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Il Diario del Lavoro

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Home - Approfondimenti - Analisi - Il lavoro a progetto

Il lavoro a progetto

20 Ottobre 2004
in Analisi

di Manuel Marocco – ricercatore ISFOL

Il lavoro a progetto.

di Manuel Marocco – ricercatore ISFOL*


 


1. Introduzione


Il cosiddetto lavoro a progetto, in tutti i documenti relativi alla riforma del mercato del lavoro, sin dal Libro Bianco, è stato presentato come strumento caratterizzato da una ratio antielusiva ed, in ultima analisi, di strumento diretto all’innalzamento delle tutele del lavoratore, in quanto finalizzato ad impedire pratiche, appunto, elusive della disciplina di tutela del lavoro subordinato, realizzate attraverso l’uso distorto delle collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409, n. 3 c.p.c. (cd. co.co.co.). Tale obiettivo nel d.lgs. 276/2003 (d’ora in poi Decreto), di attuazione della legge delega in materia di mercato del lavoro (l. n. 30/2003) si è sostanziato, in particolare, nel restringimento dell’area di intervento delle collaborazioni, realizzato mediante una serie di “robuste barriere di tipo definitorio e sanzionatorio” (Tiraboschi 2004 a)


Il risultato auspicato sarebbe, pertanto, quello della diminuzione del numero delle co.co.co. – perlomeno di quelle “fittizie” – e la corrispettiva crescita del lavoro subordinato. Proprio l’agevolazione di tale transito giustifica il cd. sventagliamento delle tipologie contrattuali riconducibili al lavoro dipendente, diverse da quello a tempo pieno e per una durata indeterminata, disposto nell’ambito della stessa riforma del mercato del lavoro (Tiraboschi 2003). Insomma l’obiettivo palesato appariva quello di realizzare un “riequilibrio osmotico tra i due macro-sistemi del lavoro subordinato e del lavoro autonomo” (Perulli 2004).


Al fine di raggiungere tale “riequilibrio” si predilige, a differenza di altre ipotesi in materia avanzate dalla dottrina, l’intervento sulla fattispecie legale identificativa, piuttosto che quello diretto ad implementare le tutele (Miscione 2003), ovvero a ridurre la asimmetria dei costi, in particolare contributivi, tra lavoro subordinato ed autonomo (Sasntoro Passarelli 2003; Treu 2004)[i]. Semplificando, mentre in tali ultime ipotesi si agisce sul regime di convenienze degli attori economici, al fine di ridurre il vantaggio competitivo delle co.co.co. rispetto al lavoro dipendente e quindi produrre “naturalmente” detto transito, il “riequilibrio” auspicato dalla riforma pare essere imposto – seppur in maniera cadenzata nel tempo e con l’ausilio delle parti sociali (vedi infra) – vincolisticamente, al fine di produrre lo svuotamento del bacino delle collaborazioni e il corrispondente aumento delle cd. forme atipiche di lavoro subordinato, appositamente ri-regolate ovvero introdotte ex novo.


Sebbene la novità della materia imponga prudenza, alcune prime indicazioni circa l’effettiva rispondenza dell’intervento riformatore al conseguimento dei su menzionati obiettivi possono essere tratte dall’analisi dell’andamento delle co.co.co., così come desumibile dai dati della Gestione separata INPS (cd. quarta gestione). Resta che, così come testimoniato dalla recente approvazione di un corposo decreto contenente integrazioni e correzioni al d.lgs. 276/03 (il d.lgs. 251/04) – il quale, peraltro, ha solo parzialmente toccato l’istituto di nostro interesse – la complessiva riforma del mercato del lavoro non sembra aver raggiunto un sufficiente grado di stabilità, il che rende ancor più arduo il compito di valutarne l’impatto. Senza contare che l’istituto, nella sua attuale conformazione, è a carattere sperimentale, per espressa disposizione normativa (art. 86, 12° co.).


 


2. Campo di applicazione e disciplina transitoria


Per tentare di studiare l’impatto della riforma vale la pena considerare, in primo luogo, il campo di applicazione della nuova disciplina, la quale prevede un variegato regime di esclusioni.


