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Il Diario del Lavoro

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Home - Approfondimenti - Analisi - Il quadro attuale della disciplina

Il quadro attuale della disciplina

21 Ottobre 2003
in Analisi

Mario Emanuele – Ricercatore Isfol

1. L’attività legislativa della Comunità europea ha rappresentato nell’ultimo decennio uno straordinario volano di modernizzazione dei sistemi giuridici nazionali di tutela dei diritti e delle condizioni dei lavoratori. Tra i numerosi interventi normativi che hanno influenzato gli ordinamenti degli Stati membri, l’insieme dei diversi provvedimenti normativi volti a determinare l’ampio riconoscimento istituzionale dei diritti di informazione e consultazione dei lavoratori – soprattutto con riferimento alla posizione di coloro che lavorano in aziende di dimensioni comunitarie – ha certamente costituito un elemento di significativa evoluzione giuridica.

Il tema dei diritti di informazione e consultazione dei lavoratori ha assunto particolare interesse soprattutto perché dal complesso fenomeno di globalizzazione e transnazionalizzazione dei mercati e degli spazi economici e dal conseguente notevole incremento del numero di operazioni di aggregazione e fusione tra società aventi sede, o uno degli stabilimenti, in parti distinte del territorio della Comunità europea, è scaturito, tra le altre cose, un processo di complicazione del sistema, nazionale ed europeo, delle relazioni industriali.


La conseguenza più immediata di questo processo è stata l’allontanamento di fatto dei lavoratori dai centri vitali dell’impresa ove vengono assunte le decisioni strategiche e ciò ha reso la loro condizione ancor più precaria, meno tutelabile in quanto meno informata[1].


Quanto appena premesso, in chiave volutamente sintetica, aiuta a dare evidenza e ad introdurre l’analisi di alcune direttive comunitarie[2] che, in tema di informazione e consultazione dei lavoratori, lo Stato italiano ha solo in parte già recepito, seppur con notevole ritardo, contribuendo così allo sforzo da tempo profuso in ambito UE in vista dell’istituzione di un sistema di relazioni industriali europee, certo non ancora uniforme per il rispetto dovuto alle peculiari tradizioni di contrattazione collettiva nazionali, ma almeno in parte caratterizzato da alcune regole di tutela minime, fondamentali[3].


Un sistema di relazioni transnazionali, quello appena descritto, a cui possono direttamente partecipare i rappresentanti dei lavoratori provenienti da diversi Stati membri, aventi differenti culture giuridiche e sensibilità sociali, e da cui, altresì, si dovrebbero poter ricavare sinergie vitali per la maturazione di una maggiore coesione politico-sociale dei popoli dell’Unione europea[4].


Il background conoscitivo così ricavato potrà inoltre essere speso anche in ambito nazionale, dove ciascun rappresentante dei lavoratori, partecipanti alle riunioni del comitato aziendale europeo (CAE), potrà comunicare e diffondere tra i propri colleghi in azienda, durante le assemblee ed in sede di contrattazione aziendale, quanto appreso nei rapporti con rappresentanti provenienti da altri Paesi.


 


2. La fonte di riferimento della normativa comunitaria in tema di diritti di informazione e consultazione dei lavoratori rimane, ad oggi, la direttiva n. 45/1994/CE con cui è stato creato il CAE[5], gruppo di lavoro composto dai rappresentanti dei lavoratori provenienti dai diversi stabilimenti di una determinata impresa di dimensioni comunitarie[6], al fine di permettere il confronto tra questi e la sede centrale dell’impresa stessa sui profili di comune interesse[7].


Pur essendo espressione del contesto politico-legislativo maturato a seguito della definizione dell’Accordo sulla Politica Sociale (APS) allegato al Trattato di Maastricht del 1992, la Dir n. 45/1994 non nasce da un accordo intercategoriale europeo tra le confederazioni europee di rappresentanza; quest’ultime, tuttavia, si sono confrontate a lungo, offrendo alla Commissione una serie di elementi utili alla definizione di una compiuta proposta di direttiva al Consiglio[8].


