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Home - Approfondimenti - Analisi - Il Focus Inapp sui canali di ingresso nel mercato del lavoro

Il Focus Inapp sui canali di ingresso nel mercato del lavoro

di Giuliano Cazzola
30 Giugno 2022
in Analisi
Istat, a settembre produzione cresce dello 0,2%

L’INAPP ha pubblicato – col contributo di diversi autori – un focus sui canali di ingresso nel mercato del lavoro. Si tratta di un’indagine interessante ed importante perché si inserisce – arrecando un contributo di conoscenza – in un dibattito aperto a tanti spunti e iniziative: il potenziamento dei Centri per l’impiego (Cpi) con un piano che prevede circa 11 mila assunzioni; le indicazioni e i relativi stanziamenti  previsti nel PNRR per le politiche attive a sostegno dell’occupabilità; i programmi di formazione e di  potenziamento degli ITIS; una promozione di concorsi per l’accesso nella PA centrale e periferica (è opportuno approfondire questo aspetto anche nell’ambito di una  crescente “cannibalizzazione” del lavoro autonomo da parte delle strutture pubbliche; e, infine, l’evergreen reddito di cittadinanza (RdC) che non ha rinunciato al coté delle politiche attive e alla proroga dei contratti ai navigator (i soli incolpevoli del fallimento dell’istituto come promotore di occasioni di lavoro).

La rappresentazione che scaturisce dal focus dimostra che tutto questo fervore di iniziative sarà chiamato a superare una situazione di grandi difficoltà se si intende condurre i canali di ingresso al lavoro al di fuori della logica del “fai da te” che fino ad ora ha prevalso, non per scelta, ma per necessità. In sostanze chi cerca lavoro è tuttora costretto ad andare alla ricerca delle scorciatoie delle relazioni amicali e famigliari e delle c.d. raccomandazioni a cui si è aggiunta negli ultimi anni l’autopromozione attraverso la rete delle nuove tecnologie, considerando la persistenza dei lavori in corso in quelle che dovrebbero essere i nuovi collegamenti tra scuola e lavoro e quant’altro sarebbe necessario. Emerge dal focus come la caratteristica del mercato del lavoro italiano sia l’ampio e diffuso ricorso ai canali informali per trovare lavoro. Il fenomeno è strutturale ed è aumentato tra prima e dopo il 2011. In dettaglio il canale che in questo lasso di tempo è cresciuto maggiormente è l’autocandidatura, passato dal 13% al 18%, probabilmente anche in relazione al ruolo crescente dei social media.

L’informalità si alimenta in maniera eterogenea: da un lato, le assunzioni su base amicale o familiare (che arrivano al 23% dopo il 2011) e, dall’altro, la ricerca di personale attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo (9% dopo il 2011). Tra i canali formali, invece, si registra la significativa riduzione (ora in via di superamento) del ruolo dei concorsi pubblici (10% per chi ha trovato lavoro dopo il 2011 e sette punti percentuali in meno), effetto della riduzione del perimetro del settore pubblico e del blocco del turn-over nella PA, mentre l’intermediazione del servizio pubblico (Centri per l’impiego) è rimasta su livelli costanti, in coerenza col ruolo loro assegnato dalla legislazione di player nel mercato, piuttosto che di attore con un ruolo di “collocatore diretto”.

Infine, si registra un crescente (ma comunque sempre inferiore rispetto ai principali canali informali) ricorso alle agenzie private e ai Job Center delle istituzioni scolastiche e formative, andamento dovuto anche alla loro più recente istituzione, che risale al finire degli anni ’90 con il cd. Pacchetto Treu, ma che solo dalla Riforma Biagi del 2003 è stato compiutamente regolato. Sebbene solo il 2% degli occupati dichiari di avere trovato lavoro tramite App o Social Network, tuttavia l’intermediazione digitale, se non adeguatamente regolata, rischia di alimentare ulteriormente l’informalità. A questo proposito, si tenga presente che tra le persone che hanno trovato un lavoro negli ultimi dieci anni si è verificata una ampia e generalizzata digitalizzazione degli strumenti di ricerca. Infatti, si è passati dal 25% degli occupati che nel 2000 dichiaravano di aver fatto ricorso a Internet (intendendo in generale l’utilizzo di e-mail, social, siti ecc.) durante la fase di ricerca di lavoro, al 50% del 2010, fino al 75% del 2021 (che sale a oltre l’80% per chi ha un diploma o la laurea e si ferma invece al 50% per chi ha al massimo le medie inferiori).

Questo fenomeno va tenuto presente quando si disegna la ‘burocrazia del lavoro’: deve essere sempre più smaterializzata la documentazione e devono essere informatizzati i servizi, ovvero, come suggeriscono le istituzioni internazionali (OIL e Europa), è necessario promuovere una ‘strategia digitale’ delle istituzioni del mercato del lavoro (un obiettivo questo che aveva indotto il governo Conte 1 ad attraversare l’Atlantico per acquistare in Mississippi una piattaforma, in grado di incrociare domanda e offerta di lavoro lungo tutta la penisola, la quale però – sarà un caso? – non è mai arrivata in Italia.

Secondo il focus l’istruzione degli occupati tramite canali formali è molto superiore rispetto a quella dei canali informali (38% vs. 26%); si tratta di una spia del ‘danno’ che l’informale determina sul ritorno economico dell’istruzione, della formazione e, in generale, del merito. L’intermediazione di amici parenti e conoscenti è appannaggio soprattutto di persone con livelli medio bassi di istruzione, mentre i concorsi sono utilizzati da chi ha maggior dotazione di capitale umano. L’utilizzo dei canali informali sembra dunque essere in contrasto anche con l’obiettivo di sostegno della domanda di lavoro qualificata (che da noi risulta particolarmente modesta rispetto agli altri Paesi europei), vero volano di sviluppo sociale ed economico, in particolar modo in una fase di transizione tecnologica.

