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Home - Blog - Il monito scomodo che viene dall’Ucraina

Il monito scomodo che viene dall’Ucraina

di Giuliano Cazzola
15 Marzo 2022
in Blog
Ucraina: quella fabbrica che non lavora più

Quelli che lo hanno fatto, assicurano che bastava leggere il ‘’Mein Kampf’’ per comprendere le intenzioni di Adolf Hitler, perché in quel libello era già scritto tutto il programma che avrebbe portato al governo il Fuhrer il 30 gennaio del 1933, gli avrebbe consegnato i pieni poteri poche settimane dopo l’incendio del Reichstad. In soli sei anni la Germania nazista si mise in grado di potenziare gli armamenti e – dopo essersi annessa qualche paese europeo – di assalire (insieme all’Urss) la Polonia il 1° settembre del 1939.

Il resto lo sappiamo: la Francia crollò in poche settimane; l’Inghilterra corse il rischio di trovarsi completamente disarmata con 350mila uomini (praticamente tutto il suo contingente militare) “spiaggiati” sulla sponda franco-belga della Manica in una località chiamata Dunkerque. Con un’operazione di evacuazione che è entrata a far parte della storia, il grosso del contingente raggiunse – grazie alla c.d. flotta zanzara – le bianche scogliere di Dover, dopo aver abbandonato le armi pesanti e leggere al nemico. Il caso volle che il Governo di sua Maestà britannica fosse presieduto da una personalità politica che ne aveva viste di tutti i colori, che eccedeva nelle libagioni, ma che, alla Camera dei Comuni, pronunciò un discorso, divenuto leggendario, per l’impegno solenne che veniva assunto: ‘’We shull never surrender’’.

E pensare che gran parte del suo partito spingeva per trattare con Hitler. Erano persone ben più influenti dei “pacefondai” di casa nostra,  che, in queste settimane di olocausto dell’Ucraina, invitano Zelenzky ad arrendersi, per evitare “l’inutile strage” in corso. Tanto che, per convincerlo a fare il grande passo (ad esercitare, come è stato scritto, il ‘’diritto alla resa’’),  secondo gli ospiti dei talk show che hanno rimpiazzato i virologi, bisognerebbe evitare di inviare armi, ma solo quei  fiori che i bambini ucraini dovrebbero infilare nei cannoni dei tank in segno di accoglienza. Fu la resistenza disperata dell’Inghilterra – secondo i “putiniani” a loro insaputa’’ – a provocare la seconda guerra mondiale? Peraltro fino a quando  Roosevelt non riuscì a fare approvare la legge c.d. affitti e prestiti, d’Oltreoceano arrivavano solo sinceri auguri.  D’accordo. Putin non è Hitler. Chi si azzarda a cimentarsi  in  questo paragone, sia pure aggiungendo tutti i distinguo del caso,  viene azzannato alla gola e sottoposto al pubblico ludibrio. Secondo un redivivo Michele Santoro: “Putin non è un pazzo, non è Hitler, è un leader e ha agito secondo il suo disegno nazionalistico”. Questa è la linea del ‘’politicamente corretto’’.

Come ha scritto Luigi Manconi, tuttavia, qualche somiglianza col Fuhrer,  c’è: anche se per ora Putin si limita a deportare e a cacciare, non gli ebrei in quanto tali, ma gli ucraini. Ma vi è un altro aspetto da tenere presente. Anche Putin ‘’lo aveva già detto….’’. Infatti, lo zar si sta muovendo coerentemente con quanto predica da anni, nell’indifferenza dell’Occidente. Quando inaugurò la teoria della superiorità delle ‘’democrature’’ nei confronti delle esangui e decadenti democrazie liberali, ormai fuori dalla storia, l’autocrate del Cremlino non coltivava forse una variante moderna della critica sprezzante alle demogiudaicheplutocrazie? E la guerra all’Ucraina non viene forse spiegata con l’esigenza di uno “spazio vitale” che nel caso di Putin risale all’Impero zarista (‘’tradito’’ dai leader comunisti che vollero concedere l’autonomia – si fa per dire – all’Ucraina)? Mentre con Hitler, il richiamo si fermava al Reich imperiale (ma sotto sotto arrivava ai Nibelunghi)?  Tornando a bomba (non è un modo di dire ma un riferimento a quanto accade sotto i nostri occhi), la campagna ‘’pacefondaia’’ non ha perso tempo nel sostituire i no vax nei talk show. Le sanzioni (il “minimo sindacale” che la comunità internazionale non avrebbe potuto non adottare) sono messe in relazione con l’esplosione dei prezzi (con un occhio di riguardo ai prezzi del carburante), dimenticando che il fenomeno era in corso da mesi, specie per quanto riguarda i costi dell’energia. Il sillogismo è il seguente: sono efficaci le sanzioni per frenare Putin? Certo, gli esperti dicono che misure così forti non sono mai state prese, ma per  il fatto stesso che siano aperti i rubinetti del gas e del petrolio qualche dubbio è ammesso.