In Italia, malgrado fosse stato stipulato già nel 1996 dalle parti sociali un avviso comune su questi temi, in ottemperanza alle regole del dialogo sociale come disciplinato dall’art. 137, c. 4, del Trattato istitutivo della Comunità europea, la direttiva n. 45/1994 è stata recepita soltanto nel 2002 con il D.Lgs. n. 74, in virtù della delega contenuta nella L n. 422/2000.


La direttiva citata – che all’art. 12, in nome del principio di sussidiarietà, ha fatto salve tutte le ipotesi di diritti precedentemente riconosciuti, di fonte legale o contrattuale, non comprese nel decreto stesso – è indubbiamente un testo di grande civiltà giuridica ed assume ancora maggiore rilevanza in vista del processo di allargamento dell’Unione europea che nel 2004 coinvolgerà anche Paesi in cui ancora non esistono previsioni in tema di diritti di informazione e consultazione dei lavoratori; con essa viene riconosciuto in termini generali, seppur limitatamente alle imprese o gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, il diritto di informazione e consultazione a favore dei lavoratori, diritto questo che l’ordinamento comunitario prevedeva precedentemente soltanto in ambiti particolari, come per la disciplina dei licenziamenti collettivi (Dir. n. 129/1975, modificata dalla Dir. n. 59/1998), del trasferimento d’azienda (Dir. n. 187/1977, modificata dalla Dir. n. 50/1998), dei diritti alla salute e sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro (Dir. n. 391/1989).


La normativa del 1994 intende promuovere l’avvio di un confronto costruttivo e dialettico[9] tra la direzione centrale dell’impresa e la delegazione speciale di negoziazione (costituita quest’ultima dai rappresentanti dei lavoratori, non dei sindacati, scelti tra gli occupati nei diversi Paesi in cui l’impresa ha uno stabilimento ed eletti secondo la libera determinazione della legislazione o prassi nazionale) per raggiungere un accordo – i cui contenuti, per alcuni versi, sono peraltro già stabiliti[10] all’art. 6, c. 2, della direttiva n. 45/1994 ed all’art. 9, c. 2, del D.Lgs. n. 74/2002 – finalizzato alla costituzione di appositi comitati aziendali europei e alla regolamentazione dell’esercizio dei diritti di informazione e consultazione dei lavoratori. In alternativa, la direttiva, comunque, individua una procedura predefinita – un insieme di cd. prescrizioni accessorie – per la costituzione ex lege di un CAE, avente competenze ridotte e composizione predeterminata, e per la regolamentazione dell’esercizio dei suddetti diritti[11].


La direzione centrale, ex art. 4 della Dir. n. 45/1994, non è facoltizzata, ma è “responsabile della realizzazione delle condizioni e degli strumenti necessari all’istituzione del comitato aziendale europeo (…). Per dare effettività a quest’ultima attribuzione di responsabilità, ai sensi dell’art. 11, c. 3, è previsto un rinvio agli Stati membri per l’introduzione di una disciplina sanzionatoria, di natura amministrativa e giudiziaria; in attuazione, il D.Lgs. n.74/2002, ha stabilito la costituzione, ad opera delle parti stipulanti l’accordo, di una commissione tecnica di conciliazione e, in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, l’intervento ordinatorio e sanzionatorio del direttore generale della direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (artt. 11, c. 3 e 17, c. 1-2). Le previsioni sul regime sanzionatorio, dunque, non includono l’applicazione dell’art. 28 della L. n. 300/1970 sulla repressione delle attività antisindacali, così come, peraltro, le stesse parti sociali avevano convenuto nell’intesa del 6 novembre 1996[12].


A seguito dell’emanazione della direttiva del 1994, la consultazione dei lavoratori ed il loro coinvolgimento nelle decisioni che interessano l’organizzazione ed il funzionamento delle imprese si appresta ad assumere carattere fisiologico, permanente, e ad interessare le diverse fasi di operatività delle aziende, le strategie societarie ed i cicli economici, gli andamenti occupazionali e gli eventuali licenziamenti collettivi.