Sono così esonerate “le prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro” (art. 61, 2° co). Espressamente la circolare del Ministero del Lavoro n. 1/2004 ha, difatti, precisato in proposito che: “Si tratta di collaborazioni coordinate e continuative per le quali, data la loro limitata “portata”, si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto e, dunque, di sottrarle dall’ambito di applicazione della nuova disciplina”. 


Pertanto, i rapporti così oggettivamente configurati non sono sottoposti alla nuova disciplina civilistica, aldilà della loro natura, siano cioè essi “coordinati” con l’attività del committente ovvero vere e proprie prestazioni di natura autonoma ex art. 2222 Codice Civile.


A ciò si aggiunga che le “prestazioni occasionali” di questo ultimo tipo – quelle autonome, cioè – sono state prese in considerazione anche dal Legislatore previdenziale (l. n. 326/2003).


Si è, difatti, intervenuto direttamente sull’assetto della gestione separata INPS, introducendo una nuova categoria di soggetti obbligati – gli “esercenti attività di lavoro autonomo occasionale” – prima non sottoposti al contributo, purché detta attività generi un reddito annuale superiore ai 5.000 €.  


Sebbene i limiti di cui al Decreto ed alla l. n. 326 citata, abbiano hanno una diversa funzione – il primo vale ai fini della definizione del campo di applicazione della disciplina civilistica in materia di “lavoro a progetto”, il secondo regola invece l’ambito soggettivo di riferimento di un nuovo obbligo previdenziale – di fatto l’omogeneità del limite reddituale potrebbe disincentivare gli attori economici al suo superamento. Insomma potrebbe rilevarsi particolarmente appetibile la prestazione occasionale autonoma sotto soglia, in quanto la stessa garantisce l’esenzione dai nuovi obblighi sia civilistici, che previdenziali.  


A conferma di tali ipotesi, si potrebbe ricordare come al ’99 nell’ambito dell’universo dei collaboratori contribuenti alla gestione separata INPS, il 45% di essi risultavano ben[ii] al di sotto della più volte menzionata soglia di reddito[iii].     


Il Decreto inoltre limita il campo di applicazione della nuova disciplina, individuando una serie di categorie soggettive (relative cioè particolari committenti e prestatori) per le quali potranno continuare ad essere utilizzate, per così dire, le collaborazioni “senza progetto”, anche a tempo indeterminato.


Alcune delle tipologie escluse fanno riferimento a soggetti che, per le caratteristiche delle mansioni (“componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni”, “professioni intellettuali”), ovvero per la supposta condizione nel mercato del lavoro (percettore di pensione di vecchiaia), non dovrebbero destare particolare preoccupazione sul piano sociale in termini di elusione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Si tratterebbe, infatti, di soggetti forti (i primi), ovvero che rientrano dall’inattività, facendo valere il know how accumulato durante l’arco della vita lavorativa (i secondi).


Con riguardo, invece, a coloro che prestano la loro attività “a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I”, sembra prevalere il “fine istituzionale” e il carattere “dilettantistico” dell’ente committente rispetto alla ratio antielusiva.


Un’altra rilevante deroga – che diversamente da quelle sopra considerate, ha carattere generale, riguardando, salvo talune espresse eccezioni, tutti i nuovi istituti disciplinati dal Decreto – è costituita dall’esclusione relativa alle pubbliche amministrazioni. Proprio presso i soggetti che spesso ricorrono a pratiche elusive, a causa del cd. blocco del turn-over, la nuova disciplina antifraudolenta, almeno fino ad un intervento di armonizzazione, pur previsto dal Decreto (art. 86, 8° co.), non si applica[iv].


In prima approssimazione si può affermare che, avendo riguardo al regime delle esclusioni sopra sommariamente descritto e sulla base di una prima stima relativa ai contribuenti iscritti alla Gestione separata INPS nell’anno 1999, la riforma finirebbe per essere applicata solo al 41% degli stessi iscritti. Infatti, la categoria dei “componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni” pesa in maniera consistente sull’universo, rappresentando, nel ’99, il 39,3% del totale dei contribuenti.


