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Home - Primo Piano - Il Fondo nuove competenze deve sostenere le lavoratrici

Il Fondo nuove competenze deve sostenere le lavoratrici

di Alessandra Servidori
23 Gennaio 2023
in Analisi
Unioncamere, imprenditrice under 35, quasi una su tre è donna

La politica del lavoro virtualmente può contare su una massa di risorse straordinarie e la Ministra Calderone ha ben presente che la formazione, sia di base che di nuove o rinnovate competenze dei lavoratori,   è in cima alle urgenze da affrontare. E’ ben chiara nel  Piano Nuove Competenze – PNC- quella costola del Pnrr che ne deve definire  il quadro strategico e il PNC  si occupa ora di disoccupati, giovani, occupati destinatari di specifici percorsi che comprendono anche il programma  GOL garanzia di occupabilità dei lavoratori con particolare attenzione ai giovani tra i 15 e 25 anni che sono destinatari di progetti incardinati su sistemi duali. Il Fondo nuove competenze – FNC – già attivo dal 2020 è implementato dallo scorso settembre 2022 da una nuova norma  che ha rimpolpato le risorse del Fondo (un miliardo) e ne ha modificato la disciplina.

Si sa che il FNC si affianca ai fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua previste da intese sindacali per rimodulare soprattutto l’orario di lavoro che in parte viene utilizzato appunto per percorsi formativi per aggiornamento delle figure professionali. Ed è qui che possiamo augurarci che vi sia da parte sia delle imprese che dei sindacati l’attenzione a dedicare la contrattazione collettiva, dunque gli accordi, soprattutto  per le lavoratrici che sappiamo, sono sempre strozzate in ambito conciliazione vita lavoro e spesso non riescono a dedicare tempo alla loro formazione, così come ai lavoratori e alle lavoratrici che sono in cassa integrazione e che possono così dedicare attenzione alle offerte formative per innalzare le loro competenze.

Il Fondo infatti sostiene la realizzazione delle attività formative mediante rimborso al datore di lavoro del costo  dei contributi previdenziali e assistenziali per la parte dell’orario di lavoro dedicato alla formazione dei dipendenti. Per i docenti le aule e il materiale professionale didattico si possono usare le risorse dei fondi interprofessionali. Con la recente modifica si promuove il connubio delle attività formative con riduzione di orario di lavoro perché il contributo è del 100%  della  retribuzione per le ore destinate alla formazione nel caso appunto che gli accordi sindacali prevedano oltre alla rimodulazione dell’orario per percorsi formativi anche una riduzione dell’orario normale cioè 40 ore settimanali dell’art 3 d.lgs 66/2003 a parità di retribuzione complessiva. E’ Inps che eroga ai datori di lavoro il finanziamento concesso su segnalazione di Anpal servizi.

Dal 13 dicembre 2022 al 28 febbraio 2023 vi è la possibilità di presentare domande di progetti formativi su apposita piattaforma informatica “My ANPAL”. Il decreto interministeriale che ha novellato tale iniziativa del 22 settembre 2022 circoscrive il sostegno del Fondo ad attività formative per l’acquisizione di determinate competenze professionali  digitali e sostenibilità ambientale allineandosi con le priorità del PNRR e di Nex Generetion Eu. La formazione può avere una durata da 40 ore ad un massimo di 200 ore per ogni lavoratore /lavoratrice coinvolta che può acquisire una qualifica o singole competenze incluse nel repertorio delle qualifiche nazionali e rilascio di attestazione finale. La formazione deve essere erogata da soggetti qualificati e l’impresa che presenta istanza di accesso al Fondo non può essere soggetto erogatore della formazione e l’attività di controllo è  in carico ad Anpal.

