“Dobbiamo importare a Milano gli esempi positivi di lotta alla mafia messi in atto in Sicilia, soprattutto Addio Pizzo. Le esperienze di Palermo hanno dimostrato che l’unica soluzione per fermare i boss è il coinvolgimento della società civile e di tutte le sue categorie”. Così l’avvocato Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, ucciso nel ’79, interviene alla prima sessione di Fondata sul Lavoro, invitando a non demonizzare il sud, ma a prenderlo a modello per la guerra alle infiltrazioni mafiose anche al nord.
“Ormai è risaputo – ha detto – che sono proprio i colletti bianchi, i professionisti, che favoriscono l’arrivo al nord di capitali sporchi. Noi ci scandalizziamo davanti alla mafia del meridione, alle bombe, alle minacce, ma molto di meno di fronte a quella settentrionale, perché si comporta come noi, fa impresa, sostiene le aziende e spesso con servizi migliori”.
Aiutare i giudici, non lasciare che la lotta alle infiltrazioni mafiose rimanga confinata nelle aule delle istituzioni. Lo ha chiesto anche Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano: “Basta eroi, un Paese democratico non deve più averne bisogno, troppo spesso i miei colleghi si lamentano di sentirsi soli”. Pomodoro ha puntato il dito contro la farraginosità della legge italiana: “Scoprire i colletti bianchi che stanno dietro questi giri è difficile. Le sovrastrutture rendono difficile capire le responsabilità individuali, servono una semplificazione delle normative, maggiore severità dove c’è bisogno e leggi anticorruzione”.
Gli studi parlano di un fatturato per la criminalità organizzata di 140 miliardi di euro all’anno, con utili da 100 miliardi. “La lotta alla malavita nel mercato imprenditoriale è utile a tutti, perché questa concorrenza sleale toglie convenienza all’innovazione”, ha confermato il presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini. Le organizzazioni tendono a muoversi in settori legati al territorio, a bassa tecnologia e con aziende piccole. “Creano cartelli che vincono appalti e danno un guadagno notevole agli imprenditori”, ha sottolineato il professore Federico Varese, docente di criminologia ad Oxford.
Il tema dei cartelli e soprattutto dei subappalti, che tutte le indagini dimostrano essere il vero mare oscuro dove la mafia allunga i propri tentacoli senza farsi notare, è quanto mai d’attualità quando si parla di Expo 2015. “I rischi di infiltrazioni sono alti, non c’è dubbio, ma bisogna dare fiducia a chi gestisce questi eventi”, ha ribadito l’amministratore delegato di Expo, Giuseppe Sala. “Abbiamo dieci livelli di controllo, accordi con la prefettura, un sistema informatico per rendere ogni passaggio quanto più trasparente. Però bisogna supportare gli amministratori e anche dare loro poteri straordinari, serve un commissario non per andare in deroga alle regole, ma per accorciare i tempi, o queste opere non si faranno”.
“Senza una procura nazionale per la sicurezza sul lavoro, questo paese continuerà a essere diviso tra procure che fanno i processi sulle morti bianche con tanta lentezza da finire prescritti in cassazione, procure che non li fanno e procure che non ce la fanno a farli perché troppo piccole o troppo disorganizzate”. È un’Italia disunita quella che dipinge il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, durante il suo intervento. Un paese diviso quando si parla di processi sugli infortuni occupazionali, diviso tra i tanti organi di vigilanza che si muovono “come repubbliche a sé, senza parlarsi, ma anche tra diverse autorità giudiziarie più o meno sensibili al problema. A Reggio Calabria il procuratore capo mi annunciò che negli ultimi dieci anni erano state aperte solo ventuno indagini per incidenti sul lavoro. Mi disse che i medici avevano paura di denunciare e che queste questioni le risolveva l’“uomo d’onore” di turno”.
Guariniello ha citato vari esempi di colleghi che hanno alzato le mani davanti al problema: “In una piccola cittadina mi dissero che erano solo due e che erano talmente oberati che riuscivano a occuparsi a mala pena delle rapine di dieci anni prima”. Ma il procuratore, conosciuto in tutta Europa per la sua lotta per la sicurezza sul lavoro e per l’inchiesta Eternit, parla anche delle istituzioni: “Le regioni dovrebbero coordinare i vari organi: Asl, Inail, ispettorato del lavoro e altri. Invece non l’hanno mai fatto”. Ce l’ha anche con i controlli annunciati: “Durante le indagini ci siamo più volte imbattuti in esperti che segnalavano il loro arrivo alle aziende, una “curiosa” usanza”.
L’unica soluzione, quindi, è l’organizzazione. “A Torino abbiamo creato un osservatorio sulle malattie professionali, perché molti casi se non li cerchiamo si perdono, nessuno li denuncia. Noi ci siamo organizzati, vorremmo che ci si organizzasse anche a livello nazionale per non sprecare quanto di buono c’è nella legge e in giro per il Paese”.