Allora, se le sanzioni si ripercuotono su chi le mette è evidente – lasciano intendere –  che non ne vale la pena. Ma il peana dei ‘’putiniani a loro insaputa’’ raggiunge i toni più alti (entrano in campo gli ottoni) quando si tratta di armi. E qui sentiamo sciorinare un rosario che ci riporta alla giovinezza: ‘’né con Putin né con la Nato’’; ‘’la pace non si conquista con le armi’’; ‘’armando l’Ucraina perdiamo ogni possibilità di essere mediatori’’.  Manca solo il clou del ‘’meglio rossi che morti’’, perché quel colore che riscaldava i nostri giovani cuori non si addice al Piccolo Padre Vladimiro. Se fosse ancora questo lo slogan della viltà conclamata sarebbe necessario un aggiornamento: “meglio oligarcomafiosi che morti”. Sono convinto, invece, che la resistenza dell’Ucraina sia stata per l’Occidente un immeritato colpo di fortuna. Non solo perché ha impedito una marcia trionfale del tiranno moscovita, ma soprattutto perché ci ha aperto gli occhi e ci ha fatto guadagnare tempo, se sappiamo farne buon uso. Ora l’attenzione è concentrata sulla tragedia di quel popolo, nel tentativo di salvare il salvabile (trovo bizzarro l’insistere sul ruolo che dovrebbe avere la diplomazia, senza spiegare come). Ma perché ciò sia possibile è necessario fornire l’Ucraina degli armamenti che richiede. Un ‘’cessate il fuoco’’, un armistizio e poi una soluzione negoziata si conquistano solo sul campo di battaglia. L’Ucraina non va lasciata sola ora nella guerra; domani – se sarà possibile – nella pace. Poi l’Occidente (che è tornato a chiamarsi “mondo libero”) non può pensare che il dramma ucraino sia un episodio, sistemato il quale si torna al tran tran di prima. E’ finita l’età dell’innocenza.

La guerra ha cambiato lo scenario all’interno del quale ci siamo cullati negli ultimi trent’anni. L’Occidente deve capire che le priorità sono cambiate. Oggi è prioritaria la difesa; e la difesa impone il RIARMO. E’ la lezione che viene dalla Germania. C’è bisogno di un Recovery  Fund finalizzato alla costruzione di un sistema europeo di difesa, perché gli Usa sono stanchi di fare la parte del ‘’poliziotto del mondo’’.  E in tal senso va riformulato il PNRR.  Perché  l’Europa non ha più santi in paradiso. Per chi non l’avesse ancora capito, l’Amministrazione Usa tiene d’occhio  Taiwan  dove si svolgerà  la prossima grave crisi con la discesa in campo della Cina popolare. Gli americani hanno lasciato bene intendere  quali sono le loro scelte geopolitiche quando hanno abbandonato l’Afghanistan. Con il RIARMO accontenteremo anche le ‘’anime belle’’ che sono sempre alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo.

Abbiamo la possibilità di avere a disposizione le risorse e i meccanismi di coordinamento, programmazione e spesa predisposti con il NGEU. Vanno usati per gestire la transizione energetica, non in chiave di trasformazione ecologica, ma di sopravvivenza, perché non ci è consentito di fermare il Paese, come sta avvenendo. Poi giunge l’ora dei missili. E’ anche questo il ‘’DEBITO BUONO’’: quello che ci può consentire di difendere la nostra libertà. Dall’Ucraina viene un monito scomodo, ma chiaro.

Giuliano Cazzola

Giuliano Cazzola

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