 


3. Recentemente, con l’emanazione di tre diverse direttive – la n. 2001/86/CE e la n. 2003/72/CE per il completamento, con norme in tema di diritti di informazione e consultazione dei lavoratori, rispettivamente, dello statuto della Società Europea (SE, ex regolamento n. 2157/2001) e dello statuto della Società Cooperativa Europea (SCE, ex regolamento n. 1435/2003) ed, infine, la n. 2002/14/CE per l’istituzione di un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori – è stata raggiunta un’adeguata sistematizzazione della materia ed è stato ampiamente esteso lo spettro degli interessati dalla sua applicazione.


Ai diritti di informazione e consultazione[13], disciplinati nella direttiva n. 45/1994, si aggiungono, a seguito dell’emanazione della Dir. n. 86/2001, i diritti di partecipazione dei lavoratori attraverso il riconoscimento del diritto di eleggere, di raccomandare la designazione e/o di opporsi alla nomina di componenti negli organi di direzione, vigilanza o di amministrazione delle Società Europea, costituita secondo la legge di uno Stato membro ed avente la sede sociale e l’amministrazione centrale nella comunità, onde permettere agli stessi di influenzare i processi decisionali dell’impresa, specie nel momento in cui questa non abbia ancora assunto risoluzioni definitive sugli aspetti oggetto del confronto[14].


Il dialogo con i rappresentanti dei lavoratori e, a differenza della direttiva del 1994, anche con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali[15], appare così assumere un ruolo ancor più incisivo sul processo di formazione delle determinazioni imprenditoriali ed, anche per questo, si rende indispensabile che la loro consultazione avvenga in via preventiva, in tempo utile, e che vengano contrastate quelle prassi per cui le informazioni venivano concesse ai lavoratori solo a consuntivo, impedendo in tal modo che fosse possibile l’attivazione di interventi tempestivi, specie in materia occupazionale, utili a risolvere i problemi ed i conflitti di volta in volta evidenziatisi.


La Direttiva n.86/2001 trova applicazione con riferimento alle società che, anche a seguito di processi di fusione e di creazione di una holding, abbiano sede in più Stati membri o abbiano da almeno 2 anni un’affiliata soggetta alla legge di un altro Stato membro o una succursale situata in un altro Stato membro.


Con la Legge n. 39 del 1/3/2002 (cd. legge comunitaria 2001), il Parlamento italiano ha conferito al governo la delega – non ancora stata esercitata – per il recepimento di questa direttiva; il recepimento dovrà, avvenire entro la data dell’8.10.2004.


L’importanza delle disposizioni contenute nella Dir. n. 86/2001 può essere inoltre desunta dalla previsione per cui, fin tanto che la stessa non verrà recepita, nessuno Stato membro potrà consentire l’istituzione e la registrazione di una società europea come disciplinata dal Regolamento n. 2157/2001; in ogni fase (fusione, creazione di una holding, progetto di trasformazione), infatti, l’organo competente all’omologazione sarà tenuto a verificare la sussistenza delle previsioni in materia di coinvolgimento dei lavoratori[16].


 


4. Con la direttiva n. 14/2002[17], contenente prescrizioni minime per un quadro generale di tutele, infine, si persegue l’obiettivo di estendere, quanto più possibile, l’esercizio dei diritti di informazione e consultazione, a partire dalle imprese che impiegano almeno 50 addetti o ai diversi stabilimenti di una medesima impresa in cui lavorino almeno 20 addetti.


Viene ribadita l’urgenza di invertire la prassi di comunicazione ex post dei processi di cambiamento e ristrutturazione, aziendale ed occupazione e, in modo più attento rispetto alle prime due direttive, la n. 14/2002 specifica con puntualità le condizioni necessarie affinché la stessa comunicazione sia congrua rispetto alle finalità individuate. L’informazione sugli andamenti economici dell’impresa, sulle politiche occupazionali (nonché sulle eventuali misure anticipatrici previste, segnatamente in caso di minaccia per l’occupazione) e sui processi di ristrutturazione aziendale e di organizzazione del lavoro dovranno, infatti, essere comunicate in tempo utile e tempestivo, con contenuti appropriati e forniti al livello pertinente di direzione e di rappresentanza (art. 3, c. 3-4).


