pertanto, esclusi i giovani tra i diciotto ed i ventinove anni.


Ex art. 54, co. 5, si è optato, infine, per conservare l’efficacia di quelle disposizioni, se più favorevoli, di cui all’articolo 20 della legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di contratto di reinserimento dei lavoratori disoccupati[12]. In questo caso, come precisato dall’INPS nella circolare n. 51 del 2004, la prevista decontribuzione dovrà essere riferita al periodo di efficacia del medesimo contratto.


Di particolare importanza sono i chiarimenti in tema di incentivi economici contenuti nella circolare n. 31 adottata dal Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali in 21 luglio 2004: a parte la migliore definizione delle categorie di lavoratori beneficiari delle agevolazione contributive previste per il cfl, viene specificato come, in ottemperanza alla disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato[13], le agevolazioni contributive potranno essere liberamente concesse sempre che non venga superata la riduzione del 25 per cento dell’onere contributivo; ed, ancora, che, qualora l’agevolazione contributiva dovesse essere superiore al 25%, ma non maggiore del 50%, del costo salariale annuo del lavoratore assunto (60%, se disabile), dovranno sussistere i seguenti presupposti: un incremento netto del numero dei dipendenti dello stabilimento interessato e la garanzia della continuità dell’impiego per almeno 12 mesi[14].


 


Dal punto di vista sanzionatorio, infine, è stato già riportato quanto previsto in caso di assenza della forma scritta del contratto ed analoghe conclusioni possono essere estese per l’assenza del progetto individuale di inserimento, anche se quest’ultima soluzione è da ricavarsi solo in termini interpretativi in considerazione del fatto che tale progetto è un elemento essenziale del contratto di inserimento (peraltro, l’appena citata circolare n. 31/2004 ha posto fine a questa incongruenza  normativa, stabilendo che, “in mancanza di progetto di inserimento il contratto, è nullo e il lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato con decorrenza dalla data di costituzione del rapporto”).


Occorre analizzare quanto stabilito al quinto comma dell’art. 55 del Decreto in relazione alle gravi inadempienze imputabili al datore di lavoro in costanza dell’esecuzione del progetto individuale di inserimento. A seguito dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri in data 3.6.2004 del decreto correttivo del D.Lgs. n. 276/2003, la sanzione, di natura pecuniaria, originariamente prevista per questa eventualità in misura pari alla “quota di contributi agevolati maggiorati del 100%”, è stata modificata, determinandola nella “differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta per il lavoratore avente lo stesso inquadramento legale e contrattuale, maggiorata del 100 %” “quota di contributi agevolati maggiorati del 100%”, così da prendere a riferimento il livello di inquadramento che il lavoratore avrebbe ottenuto al termine del proprio periodo di inserimento.


In ogni caso, la scelta di non estendere, in presenza delle suddette gravi inadempienze, la sanzione della trasformazione del contratto di inserimento in un diverso contratto di lavoro a tempo indeterminato e, conseguentemente, di preferire la conservazione del rapporto di lavoro, è ulteriormente dimostrativa di quanto il concreto svolgimento di un adeguato percorso formativo, pur rappresentando un presupposto affatto significativo, non costituisca un elemento essenziale della sinora descritta disciplina rispetto al prius della finalità di ricollocazione del lavoratore nel mercato del lavoro.


 


L’esperienza nella contrattazione


 


Ferma l’impossibilità di procedere alla stipula di nuovi contratti di formazione e lavoro ed i problemi organizzativi che una simile situazione, salvo il regime transitorio emerso dalla stipula dell’accordo interconfederale del 13.11.2003 per i contratti, appartenenti a questa tipologia, espressivi di progetti approvati o presentati precedentemente alla data di entrata in vigore del Decreto (24.9.2003)[15], le parti sociali e le singole aziende hanno sin da subito iniziato a confrontarsi sulle prospettive aperte dall’introduzione del nuovo istituto giuridico.


Si procederà, di seguito, alla disamina di alcuni accordi collettivi, nazionali ed aziendali, recentemente sottoscritti, provando a dare evidenza soprattutto alle clausole che aggiungono nuovi elementi di regolamentazione, soprattutto in tema di formazione, rispetto a quanto disposto nel Decreto e nell’accordo interconfederale del 11 febbraio 2004.