Sotto un altro profilo, sempre ai fini dello studio dell’impatto della riforma, almeno sulla sua tempistica, va considerato quanto previsto dalla disciplina transitoria (art. 86, 1° co). In linea generale, è stabilito che le vecchie collaborazioni coordinate e continuative  “mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento” (ottobre 2004).


Tuttavia, sono ammessi “termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente”, termini però che dovranno “essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime (…) stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale”. Di fatto, risulta così affidata alla negoziazione collettiva di livello aziendale la stipulazione di “accordi sindacali di transizione” al fine di consentire un approdo più soffice al nuovo regime.


Peraltro, solo nei primi accordi, in particolare nel settore dei call-center, le parti sociali hanno provveduto a prorogare la vigenza dei contratti in essere, anche in maniera consistente. Così, in data 2 marzo 2004, è stato siglato l’accordo tra Assocallcenter (associazione nazionale dei call center), Filcams-Cgil e Nidil-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil nel quale si è stabilito, tra l’altro, di prorogare i contratti di collaborazione in essere sino al 31 ottobre 2005. A livello aziendale, l’ipotesi di accordo tra Telecom Italia Spa, Atesia, Telecontact Center e Cgil, Cisl, Uil, siglato in data 24 maggio 2004, ha disposto un più breve periodo di proroga, fissato alla fine del dicembre 2004.


Proprio per evitare comunque il rischio di proroghe ad libitum, il d.lgs. 251/04 già citato, stabilisce ora che le parti sociali non potranno procrastinare l’ultrattività della disciplina previgente oltre l’ottobre del 2005.  


Inoltre, va segnalato che nell’ambito dei successivi accordi stipulati nel settore delle società di corse per cavalli (26 luglio 2004) e degli istituti di ricerca di mercato (29 settembre 2004)[v], entrambi di livello nazionale e non aziendale come invece pretende il Decreto, piuttosto che disporre il “transito” verso il lavoro subordinato – al contrario della rilevante e corposa eccezione rappresentata dal già citato accordo Telecom-Atesia – le parti sociali hanno preferito, senza apparente soluzione di continuità, consentire la trasformazione delle vecchie collaborazioni nel nuovo istituto, tramite la sua immediata regolazione.


Sebbene l’esiguità numerica delle intese sino ad ora raggiunte non consenta, certo, di trarre indicazioni dall’esperienza applicativa, si potrebbe affermare che il regime di convenienze consolidato presso gli attori economici non sia ancora stato sufficientemente scalfito in alcuni settori produttivi, tanto da consentire l’auspicato incremento del lavoro subordinato. Resta tuttavia che l’introduzione del lavoro a progetto ha costituito per le parti sociali l’occasione per disciplinare, anche in senso migliorativo, la condizione dei lavoratori assunti con la nuova tipologia contrattuale.  


 


3 La nozione di lavoro a progetto


Poiché, come anticipato, l’intervento del legislatore del 2003 è stato “dalla parte della fattispecie”, diviene rilevante tentare di ricostruire, appunto, gli elementi della nuova fattispecie negoziale. D’altra parte, è proprio su tale indagine che la dottrina si è concentrata.


Va detto, in primo luogo, che la maggior parte degli autori (Miscione 2003; De Luca Tamajo 2003; Santoro Passerelli 2003; Pinto 2003; Magnani M., Spataro 2004; Pizzoferrato 2004 a; Contra Tiraboschi 2004 a; Perulli 2004), seppur con esiti diversi dal punto di vista del rilievo sistematico riconosciuto, concorda nel rilevare che il Decreto ha dato ingresso nell’ordinamento ad una nuova figura contrattuale tipica, provvedendo altresì a fissare i requisiti della fattispecie.


Piuttosto divisa appare, al contrario, la dottrina nella individuazione degli elementi costitutivi della nuova fattispecie, in ultima analisi, taluni riconoscendo rilievo causale all’elemento della “riconducibilità” a “uno o più progetti, programmi di lavoro o fasi di esso”, in funzione, per così dire, di “chiusura” della categoria aperta delle vecchie co.co.co. (fattispecie esclusiva), ovvero chi nega tale valore alla detta “riconducibilità”, la quale avrebbe invece mero rilievo esterno circa le modalità di esecuzione dell’obbligazione lavorativa, di fatto, senza alcuna funzione restrittiva (fattispecie inclusiva).