In relazione alle modalità della consultazione, inoltre, interessante si presenta la previsione contenuta all’art. 4, c. 4, lett. d), secondo cui “la consultazione avviene in modo tale da permettere ai rappresentanti dei lavoratori di avere un incontro con il datore di lavoro e di ottenere una risposta motivata al loro eventuale parere”. Viene così rimarcata la necessità che il confronto, oltre che costruttivo, sia reale e conduca effettivamente all’enucleazione di un espresso pronunciamento del datore di lavoro sulle questioni oggetto di consultazione.


La Dir. n. 14/2002 introduce altresì un pressante richiamo al legislatore nazionale per l’introduzione di un adeguato regime sanzionatorio volto a contrastare gli inadempimenti dei datori di lavoro e dei rappresentanti dei lavoratori rispetto agli obblighi posti a loro carico: ai sensi del considerando n. 28 e dell’art. 8, infatti, le sanzioni, amministrative e giudiziarie, dovranno, in caso di violazione delle norme della direttiva n. 14/2002, essere effettive, dissuasive e proporzionate alla gravità delle infrazioni.


 


5. Il provvedimento comunitario più recentemente emanato in tema di diritti di informazione è, infine, la Direttiva n. 2003/72/CE del 22 luglio, da recepire entro il 18.8.2006, che, analogamente alla Dir. n. 86/2001, accompagna l’emanazione di un regolamento UE – il n. 1435/2003 sulla costituzione della Società Cooperativa Europea (SCE) – con cui vengono introdotte norme uniformi di diritto societario. Le disposizioni contenute in quest’ultima direttiva appaiono affatto simili a quelle precedentemente analizzate e vengono, inoltre, perseguite finalità equivalenti[18].


Vista la particolarità del vincolo sociale della cooperativa e la sua natura giuridica, è stata prevista, in presenza di condizioni tassativamente individuate, la possibilità della partecipazione, con diritto di voto, dei rappresentanti dei lavoratori alle assemblee della SCE (art. 9) e la conservazione delle prassi di partecipazione già in uso nelle cooperative prima del loro assorbimento all’interno di una più grande SCE, nel rispetto del principio comunitario denominato “prima = dopo”.


 


6. Non essendo possibile, in questa sede, procedere ad un’analisi diffusa sugli esiti, sui complessi dispositivi dei testi normativi passati rapidamente in rassegna e sui rapporti tra i medesimi, si riportano, conclusivamente, soltanto alcuni dati che appaiono utili a rendere palese l’interesse che si va consolidando verso il tema dei diritti di informazione e consultazione dei lavoratori[19].


Ad oggi gli accordi effettivamente siglati in Italia ai sensi dell’unica normativa comunitaria definitivamente recepita nel nostro ordinamento, la Dir. n. 45/1994, sono poco più di 30, sebbene siano almeno 80 le imprese con sede sul territorio italiano con le caratteristiche idonee a permettere la costituzione di un CAE.  Questo profilo evidenzia il ritardo degli operatori nella comprensione della utilità dell’effettivo esercizio dei diritti di informazione e consultazione all’interno di un quadro di tutele giuridicamente adeguato.


L’applicazione della Dir. n. 45/1994 è risultata, peraltro, piuttosto lenta anche in Europa dove ci sono tuttora molte imprese di dimensioni comunitarie o multinazionali in cui non è stato ancora possibile costituire il CAE: si stima[20] infatti che siano circa 1800 le aziende potenzialmente interessate dalla disciplina, mentre sono poco più di 670 gli accordi siglati[21]. Va inoltre notato come siano circa 350 i CAE, disciplinati dall’ordinamento di un altro Stato UE, di cui sono componenti effettivi rappresentanti italiani.