Si rileva immediatamente come siano diversi i contratti collettivi nazionali, con riferimento alla formazione, abbiano esplicitato un mero rinvio a quanto stabilito a tale accordo: Ccnl Edili/Confindustria del 20.5.2004, Gomma-plastica/Confindustria del 2.6.2004, Calzature/Confindustria del 18.5.2004, Occhiali/Confindustria del 27.5.2004, Aziende ed i dipendenti della piccola e media industria alimentare del 6.5.2004; Tessili/Confindustria del 24.4.2004.


Nei CCNL Commercio (Confcommercio e Confesercenti), rispettivamente del 2 e del 6.6.2004, in cui è comunque  presente il richiamo a tale accordo interconfederale, è stato previsto un periodo minimo di formazione teorica più esteso, in misura pari a 24 ore, per il contratto di inserimento (analoga previsione è contenuta nell’accordo per il rinnovo CCNL per gli Esercenti Attività Commerciali Turistiche e dei Servizi del  6.7.2004). Va, inoltre, rilevato come tale Ccnl preveda che questa tipologia contrattuale sia da stipulare “con soggetti con professionalità coerenti con il contesto organizzativo aziendale che, sulla base di quanto certificato nel libretto formativo o, in mancanza, da documentazione equipollente, risultino avere svolto, nel corso degli ultimi diciotto mesi, le medesime mansioni, nella stessa categoria merceologica, per un periodo di almeno tre mesi, oppure che abbiano seguito gli specifici percorsi formativi promossi dagli enti bilaterali o dalle istituzioni pubbliche o centri formativi regolarmente accreditati per il reinserimento dei lavoratori”; tale precisazione, infatti, rende evidente come, per le parti contraenti operanti in questo settore, non sia affatto irrilevante che il lavoratore da assumere possieda una qualifica o una adeguata esperienza già prima dell’assunzione.


 


Ancora in relazione alla formazione, per il settore Petrolio-energia, in data 1.4.2004, è stato concordato che “l’azienda garantirà almeno 40 ore di formazione per i contratti di inserimento che abbiano una durata di 12 mesi e almeno 60 ore di formazione per i contratti di inserimento che abbiano una durata di 18 mesi”.


Più rilevante e differenziato risulta lo sviluppo del contratto di inserimento in sede di contrattazione collettiva aziendale: così, nell’accordo relativo al Gruppo Torinese Trasporti Spa, sottoscritto con la partecipazione delle organizzazioni sindacali in data 22.4.2004 per  “procedere con tempestività a nuove assunzioni al fine di mantenere equilibrati i livelli di organico necessari per la produzione del servizio”[16], la durata del contratto è stata fissata in misura variabile a seconda del possesso di determinati requisiti in capo ai lavoratori assunti: 18 mesi per chi sia titolare della patente D e del certificato di abilitazione professionale; 15 mesi per chi sia titolare della patente E e 12 mesi per coloro che abbiano già avuto esperienze di lavoro nel settore del trasporto pubblico locale di persone per un periodo non inferiore a 18 mesi. E’ stato poi espressamente previsto un periodo di formazione teorico-pratica garantita, pari a 130 (26 ore di teoria e 104 ore di guida nei primi 20 giorni dall’assunzione), da somministrare al neo-assunto. L’azienda di trasporti ha, inoltre, assunto l’impegno di mantenere in servizio il 90 % dei lavoratori al termine del periodo di efficacia del contratto di inserimento, sempre che gli stessi abbiano conseguito la patente E.


Particolare rilevanza hanno le previsioni contenute nell’ipotesi di accordo per l’Ilva (Gruppo Riva) del 12.11.2003, dove, coerentemente alla delicatezza dei profili per il reclutamento dei quali verranno stipulati i contratti di inserimento (operatore siderurgico specializzato; manutentore meccanico; manutentore elettrico; impiegato di staff), le parti contraenti hanno disciplinato un percorso di formazione particolarmente completo: oltre a 16 di formazione teorica, ne sono state previste altre 24 di formazione specifica per ogni famiglia professionale ed almeno 40 ore di addestramento personalizzati secondo un progetto individuale che verrà illustrato e concordato con il candidato in sede di assunzione, dopo una specifica verifica dei fabbisogni formativi.