In effetti, una interpretazione letterale del testo legislativo, tenderebbe ad accreditare la tesi che il “progetto” sia “requisito essenziale” del nuovo contratto (art. 1325, n. 3, c.c.), ed in particolare che esso ne costituisca l’oggetto, come peraltro è espressamente affermato all’art. 67, 1° comma, connotando pertanto la causa del contratto (Santoro Passerelli 2003).


Diventa pertanto dirimente, alla luce di tale lettura, comprendere il significato[vi] delle espressioni (“progetto” o “programma”) utilizzate dal Legislatore. Parte della dottrina, rigorosamente attenendosi al loro significato letterale, ritiene così che le stesse facciano riferimento a lavorazioni particolarmente qualificate, in quanto comportanti una “ideazione” da parte del collaboratore(Miscione 2003), o comunque caratterizzate dalla “eccezionalità”, rispetto all’ordinario ciclo produttivo dell’impresa committente, tanto che “la prestazione diretta a realizzarlo (il progetto) non dovrebbe rientrare tra quelle normalmente svolte dai dipendenti del committente” (Santoro Passarelli 2003).


Particolare rilievo in tale ricostruzione riveste anche la seconda parte dell’art. 61, 1° co., ove viene posto l’accento sulla gestione in autonomia del “progetto” o “programma”, “in funzione del risultato” e “indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa”. Tali indicazioni legislative valgono, infatti, a qualificare il lavoro a progetto quale obbligazione di risultato, sicché il “risultato evidenziato nel progetto connotando l’obbligazione del collaboratore a progetto può essere utilizzato come criterio di identificazione del nuovo tipo legale”(Santoro Passarelli 2003).


In conclusione, la nuova fattispecie avrebbe natura “esclusiva”, cosicché sarebbero al di fuori da detta area – per essere ricondotti al lavoro subordinato – quei rapporti che “per il carattere della continuità, non sono agevolmente collocabili nell’arco temporale e concettuale di un preciso «progetto» o «programma» (o fase di esso)”(De Luca Tamajo 2003). Sempre in senso limitativo, vi è chi sottolinea che: “le «nuove» collaborazioni coordinate e continuative dovranno distinguersi dalle precedenti (…) perché sono contrassegnate dall’adempimento da parte del collaboratore di un’obbligazione di risultato e non di mezzi” (Santoro Passarelli 2003).     


Altra parte della dottrina, come anticipato, non riconosce tale essenzialità, perlomeno a tutti e tre i termini considerati[vii]. In tale prospettiva, il progetto quindi non è un elemento costitutivo della fattispecie, ma un requisito formale, la cui assenza è peraltro drasticamente sanzionata, ovvero un “contenitore”, in cui sono predeterminate le modalità esecutive dell’obbligazione lavorativa.


Il Legislatore richiederebbe, infatti, alla parti del contratto di chiarire ex ante le modalità con le quali il risultato finale atteso dalla collaborazione deve essere realizzato, in maniera da impedire che possano sorgere “rapporti di collaborazione generici, indefiniti e a durata indeterminata”, in coerenza con la ratio antielusiva della riforma (Pizzoferrato 2004 a). In altre parole, il “progetto, il programma o la fase di esso” hanno lo scopo di “enucleare e delimitare lo spazio-tempo all’interno della quale la collaborazione si deve svolgere (…) sottraendola, in tal modo a quella fungibilità che caratterizza l’acquisizione e l’immissione della prestazione del lavoratore subordinato”(Maresca 2004); si evita così che “nella fase di esecuzione del rapporto il lavoratore sia sottoposto al potere, o alla pretesa, del committente di specificare o, addirittura, modificare, senza il suo consenso, tempi e modalità di realizzazione dell’opera e del servizio commessi”(Proia 2003).  Ne consegue, che le espressioni “progetto” o “programma” costituiscono una “endiadi”, nel mero senso di “griglia specificativa di un incarico e delle sue modalità realizzative”, senza che ad essa possa essere attribuito un particolare significato restrittivo, sicché un “progetto appare in astratto sempre configurabile, così come ogni attività di lavoro può essere resa indifferenziatamente in forma subordinata o autonoma” (Pizzoferrato 2004 a)[viii].