Complessivamente, i progressi verso una diffusa estensione in concreto dei diritti di informazione, consultazione e partecipazione appaiono comunque importanti: basti pensare che prima dell’emanazione della direttiva n. 45/1994 erano assolutamente residuali in Europa (non più di 40) le esperienze di prassi aziendali volte al riconoscimento dei diritti richiamati.


Alla luce di queste considerazioni, si ritiene presumibile che il processo di coinvolgimento dei lavoratori, avviato ben prima del 1994, non potrà in futuro che radicalizzarsi positivamente nell’ambito delle relazioni industriali di rilievo comunitario e favorire, oltre alla definitiva affermazione della figura soggettiva del rappresentante transfrontaliero dei lavoratori, anche la diffusione di una maggiore consapevolezza verso i diritti di informazione e consultazione, connotando in termini di effettività la loro applicazione e tutela.






[1] Il considerando n. 9 della direttiva n. 45/1994 fa riferimento alla frequente incompatibilità delle “procedure per l’informazione e la consultazione dei lavoratori previste dalle legislazioni o dalle prassi degli Stati membri con la struttura transnazionale dei soggetti che adottano le decisioni riguardanti i lavoratori e sottolinea il rischio di disuguaglianze di trattamento tra i lavoratori sulle cui condizioni incidono le decisioni di una stessa impresa o gruppo di imprese”.



[2] Ben prima dell’emanazione delle direttive che verranno esaminate più avanti, la Carta europea dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, all’art. 17, sanciva la necessità di “sviluppare l’informazione, la consultazione e la partecipazione dei lavoratori secondo modalità adeguate, tenendo conto delle prassi vigenti nei diversi Stati membri”.



[3] Secondo quanto emerge dal considerando n. 5 della Direttiva n. 86/2001, l’UE, in via di principio, ha ritenuto di non imporre un modello determinato di relazioni industriali.



[4] Come osserva la dottrina, pur essendo il loro ruolo ancora debole e limitato all’informazione, i Comitati Aziendali Europei (CAE, di cui si dirà infra) e le similari sedi di confronto transnazionale assumono una rilevanza tutt’altro che trascurabile in virtù del fatto che “i rappresentanti dei lavoratori nelle operazioni delle multinazionali potrebbero instaurare legami tra loro, scambiarsi informazioni, approfondire la conoscenza reciproca, stabilire relazioni che culminano nella definizione di una rete, e una organizzazione internazionale e perciò sviluppare il groundwork delle relazioni industriali internazionali in essere” (Rojot J., “Un sistema di relazioni industriali europeo?”, in Diritto delle relazioni industriali, 2001, 3, pag. 387).



[5] Sull’istituzione e sull’evoluzione dei comitati aziendali europei, si segnalano i seguenti articoli: Ciucciovino S., “I comitati aziendali europei: il recepimento della direttiva comunitaria n. 45 del 1994”, in Argomenti di diritto del lavoro, 1996, n. 3, pagg. 63-89; Biagi M., “Le relazioni industriali nell’Unione Europea”, in Diritto delle relazioni industriali, 1997, n. 3, pag 30-36 ed, infine, Dondi G., “Comitati aziendali europei: il D.Lgs. n. 74 del 2002 per l’attuazione della direttiva n. 94/45/CE”, in Argomenti di diritto del lavoro, 2003, n. 1, pagg. 103-136. Si ritiene altresì particolarmente interessante l’analisi di Brino V. (“Aspetti evolutivi della Direttiva 94/45/CE: il caso Bofrost”, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2002, 4, p. 802), laddove afferma che il CAE nasce e si sviluppa come strumento di “tutela di diritti a cui non può essere assegnata una nazionalità in quanto diritti transnazionali, che chiedono garanzie e protezione soprattutto di fronte alla cd. mondializzazione dei mercati”. Quest’ultimo Autore, ponendo in risalto le potenzialità del Cae, lo definisce un “punto di incontro sovranazionale delle istanze e dei diritti dei lavoratori, mitigando quell’avversione al sociale che caratterizza imprese e gruppi societari”.



