Maggio è il mese della diversità dell’UE 2025 che sensibilizza in merito all’importanza della diversità e dell’inclusione sul posto di lavoro e in tutte le nostre società. Utile in in questo senso è rifarsi alla teoria dell’intersezionalità di Kimberlé Crenshaw, attivista e giurista statunitense, secondo cui le categorie biologiche, sociali e culturali tra cui genere, etnia, casse sociale, orientamento sessuale e abilismo interagiscono tra di loro e concorrono alla produzione di discriminazioni e oppressioni. Teoria ampiamente comprovata nello spazio del lavoro, in cui le disparità di trattamento sono cartine di tornasole di una cultura volta al consolidamento di schemi arcaici e nient’affatto meritocratici. La dimostrazione arriva dalla rilevazione Eurostat sulle disuguaglianze occupazionali legate alla disabilità, al genere e all’origine nel 2024.
Sul piano del genere, nell’UE il divario è stato di 10,0 punti percentuali, con un tasso di occupazione dell’80,8% per gli uomini e del 70,8% per le donne. Il divario comunque in lento miglioramento, inferiore di 0,2 punti percentuali rispetto al 2023 e di 1,1 punti percentuali rispetto al 2014. Ma, considerato lo spazio di 10 anni, la riduzione del gap è ancora molto risicata.
Inoltre, il divario occupazionale di genere è stato particolarmente pronunciato nella popolazione nata all’estero, dove la differenza nei tassi di occupazione ha raggiunto 18,1 punti percentuali. Il tasso di occupazione per gli uomini nati all’estero è stato dell’83,1%, rispetto al 65,0% per le donne. Anche le donne nate all’estero hanno registrato tassi di occupazione inferiori di 15,7 punti percentuali rispetto alle donne nate all’estero.
Particolarmente sorprendente, poi, è il divario occupazionale tra le persone con e senza disabilità, pari a 24,0 punti percentuali. Secondo le stime di Eurostat, un adulto su quattro nell’UE (101 milioni di persone) è portatore di disabilità e con l’invecchiamento aumentano le probabilità che questo numero aumenti. Secondo un rapporto della Commissione europea molte persone con disabilità sono trattate male o ingiustamente a causa della loro disabilità. Nel 2019 da un’indagine Eurobarometro è emerso che il 52% delle persone con disabilità si sente discriminato, mentre nel 2023 il 28,8% delle persone con disabilità era a rischio di povertà o di esclusione sociale, rispetto al 18% delle persone senza disabilità.
Il tutto, per le categorie analizzate dall’Eurostat, al netto dei divari retributivi (per esempio, le donne lavoratrici nell’UE guadagnano in media il 12% in meno all’ora rispetto agli uomini, percentuale analoga per le persone con disabilità rispetto a chi non lo è).
Il mese europeo della diversità, sottolinea Eurostat, celebra gli sforzi compiuti dalle organizzazioni per contribuire a creare ambienti equi e inclusivi a beneficio di tutti e rientra nell’impegno della Commissione europea a combattere la discriminazione e a promuovere luoghi di lavoro diversificati e inclusivi in cui anche salute mentale e del benessere sul luogo di lavoro sono centrali. È evidente, però, che gli sforzi non sono sufficienti e anzi, allargando lo sguardo sul resto dell’occidente, la direzione si sta letteralmente invertendo. Gli forzi programmatici non sono più sufficienti e fin quando ci saranno cittadini di “serie A” e “cittadini di serie B” non potremmo certo dire di vivere in un mondo giusto.
Elettra Raffaela Melucci