Coerente sviluppo di tale ricostruzione è la classificazione dell’obbligazione di lavorare a progetto tra le obbligazioni di “durata”(Proia 2003), richiamando a tale scopo le norme che attribuiscono rilievo a tale elemento[ix].


Semplificando, più che attraverso la restrizione della fattispecie, la ratio antielusiva dell’intervento di riforma – secondo tale corrente interpretativa –  si sarebbe prodotta su di un diverso piano. Precisando, per così dire, solo le istruzioni per un corretto uso del nuovo contratto.


Peraltro, altra dottrina pur muovendosi da premesse comuni con quella appena ricostruita, perviene ad altre conclusioni. Difatti, vi è chi (Pinto 2003), sottolineando allo stesso modo che il dato riconducibilità al progetto non pare connotare la struttura dell’obbligazione, dubita peraltro che “un dato estrinseco rispetto alle modalità di adempimento della obbligazione lavorativa” sia in grado di realizzare la ratio antielusiva dell’istituto, poiché tale elemento “nulla indica circa il carattere subordinato o autonomo del rapporto di lavoro”(Alleva 2003). Sicché ciò che diventerebbe, all’opposto, determinante è “l’apposizione del termine, che fa tutt’uno con il programma” (Magnani, Spataro 2003). Assumerebbe, pertanto, rilievo pregnante l’imposizione di una durata “determina o determinabile della prestazione di lavoro” [art. 62, 1° co, lett. a)], da cui si desume l’impossibilità di stipulare collaborazioni a progetto a tempo indeterminato.


Proprio su tale requisito legale del contratto si sono concentrati coloro che, all’indomani della riforma, hanno inteso sottolineare i possibili effetti di ingessamento del mercato del lavoro, privato così di una “valvola di sfogo”(Ischino 1996), a causa in particolare della rigida sanzione irrogata in caso di mancata indicazione “di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso”, che rinverdisce “la vecchia logica della forza attrattiva del lavoro subordinato” (Del Punta 2003).


È lecito peraltro dubitare, stando anche alle informazioni ricavabili dai dati INPS, che l’imposizione di un termine legale, sia in grado veramente di disincentivare l’uso delle co.co.co. Difatti, dalla stessa fonte risulta che sono solo pressappoco il 12% i soggetti contribuenti che nel corso del ’99 hanno ricevuto compensi lungo l’intero arco dello stesso anno (12 mensilità), nella maggioranza dei casi riscontrandosi invece una accentuata discontinuità dei versamenti e quindi della relazione lavorativa.


In aggiunta si consideri che, in coincidenza con le conclusioni cui era già pervenuta la dottrina (Dalmasso 2003; De Luca Tamajo 2003; Pinto 2003), la prassi amministrativa[x] ha riconosciuto che il requisito della durata non comporta comunque il divieto di proroghe, le quali rimarranno libere – nel limite comunque della loro determinabilità temporale.


Non v’è dubbio che l’opzione interpretativa adottata nella ricostruzione della fattispecie – esclusiva o inclusiva – modifica in modo rilevante l’impatto della riforma sul mercato delle co.co.co.. In particolare la prima sembrerebbe in grado, in effetti, di ridurre in maniera rilevante il numero delle collaborazioni per il futuro, mentre la seconda potrebbe addirittura produrre l’effetto inverso, garantendo agli attori economici una più solida base legale, non più solo previdenziale e fiscale, ma anche sostanziale alla utilizzazione del “lavoro coordinato”. 


Tuttavia, come è stato sottolineato, proprio dall’aver scelto di agire sotto il profilo definitorio comporta che la riforma “nei suoi esiti applicativi è fortemente condizionata dalla decisione della giurisprudenza” (Maresca 2004). Bisognerà pertanto attendere i primi pronunciamenti della Magistratura per valutare appieno il verificarsi dell’effetto di “riequilibrio” auspicato dal Legislatore.