[6] La direttiva CAE si applica alle imprese di dimensione comunitaria (imprese dove siano impiegati complessivamente almeno 1000 lavoratori negli Stati membri nonché almeno 150 lavoratori per Stato membro in almeno due Stati membri) o gruppi di imprese di dimensioni comunitaria, costituiti da una società controllata e da una controllante, con almeno 1000 lavoratori negli Stati membri o con almeno 2 imprese del gruppo, aventi ciascuna una forza lavoro pari a o maggiore di 150 unità, situate in Stati membri diversi [art. 2, c. 1, lett. a) e c)].



[7] Sull’istituzione dei Cae, si è recentemente pronunciata la Corte di Giustizia, in data 29.3.2001, con una sentenza particolarmente significativa (C-62/99), meglio nota come sentenza Bofrost: la Corte ha evidenziato il valore cogente della disciplina contenuta nella Dir. n. 45/1994: “l’impresa (…) è tenuta a comunicare agli organi interni di rappresentanza dei lavoratori qualsiasi informazione che verta sui rapporti di controllo e le relazioni di potere instauratesi all’interno del gruppo (…). È previsto inoltre l’obbligo, in capo a ciascuna società del gruppo, di trasferire agli organi di rappresentanza qualsiasi documento qualora risulti fondamentale e necessario per la conoscenza di dati e informazioni in merito alla possibilità di avviare le trattative per la costituzione di un comitato aziendale europeo o l’avvio di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori”.



[8] Il tema, del resto, è da tempo dibattuto in ambito comunitario: la prima proposta di direttiva, cd. “Vredeling”, per l’istituzione dei CAE è, infatti, del 1980.



[9] In dottrina (Ciucciovino S., op. cit., 1996, pag. 71) è stato notato che una collaborazione di questo tipo è riconducibile, nell’ambito dei principi generali del nostro ordinamento, ai canoni della “correttezza e buona fede che devono sempre governare le relazioni contrattuali”.



[10] Anche per questo, parte della dottrina (Ciucciovino S., op.. cit., 1996, pag. 72-73) ha rilevato come non venga, tuttavia,“riconosciuta una discrezionalità illimitata alle parti, poiché la direttiva si premura di indicare i diversi argomenti che devono formare oggetto di determinazione convenzionale” ed in tal modo finisce per esercitare un “controllo preventivo indiretto sull’esito del negoziato” tra la direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazione.



[11] L’art. 10 dal D.Lgs n. 74/2002, recependo quanto previsto all’art. 7 della direttiva n. 45/1994, stabilisce che le prescrizioni accessorie si applichino qualora la direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazione decidano in tal senso, ovvero qualora la direzione centrale rifiuti l’apertura di negoziati in un periodo di sei mesi a decorrere dalla pertinente richiesta, ovvero qualora, entro tre anni dalla medesima richiesta di negoziazione, le parti non siano in grado di stipulare un accordo o la delegazione speciale di negoziazione non abbia preso, con almeno i due terzi dei voti, la decisione di non avviare i negoziati con la direzione centrale o di annullare quelli già in corso.



[12] A tal proposito, si veda Biagi M., “Comitati aziendali europei: un modello”, in Contratti e contrattazione collettiva, 2002, n. 2, pag. 3 e Ricciardi A., “Informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese di dimensioni comunitarie”, in Diritto e pratica del lavoro, 2002, n. 20, pag. 1336.



[13] Nella Dir. n.86/2001, in modo più completo rispetto alla Dir. n.45/1994, viene esplicitato l’accezione comunitaria dei diritti di informazione [l’informazione dell’organo di rappresentanza dei lavoratori e/o dei rappresentanti dei lavoratori, da parte dell’organo competente della SE, sui problemi che riguardano la stessa SE e qualsiasi affiliata o dipendenza della medesima situata in un altro Stato membro (…)], e di consultazione (l’apertura di un dialogo e d’uno scambio di opinioni tra l’organo di rappresentanza dei lavoratori e/o i rappresentanti dei lavoratori e l’organo competente della SE, con tempi, modalità e contenuti che consentano ai rappresentanti dei lavoratori, sulla base delle informazioni da essi ricevute, di esprimere – circa le misure previste dall’organo competente – un parere di cui si può tener conto nel processo decisionale all’interno della SE).