Si segnala, infine, l’accordo del 25 maggio 2004 per la regolamentazione del contratto di inserimento in Enel Spa, in cui, rispetto alla disciplina contenuto nell’accordo interconfederale, è stato concordato un significativo incremento del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di assenza per malattia o infortunio non sul lavoro (135 giorni contro 70 giorni); mentre, in merito alla formazione, è stato stabilito che essa avrà una durata teorica non inferiore a 90 ore, ripartita fra l’apprendimento di nozioni di prevenzione antinfortunistica e di disciplina del rapporto di lavoro ed organizzazione aziendale e sarà accompagnata da fasi di addestramento specifico.


 


Alla luce delle brevi osservazioni svolte, si perviene alla conclusione che l’interesse verso questa nuova figura contrattuale sia quanto mai vivo. Soprattutto la contrattazione di II livello, inoltre, sembra offrire i migliori spunti verso una regolamentazione di quest’istituto in modo affatto funzionale alle particolarità delle differenziate attività produttive. Da questo punto di vista, le previsioni in tema di formazione sono particolarmente significative perché offrono un quadro assolutamente chiaro sulla differenziata necessità delle diverse aziende di preparare i neo-assunti allo svolgimento dei peculiari specifici compiti e delle precise mansioni che saranno chiamati a svolgere.


In conclusione, si ritiene che, malgrado la formazione sia frequentemente prevista negli accordi riportati, le parti contraenti non abbiano generalmente inteso conformare il contratto di inserimento in modo contraddittorio rispetto all’impostazione legislativa: quest’istituto non potrà, pertanto, essere ascritto tra i contratti cd. a causa mista dal momento che la formazione risulta, comunque, sempre funzionale ad un rapido adattamento del lavoratore alle mansioni assegnategli e, con esse, un soddisfacente inserimento di quest’ultimo nel mercato del lavoro[17].


 






[1] Al fine di porre un definitivo chiarimento sulla natura del contratto di inserimento, il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, con la circolare n. 31 del 21 luglio 2004, ha precisato come in tale contratto “la funzione formativa perde la sua natura caratterizzante a favore della finalità di garantire la collocazione o la ricollocazione nel mercato del lavoro di soggetti socialmente più deboli individuati tassativamente dal Legislatore”.



[2] Si segnala, in proposito, lo scritto di Domenico Garofalo, Il contratto di inserimento: dall’occupabilità all’adattabilità, in Lavoro nella giurisprudenza, 2004, 3, pag. 311. 



[3] Questa scelta legislativa ha, inoltre, determinato il venir meno della necessità di una ripartizione di competenze legislative tra Stato e Regioni, malgrado non sia affatto pacifica l’estromissione di quest’ultime da ogni ipotesi di intervento di regolamentazione sull’eventuale formazione che verrà somministrata al lavoratore assunto con un contratto di inserimento (si rinvia, a tal fine, ad Orlandini G., Contratti a contenuto formativo e competenze normative delle Regioni, in De Luca Tamajo – Rusciano – Zoppoli L., Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, E.S., Napoli, pag. 515 e ss).



[4] Tiraboschi M., Opportunità per le fasce socialmente più deboli, in Il Sole 24 ore del 22 luglio 2004, pag. 17. L’Autore sottolinea, altresì, come il perseguimento con il cfl delle suddette finalità, sebbene autonomamente meritevoli, abbia finito “per creare vere e proprie barriere e discriminazioni all’ingresso nel mercato regolare di altri gruppi di lavoratori svantaggiati: over 50 espulsi dai processi produttivi, donne e madri in cerca di reinserimento nel mercato del lavoro, disoccupati di lungo periodo, disabili, ecc.”. Nel medesimo senso, Balletti E., Il contratto di inserimento al lavoro: profili strutturali e funzionali del nuovo modello negoziale, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2004, 5, pag. 423.



[5] A tal proposito, si segnala che l’I.S.F.O.L. ha avviato un’attività di ricerca tesa a monitorare gli esiti occupazionali che potranno scaturire dall’applicazione del contratto di inserimento ed a registrare i contributi che la contrattazione collettiva, nazionale ed aziendale, riuscirà ad offrire in vista di una regolamentazione di quest’istituto in termini funzionali alle esigenze del settore produttivo di pertinenza e, più in generale, del mercato del lavoro interno.



[6] Per quanto riguarda i gruppi di imprese, è stato puntualizzato con la circolare n. 31/2004, dal Ministero che la norma contenuta all’art. 54, co. 2, debba essere intesa nel senso che tale contratto possa essere stipulato anche con una delle diverse società del gruppo.