 


4. La disciplina sanzionatoria


Come accennato, una delle chiavi di volta della nuova disciplina è costituita dall’art. 69, il quale pare costituire l’esplicitazione del “sistema sanzionatorio” previsto dalla delega (art. 4, 1° co., lett. c), punto 5): per il futuro i contratti di collaborazione coordinata e continuativa – ma anche quelli in essere, nei limiti della disciplina transitoria – privi del “progetto” “sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto” (art. 69, 1° co.).


La norma, nel disegno originario dell’intera riforma, appare costituire l’architrave mediante la quale realizzare il “riequilibrio” tra lavoro subordinato e autonomo all’intero del mercato del lavoro italiano, confermando la vis actractiva del primo, nell’ambito del quale – ed in particolare in tutte le forme atipiche ora disciplinate – devono essere fatte rifluire tutte le ipotesi di uso improprio delle collaborazioni. In altre parole, una volta cristallizzata nella definizione legale la nuova fattispecie, qualsiasi scostamento dalla stessa, in quanto considerato indice sintomatico della subordinazione, andrebbe ricondotto automaticamente al diverso tipo legale che disciplina quest’ultima.


Tale disposizione è stata oggetto di un notevole dibattito, dividendosi in particolare la dottrina sulla natura di sanzione ovvero di presunzione legale della conversione ivi disposta: è dubbio cioè se sia possibile per il committente fornire in giudizio la prova della esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo, nonostante l’assenza del progetto. Al di là dei dubbi circa la legittimità costituzionale della sanzione, resta che interpretazioni riduttive potrebbero indebolire la ratio antielusiva della riforma (Tursi 2004), in ultima analisi consentendo che: “La collaborazione coordinata e continuativa ben può nascere e svolgersi anche senza progetto” (Maresca 2004). Insomma, si potrebbe affermare che l’intervento “dalla parte della fattispecie” risulterebbe così mitigato nei suoi contenuti precettivi, ove non supportato da un idoneo apparato sanzionatorio, con il rischio che l’auspicato intervento di pulizia del mercato del lavoro dalle collaborazioni fittizie ne risulti rallentato nei suoi esiti. 


Tuttavia – nonostante il permanere di dubbi testuali e sistematici (Pizzoferrato 2004 b)– la prassi (vedi la già citata circolare n. 1/04), sulla scorta di un indirizzo interpretativo (Miscione 2003; Maresca 2004; Tiraboschi 2004 a)  nel frattempo consolidatosi, ha affermato che: “Si tratta di una presunzione che può essere superata qualora il committente fornisca in giudizio prova della esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo.”  


 


In conclusione, un complesso di variabili pare debbano essere valutate una volta terminata, nel maggio del 2005, la fase di sperimentazione della riforma, ove si ritenga ancora non conseguito l’obiettivo di far transitare il numero maggiore possibile di collaborazioni coordinate e continuative nell’alveo del lavoro dipendente.


In primo luogo, occorre valutare se modificare, in senso ampliativo, il campo di applicazione della nuova disciplina. Il regime delle esclusioni, in particolare quello relativo alle “prestazioni occasionali” ed alla pubblica amministrazione, rischia, da una parte, di costituire una agevole via di fuga, per chi intenda sottrarsi indebitamente dalla nuova disciplina del lavoro a progetto e, dall’altra, non intaccare una sacca di possibili elusioni, presso un soggetto che, dagli ultimi dati disponibili[xi], utilizza in certa misura le co.co.co..


Rimangono invece affidate alla Magistratura, libera di assecondare, o meno, quanto consolidatosi in sede interpretativa e di prassi amministrativa, altre variabili. Si pensi in particolare all’affermarsi di una nozione esclusiva ovvero inclusiva della nuova fattispecie legale, ovvero circa l’esistenza di una apparato sanzionatorio, per così dire, debole o forte – mera inversione dell’onere della prova oppure conversione automatica nel contratto standard, in caso di assenza del progetto.


 


Riferimenti bibliografici


 


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De Luca Tamajo (2003), Dal lavoro parasubordinato al lavoro “a progetto”, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 25.


Del Punta (2003), La scomparsa dei co.co.co., in www.lavoce.info, 12.6.2003.


Del Punta (2004), Una riforma in progress, www.lavoce.info, 28.9.2004.   