Il canale “amici parenti e conoscenti” è il prevalente (intermedia il 23% degli 8,6 milioni di lavoratori che hanno trovato lavoro tra il 2011 e il 2022) e conduce a impieghi subordinati a tempo indeterminato nel 55% dei casi mentre l’incidenza del lavoro non standard è al 32%. I contatti nell’ambiente lavorativo e professionale’ offrono più contratti subordinati a tempo indeterminato (64%) con una incidenza del lavoro non standard quasi dimezzata (16%). Tra coloro che sono in cerca di un’occupazione, ricorrono ai servizi pubblici e privati per l’impiego soprattutto le persone più mature e con istruzione più bassa. Guardando le strategie di ricerca rispetto al livello di istruzione, i dati mostrano che il ricorso all’informalità è inversamente proporzionale al livello di educazione formale: la quota del canale Amici, parenti e conoscenti va dal 27% tra le persone che hanno un titolo medio inferiore, al 13% tra quelle con un titolo postlaurea. Infine, il genere non sembra pesare nelle scelte tra i diversi canali (si segnala solo una leggera propensione nel ricorso ai concorsi per le donne).

L’indagine Inapp-Plus consente, infine, di avere informazioni anche circa le caratteristiche delle offerte di lavoro ricevute dalle persone in cerca di lavoro al momento dell’intervista (marzo-luglio 2021): una quota pari all’11% ha ricevuto una offerta di lavoro e circa 4 individui su 10 pensano di accettare la proposta ricevuta. Un tema assai dibattuto3 è quello relativo al rifiuto delle proposte di lavoro. Rispetto ai rifiuti emerge come siano motivati per circa il 40% dei casi da proposte contrattuali inadeguate, per il 15% da retribuzioni troppo basse, per il 19% da orario di lavoro ritenuto eccedente rispetto alle disponibilità, nel 12% dei casi poiché era necessario trasferirsi e, infine, nel 12% i perché l’offerta riguardava impieghi in nero o irregolari. Tra le tante criticità del mondo del lavoro, la transizione scuola-lavoro si evidenzia come una tra le più gravi. I giovani segnalano le seguenti difficoltà (sempre risposte multiple): non esistono servizi di inserimento adeguati (42%), le offerte sono scadenti (52%), inadeguatezza per il lavoro (33%), sotto-inquadramento o mansioni modeste (37%).

Per concludere, vediamo alcuni motivi di rifiuto (risposte multiple): le occupazioni disponibili richiedono una formazione inferiore a quella che si possiede (23%) o, viceversa, richiedono una formazione superiore (55%), è necessario trasferirsi (50%), mancanza d’esperienza (50%), è stato penalizzato dall’età (57%), è stato penalizzato dal genere (27%), offerte economiche non soddisfacenti (53%), offerte contrattuali non soddisfacenti (56%), mancanza di offerte di lavoro con orario flessibile o part time (44%), servizi di informazione carenti (40%) e, infine, caratteristiche culturali, tratti somatici particolari, usanze e abbigliamento non tradizionale. Le evidenze Inapp confermano l’eccessivo peso della informalità nella ricerca di lavoro, un tratto strutturale del nostro mercato del lavoro che non accenna a ridursi, anzi. Le implicazioni che derivano dall’eccesso di informalità nel mercato del lavoro sono molteplici.

Proviamo di seguito a sintetizzarne i tratti principali in termini di impatti e conseguenze.

  1. Riduce la dimensione del mercato del lavoro palese, pari complessivamente a soli 8,5 milioni di vacancies (3,7 milioni tra il 2011-2021) limitando la contendibilità delle opportunità;
  2. Impoverisce il capitale sociale (relazioni opache generano favoritismo, depressione, fenomeni di selezione avversa), ovvero si crea sfiducia nel sistema, ci si sente esclusi, si percepiscono impari opportunità;
  3. Inibisce la capacità di selezione del mercato (10 milioni di impieghi sono stati sottratti al mercato, 4,7 milioni negli ultimi 10 anni), ovvero ‘svilisce il merito’ (le conoscenze e la fedeltà valgono più dell’istruzione e della professionalità) producendo collocazioni inefficienti (le posizioni migliori non sono occupate dalle risorse umane migliori) che comportano nel lungo periodo perdite di produttività, sicché il sistema economico perde di qualità ed efficienza;
  4. Contribuisce alla cd. fuga dei cervelli, ovvero le persone con maggior investimento in istruzione, non trovando una collocazione soddisfacente, la cercano altrove, ciò impoverisce il paese e delle famiglie;
  5. Alimenta la crescita del lavoro povero (working poor) dovuta alle relazioni informali (favori, triangolazioni opache, clima ricattatorio), che rendono difficile poter far valere i propri diritti e tutele e rivendicare buone retribuzioni;
  6. Contribuisce alla (im)mobilità sociale (i figli ereditano le occupazioni/attività dei loro genitori), dunque frena l’ascensore sociale e alimenta l’ingiustizia sociale. L’opzione irregolare e illegale rimane il ‘convitato di pietra’ di tutte le politiche socioeconomiche realizzate.

Secondo il Focus INAPP, l’opzione irregolare e illegale rimane il ‘convitato di pietra’ di tutte le politiche socioeconomiche realizzate.

Giuliano Cazzola

Giuliano Cazzola

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