[7] Secondo quanto previsto dalla circolare del Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali n. 31 del 2004, su cui ci si soffermerà in seguito, la suddetta franchigia dovrà essere considerata nell’arco dei 18 mesi; quindi, se in questo stesso termine siano stati stipulati 5 contratti di inserimento e quattro di questi non siano strati trasformati, sarà sufficiente confermarne uno soltanto, visto che “il 60% di 1 è pari a 0,60, che va arrotondato a 1”.



[8] Ai sensi dell’art. 57, co. 2, non si tiene conto nel computo del limite massimo di durata degli eventuali periodi dedicati allo svolgimento del servizio militare o di quello civile, nonché dei periodi di astensione per maternità.



[9] Visto l’univoco riferimento ai contratti di reinserimento, tale possibilità non potrà valere per i soggetti inoccupati.



[10] Gottardi D., L’accordo interconfederale sul contratto di inserimento, in Contratti e contrattazione collettiva, 2004, 3, pag. 25. Nello scritto viene evidenziato come la previsione di un periodo minimo di formazione avvicini, secondo l’intenzione delle parti contraenti, il contratto di inserimento alla seconda tipologia di contratto di formazione e lavoro (ex art. 16, co. 2, lett. b, della Legge n. 451 del 1994), destinata appunto ad agevolare l’inserimento professionale mediante un’esperienza lavorativa che consenta un adeguamento delle capacità professionali al contesto produttivo ed organizzativo.



[11] Tiraboschi, op. cit., 2004. Si aggiunge, inoltre, riprendendo quanto affermato nella recente circolare ministeriale n. 31/2004, che dalla disciplina del contratto di lavoro a termine potrà certamente mutuarsi quanto previsto in materia di divieti (art. 3, D.Lgs. n. 368/2001).



[12] Secondo questa norma, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato la dovuto contribuzione sarà ridotta del 75% per un periodo di dodici mesi, ventiquattro mesi o trentasei mesi a seconda se il lavoratore interessato debba considerarsi disoccupato rispettivamente per un periodo inferiore a due anni, a tre anni o da più di tre anni.



[13] La precisazione ministeriale appare quanto mai utile dal momento che, come noto, lo Stato italiano era stato in passato sanzionato con la Decisione del 11.5.1999 dalla Commissione in quanto la disciplina interna per il riconoscimento di incentivi economici alle imprese che avessero stipulato cfl era stata giudicata in contrasto con la normativa europea sugli aiuti di Stato (art 87 del Trattato).



[14] A differenza di quanto era stato inteso in un primo momento, le agevolazioni contributive potranno essere altresì erogabili a fronte dell’assunzione di disoccupati che non abbiano lavorato, né frequentato corsi di formazione per almeno due anni, anche se aventi un età compresa tra i 18 ed i 29 anni.



[15] A tal proposito, si osserva come, con l’appena citato D.Lgs. di correzione, al D. Lgs. n. 276/2003 è stato aggiunto l’art. 59 bis “disciplina transitoria dei contratti di formazione lavoro”, in cui è stato confermato che i cfl stipulati dal 24.10.2003 sino al 31.7.2004, sulla base dei progetti autorizzati alla data del 23.10.2003, devono considerarsi validi ed efficaci.



[16] Si vede, a tal proposito, il commento di Bonfanti (Riforma Biagi: i contratti di inserimento nel Gruppo Torinese Trasporti Spa, in Contratti e contrattazione collettiva, n.6/7, 2004, pag. 98-100.



[17] Ad onor del varo, tuttavia, tale conclusione non può essere assunta come pacifica: vari, infatti, sono stati gli interventi che hanno sostenuto che il contratto di inserimento debba comunque essere inquadrato tra i contratti a causa mista, dal momento che il progetto individuale rientra appieno nel contenuto del contratto stesso, connota “la portata degli obblighi facenti capo al datore di lavoro” e, soprattutto, ne arricchirebbe l’elemento causale ben oltre quanto previsto con riferimento all’archetipo contrattuale disciplinato all’art. 2094 c.c. (Vincieri M., Il contratto di inserimento ovvero il nuovo “cfl”? Modelli a confronto, in Diritto delle relazioni industriali, 2004, 1, pag. 66 e).

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