Di Cocco, Mastrogiuseppe, Tomasini, Gli istituti di lavoro flessibile nella Pubblica Amministrazione e nelle Autonomie locali, ottobre 2003, in www.aran.it.


Ghera (2003) Diritto del lavoro. Appendice di aggiornamento al 31 dicembre 2003, Cacucci,


Ichino (1996), Il Lavoro e il Mercato, Milano.


Ichino (2003), Il vero strappo è una rigidità, Corriere della Sera, 8.6.2003.


Ichino, Sestito (2003), L’incenrto futuro dei co.co.co., in www.lavoce.info, 21.10.2003. 


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Miscione M (2003), Il collaboratore a progetto, Lav.Giur., 9.


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Tursi (2004), Esorcismi tramite circolare, in www.lavoceinfor.org , 22.1.04.






* Le seguenti considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza. Sia consentito ringraziare Emiliano Rustichelli per le elaborazioni statistiche e i preziosi suggerimenti.



[i] Va tuttavia ricordato che la l. 326/03, ma solo tendenzialmente, ha contribuito a diminuire tali differenze, agendo in particolare nel senso di ampliare la platea dei soggetti sottoposti al gettito previdenziale (associati in partecipazione e collaboratori autonomi occasionali) e di aumentare l’aliquota contributiva (dal 14 al 17,39%).   



[ii] Tale gruppo di soggetti, in base ai dati disponibili, non aveva infatti cumulato compensi superiori al 4.176 €.



[iii] I dati presentati sono tratti da Marocco .M., Rustichelli 2004.  



[iv]  Tanto è che, anche da ultimo, il Ministero della Funzione pubblica si è, per così dire, sentito in dovere di intervenire (vedi la Circolare 15 luglio , n. 4) per richiamare le amministrazione pubbliche ad un uso corretto delle collaborazioni coordinate e continuative (“La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle collaborazioni portano questa amministrazione ad intervenire con la presente direttiva”).



[v] Entrambi gli accordi sono consultabili nel sito www.welfare.gov.it nella sezione dedicata alla “riforma Biagi”, sezione contrattazione



[vi] Peraltro, la già citata circolare 1/2004 ha provveduto ha fornire una definizione dei detti termini. E così: “Il progetto consiste in un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione e  (…) può essere connesso all’attività principale od accessoria dell’impresa.” Mentre, “il programma di lavoro consiste in un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale. Il programma di lavoro o la fase di esso si caratterizzano, infatti, per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali.”.



[vii] Pervengono agli stessi risultati chi (Ghera 2003) fa soprattutto riferimento alla genericità del termine “programma di lavoro” per evidenziare che qualsiasi attività, “anche elementare”, può essere ricondotta al “lavoro a progetto”.



[viii] La circolare 1/2004 più volte citata sposa tale interpretazione in particolare ove afferma che: “Il progetto può essere connesso all’attività principale od accessoria dell’impresa.”.



[ix] Si richiama, in primo luogo, l’art. 62, 1° co, lett. a), che richiede la sua fissazione tra i requisiti necessari del contratto, ma soprattutto gli artt. 63, in tema di corrispettivo e 66, 1° co., in tema di sospensione obbligatoria del contratto stesso. Il riferimento nel primo alla “quantità” quale parametro retributivo e, nel secondo, l’effetto sospensivo degli  eventi considerati sulla esigibilità delle obbligazioni (prestazione lavorativa, da una parte, e compenso, dall’altra), paiono confermare il legame sinallagmatico tra “corrispettivo” e durata della prestazione lavorativa.



[x] La più volte citata circolare 4/2004 stabilisce che: “Analogo progetto o programma di lavoro può essere oggetto di successivi contratti di lavoro con lo stesso collaboratore. Quest’ultimo può essere a maggior ragione impiegato successivamente anche per diversi progetti o programmi aventi contenuto del tutto diverso. Tuttavia i rinnovi, così come i nuovi progetti in cui sia impiegato lo stesso collaboratore, non devono costituire strumenti elusivi dell’attuale disciplina.”



[xi] Secondo l’Aran nel 2001 erano impiegate come collaboratori 82.300 persone. Si veda D. Di Cocco, P. Mastrogiuseppe, S. Tomasini.

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