Nessun altro. Il sindacato solo può concepire e realizzare oggi, in questo Paese, un'esperienza di democrazia di massa come quella del referendum sul protocollo del 23 luglio che inizia stamani e si chiude alle 14 di mercoledì. Dopo migliaia di assemblee, ora i lavoratori dipendenti, i pensionati, i precari e i disoccupati voteranno in trentamila seggi. Cinque milioni è il numero di votanti che le confederazioni sperano di raggiungere, superando i 4,4 milioni che nel 1995 votarono sulla riforma delle pensioni; e sperano anche di superare il 64% di voti favorevoli che fu il risultato di quel referendum.
Votano, e votando decidono su questioni che li riguardano nel presente e nel futuro. Votano, e votando giudicano le scelte dei vertici delle organizzazioni che li rappresentano, i loro comportamenti, le loro strategie, la coerenza rispetto agli impegni, la fedeltà al nucleo primario, fondamentale dell'essere dirigenti sindacali: la difesa degli interessi e diritti di chi lavora e di chi ha lavorato. Nelle condizioni politiche attuali dell'Italia questa consultazione assume anche un significato, un valore che vanno oltre la sua dimensione sindacale. Di fronte ad una società politica in crisi, alla malattia profonda che ne corrode gli organi vitali e che si manifesta ogni giorno nella desolazione di tanti comportamenti, nello smarrimento di quasi tutto il senso dell'agire politico, nel vuoto urlato di certi linguaggi, nella perdita di peso di alcune parole fondanti della nostra vita pubblica, di fronte a questo povero mondo la consultazione sindacale restituisce tutto il suo peso alla parola democrazia e riesce – nei fatti – ad alzarla di nuovo, a illuminarla della luce che le è dovuta. Siamo in presenza di uno di quei casi in cui il sindacato fa politica, la fa nel modo giusto, nel modo che deve essere il suo.
Detto tutto questo, alcune osservazioni sono forse necessarie. 1. Se il protocollo di luglio verrà approvato dalla maggioranza dei votanti, ciò significherà che quell'accordo deve essere considerato sostanzialmente valido così com'è, nel testo e nei contenuti sottoposti al giudizio di lavoratori e pensionati. Quelle forze (e debolezze) politiche delle quali ascoltiamo le quotidiane voci di critica e richiesta di cambiamento, dovrebbero prendere atto che i direttamente interessati non la pensano come loro, e dovrebbero quindi tacere. Ma non taceranno. 2. Lo stesso discorso vale per quella parte minoritaria della Cgil che si è opposta all'accordo. Potrebbe utilmente avviare una riflessione sul concetto e sulla realtà effettiva del termine avanguardia, soprattutto quando si trasforma in illusione, in fantasma, in sogno, vagando lontano dal vero stato presente delle cose. 3. E' lecito invitare i sindacati, dopo la grande prova di democrazia e di unità, ad esserne degni? E credo che ci siamo capiti.
Leopoldo Meneghelli