Dunque con il Fondo Nuove Competenze si devono sostenere i percorsi di uscita e rientro nel mercato del lavoro per le donne che sono tutt’altro che infrequenti, spesso a causa della maternità, ma anche per variazioni negli assetti famigliari o per la necessità di prendersi cura di persone care. Uno dei problemi al momento del rientro dopo una lunga pausa è il deterioramento delle competenze. Per recuperare il gap maturato durante la lontananza dal mercato è fondamentale costruire percorsi formativi per consolidare le competenze in certi campi o per costruirne di nuove. I percorsi formativi rivolti alle job returner possono rappresentare dei significativi benefici per la partecipazione, sia in termini di occupazione che di qualità del lavoro. I benefici  possono crescere  all’aumentare della durata dei corsi e sono più evidenti per le donne in partenza meno qualificate. Ci sono buoni e ottimi motivi per destinare il Fondo Nuove Competenze alle italiane.

La situazione femminile non migliora. Malgrado la crescita, restano immutati i gap di genere nel mercato del lavoro e le criticità strutturali che determinano la bassa partecipazione femminile: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici. Tali asimmetrie si colgono ora anche nelle piattaforme digitali che intervengono nel mercato del lavoro, con il rischio di una nuova discriminazione 2.0.

Pur avendo toccato quota 60,5% lo scorso ottobre, il valore più alto dal 1977, i tassi di occupazione di uomini e donne continuano a restare distanti (rispettivamente 69,5% e 51,4%) con un gap di genere del 18%. Il tasso di disoccupazione femminile è al 9,2% contro il 6,8% degli uomini, divario che aumenta per i giovani fra i 15 e i 24 anni con tassi del 32,8% per le ragazze e il 27,7% per i ragazzi. Anche la sfera della non partecipazione vede ancora penalizzate le donne con un tasso di inattività del 43,3 % contro il 25,3% degli uomini. È quanto emerge dal Gender Policies Report 2022, la pubblicazione dell’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) che ogni anno fotografa le differenze di genere nel mondo del lavoro. I dati relativi al primo semestre del 2022 confermano la specificità femminile del part time come forma di ingresso al lavoro. Su tutti i contratti attivati a donne il 49% è a tempo parziale contro il 26,2% maschile. In particolare, è a part time oltre la metà (51,3%) dei contratti a tempo indeterminato delle donne.

Mentre tipicamente femminile è la condizione di “debolezza rafforzata” ossia la presenza di due fattori di criticità associati: la forma contrattuale precaria e il tempo parziale. Se consideriamo solo il lavoro a tempo determinato, che occupa il 38% dei contratti delle donne e il 43% di quelli degli uomini, si nota che della prima quota il 64% è part time e della seconda lo è il 32%.  Nel 2021 l’incidenza di donne occupate che lavorano in part time è superiore rispetto agli uomini di circa 15 punti percentuali in Europa e di più di 22 punti in Italia. Il Gender Report, inoltre, coglie e fornisce esempi concreti di un nuovo fenomeno. Una nuova forma di discriminazione, ovvero quella legata all’uso degli algoritmi da parte delle piattaforme digitali. Tali strumenti, infatti, risentono del sistema di significati, idee e giudizi e con essi di stereotipi e pregiudizi di chi li ha ideati e costruiti. Ne deriva che nel mercato del lavoro digitale si riproducono esattamente gli atteggiamenti discriminatori che si riscontrano nei lavori tradizionali.

Le menti che programmano gli algoritmi non sono diverse da quelle che, normalmente, scelgono chi assumere, promuovere, remunerare di più, licenziare e così via. La discriminazione algoritmica può dunque ugualmente agire e, in maniera implicita, produrre condotte discriminatorie di genere nel lavoro. Risulta inderogabile la necessità di approfondire il legame tra società digitale e discriminazioni, nelle sue evidenti connotazioni di genere. Si pensi, ad esempio, a come stereotipi e pregiudizi, che storicamente definiscono la percezione e la narrazione del femminile, possano essere tradotti in discriminazioni attraverso algoritmi deputati alla selezione del personale o alla definizione delle retribuzioni o a sistemi di valutazione delle performance.

Alessandra Servidori

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