Nella serata di ieri, 28 marzo, la premier britannica Theresa May ha apposto la sua firma alla lettera di notifica dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona, che dà il via ufficiale al procedimento per il distacco della Gran Bretagna dall’Ue.
La leader britannica presenterà oggi a Bruxelles il contenuto della missiva al suo gabinetto. L’ora ufficiale della Brexit sarà segnata dal primo colpo di cannone alle ore 13.30, quando la versione cartacea della missiva, con la firma originale, sarà personalmente consegnata dall’ambasciatore del Regno Unito presso l’Ue, Sir Tim Barrow, al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk.
Tusk ha promesso che la sua prima risposta dell’Ue si avrà entro 48 ore, con l’invio nelle capitali dei Ventisette della bozza delle linee guida dei negoziati con Londra.
La bozza delle linee guida dei negoziati della Ue con Londra saranno approvate all’unanimità dai Ventisette al vertice convocato da Tusk a Bruxelles il 29 aprile. Pochi giorni dopo, il 3 maggio, la Commissione approverà, sulla base delle linee guida, la sua proposta di mandato negoziale, che i ministri degli Affari europei dei Ventisette dovrebbero adottare, a maggioranza qualificata, entro al fine di maggio.
Il mandato sarà quindi affidato alla Commissione stessa, e in particolare al capo della squadra negoziale, il francese Michel Barnier, ex ministro ed ex commissario Ue.
I negoziati veri e propri cominceranno quindi in giugno. Dovrebbero durare al massimo due anni, secondo il Trattato, ma la bozza di accordo finale dovrebbe essere pronta già entro la fine del 2018, per permettere le ratifiche ai parlamenti del Regno Unito, dei Ventisette e al Parlamento europeo. Nel frattempo, il Regno Unito resterà membro dell’Ue, fino alla scadenza dei due anni se i negoziati e l’accordo finale non saranno conclusi prima.
C’è anche la possibilità che i negoziati siano più difficili del previsto, e che i Ventisette decidano, all’unanimità, di prorogare il termine di due anni (che cadrebbe il 28 marzo 2019).
Ma l’ipotesi più probabile è che le parti decidano di negoziare un accordo provvisorio, a partire dalla scadenza dei due anni, riguardante almeno i settori più problematici, con periodi temporanei e “phasing out” che potrebbero essere lunghi anche diversi anni, in cui comunque il Regno Unito non sarebbe più pienamente membro dell’Unione.
Theresa May ha ricordato che non ci sono da negoziare solo le questioni commerciali, l’accesso ai mercati o la libera circolazione delle persone, ma anche, ad esempio, gli accordi di cooperazione riguardo alla sicurezza e agli affari interni e di giustizia (come il mandato d’arresto europeo, o l’accesso a Europol).
Le posizioni negoziali iniziali sono abbastanza dure, con la prevalenza a Londra, per ora, della linea degli “hard brexiter”, che immaginano una uscita del Regno Unito non solo dall’Ue ma anche dal suo mercato unico (escludendo, quindi, accordi come quelli esistenti tra l’Ue e la Norvegia o l’Islanda). Gli europei, da parte loro, affermano di non voler accettare un accordo che mantenga la libera circolazione di merci, servizi e capitali, ma non delle persone.
Se nessuno recederà da queste posizioni, vi sarà il ritorno delle tariffe e delle dogane ai confini fra il Regno Unito e l’Ue, compresa la frontiera fra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord, oltre che la fine della libera circolazione delle persone.
Bruxelles, inoltre, ha fatto circolare la cifra di 60 miliardi di euro che Londra dovrebbe pagare per onorare tutti i contratti sottoscritti da Stato membro dell’Ue, per finanziare il bilancio comunitario (la programmazione in corso copre i sette anni dal 2014 al 2020), compresi i programmi di coesione e le spese amministrative (anche, ad esempio, per le pensioni dei funzionari europei di nazionalità britannica). Si tratta di una cifra su cui, con tutta probabilità, si negozierà a lungo.



























