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Home - Approfondimenti - L'Editoriale - Il paese si gioca il futuro

Il paese si gioca il futuro

di Massimo Mascini
13 Dicembre 2013
in L'Editoriale

Fabrizio Saccomanni continua a dire che la ripresa è una realtà, che la crisi è finita, che adesso cominciano gli anni delle vacche grasse. Noi ne siamo tutti contenti, perché davvero non se ne può più di questa crisi. Il punto è che, anche se i segnali si moltiplicano, per il momento si tratta di indicazioni,  se non appena di frenate della discesa. Una ripresa vera e propria non c’è e non si prospetta nemmeno, almeno per il momento. Non è questione di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Il punto è che il paese è prostrato e fatica a tirare avanti. L’occupazione è crollata. Le aziende avevano tenuto a lungo per non perdere il loro capitale umano, che sempre un capitale è: ma alla fine si sono dovute arrendere e hanno cominciato a licenziare. In un anno abbiamo perso mezzo milione di posti di lavoro. E senza un lavoro, come anche in cassa integrazione, si sta male. Mancano i presupposti per una vita civile. La povertà sta dilagando nel nostro paese. Una volta c’era la difficoltà della quarta settimana, adesso forse c’è già quella della seconda.

E, soprattutto, sta venendo meno la coesione sociale. Era una nostra precipua caratteristica, quella che ci differenziava dai paesi anglosassoni, dagli Stati Uniti soprattutto. Da noi tenevano le catene della solidarietà, quando si era in difficoltà c’era sempre il modo per appoggiarsi a qualcuno, c’era chi ti dava una mano. Adesso questo sentimento è forse non perso, ma certamente ridotto e ridotto drasticamente. Adesso vige la competizione e quando stai competendo non hai spazio per guardarti attorno e aiutare chi è in difficoltà. Questo è il frutto malato del berlusconismo, che ha esaltato la competizione, una deriva alla quale il centrosinistra non è stato in grado di opporsi, alla fine l’ha perfino sollecitata.

Questo significa che davvero stiamo cambiando anima? Il pessimismo non è mai buon consigliere, per uscire dalle difficoltà occorre sempre pensare in maniera positiva, perché solo in questo modo è possibile vedere le vie di fuga, le possibili alternative. E, del resto, nel paese restano forze reali che contrastano questa deriva. I sindacati sono certamente tra queste. Perché i sindacati nascono proprio per sviluppare la solidarietà, per unirsi e diventare più forti. E i nostri sindacati, con tutte le loro deficienze e perplessità, questa strada non l’hanno mai abbandonata. Tutti o quasi gli accordi raggiunti nelle grandi aziende quest’anno per far fronte alla crescita di esuberi ha fatto forza sui contratti di solidarietà, figli del vecchio slogan “lavorare meno, lavorare tutti”. Questo in pratica si è deciso, di far lavorare tutti i dipendenti qualcosa in meno per dare modo a chi era considerato in sovrannumero di restare al proprio posto di lavoro.

E contro quella deriva hanno lavorato anche le aziende, almeno quel gruppo di medie e medio grandi aziende che  hanno tenuto in questa triste congiuntura, sono riuscite a mantenere le loro quote di mercato, magari le hanno anche un po’ allargate. Il punto è che queste sono poche, non riescono a tenere a galla tutto il paese. L’export è il loro punto di forza e la bilancia di pagamenti è ancora fortemente in attivo. Ma non bastano, non bastano più. Adesso servirebbe qualcosa d’altro, servirebbe uno scatto della politica. Il governo Letta ha indicato con molta capacità le cose da fare. Quando c’è stato bisogno ha elencato i provvedimenti da prendere riscuotendo il plauso un po’ di tutti. Poi si è passati dalle parole ai fatti e qualcosa del meccanismo si è inceppato. Le prime uscite sulla legge di stabilità, che è legge prioritaria perché descrive cosa si farà nei prossimi tre anni, non sono risultate all’altezza delle necessità.

Ma la verità è che il paese si sta giocando il suo futuro. Perché anche se la crisi finisce e noi riprendessimo a crescere come gli altri, resterebbero sempre ad appesantirci quei nodi strutturali che esistevano, e pesavano, anche prima della crisi. E allora lo sforzo dovrebbe essere duplice, portarci fuori dalla crisi e parallelamente eliminare quei problemi strutturali che ci impedivano di crescere. Uno sforzo notevole, difficile da realizzare. Ma ineludibile. L’alternativa è che si moltiplichino le divisioni, gli egoismi, che la coesione sociale precipiti davvero in fondo a un pozzo. L’antipolitica, i forconi  l’avrebbe vinta e sarebbe il crollo del paese che i nostri padri ci hanno lasciato.

Massimo Mascini

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