[14] Proprio con riferimento all’introduzione delle norme sul coinvolgimento dei lavoratori nelle attività della Società Europea, la dottrina, fermi i contenuti del diritto di informazione e di consultazione previsti all’art. 2, lett. i) e j), ha evidenziato la circolarità virtuosa del confronto tra direzione centrale dell’impresa e l’organo di rappresentanza dei lavoratori: l’informazione, infatti, precedendo il momento della consultazione, consente che in quest’ultimo si apra, in modo qualificato, “un dialogo e uno scambio di opinioni, con tempi, modalità e contenuti che consentano ai rappresentanti dei lavoratori, sulla base delle informazioni da essi ricevuti, di esprimere – circa le misure previste dall’organo competente – un parere di cui si possa tener conto nel processo decisionale all’interno della SE”, un parere certo non obbligatorio, ma che l’organo competente dovrà esaminare con attenzione. (Si veda, a tal riguardo, Gottardi D., Relazioni sindacali e società europea: la disciplina comunitaria, in Guida al lavoro, 2001, 47, p. 15).



[15] Nella direttiva n. 86/2001 si disciplina, per la prima volta, anche il ruolo delle organizzazioni dei lavoratori che, come attori-esperti, sono chiamate ad intervenire nel processo di costituzione della delegazione speciale di negoziazione e, attraverso la propria esperienza nelle attività di negoziazione e di rivendicazione, assistere il gruppo speciale di negoziazione durante il confronto con la sede centrale dell’impresa. Al di là delle specifiche disposizioni normative, costituisce, tuttavia, un dato di fatto indiscusso che, anche con riferimento all’applicazione della Dir. n. 45/1994 ed alla costituzione dei CAE, le confederazioni sindacali, nazionali ed europee, abbiano esercitato, seppur informalmente, un importante ruolo promozionale ed ausiliare rispetto alla regolamentazione delle modalità di esercizio dei diritti di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori: buona parte degli accordi volontari per la costituzione dei CAE, inoltre, sono stati sottoscritti anche dalle organizzazioni sindacali (CNEL, Rapporto su Contrattazione, retribuzioni e costo del lavoro in Italia 2000-2001, documento n. 23, Roma, 2002, p. 71).



[16] Biagi M., La direttiva CAE dopo…, op. cit., p. 10. Tuttavia, va aggiunto che, al fine di mitigare la perentorietà ed il rigore di questa previsione ed ottenere in tal modo l’approvazione di alcuni Stati membri che in sede di Consiglio Europeo osteggiavano l’approvazione della richiamata direttiva del 2001, è stata prevista la clausola denominata “opting out” che legittima il recepimento della direttiva, seppur in termini derogatori rispetto alle previsioni sui diritti di partecipazione dei lavoratori.



[17] Il Parlamento italiano, con la legge comunitaria 2002, la n. 14/2003, ha delegato il Governo al recepimento della direttiva appena citata entro il termine del 23.3.2005.



[18] In relazione a questa direttiva, può essere segnalata la puntuale analisi condotta da Tartaglione L. nel suo articolo, “Il coinvolgimento dei lavoratori nella futura società cooperativa europea”, in Guida al lavoro, 2003, n. 37, pagg. 14-19.



[19] Si segnala che sui temi in esame l’IRES ha recentemente presentato una ricerca “Globalizzazione e relazioni industriali” (a cura di Fausta Guarriello e Salvo Leonardi), svolta con il sostegno della Commissione europea (Direzione Generale Occupazione e Affari Sociali) ed in partenariato con Cgil, Cisl e Uil. La ricerca appare particolarmente ricca e puntuale, con studi di caso particolarmente approfonditi su alcune delle realtà imprenditoriali più importanti in Italia.



[20] Secondo quanto emerso dal “Rapporto su Contrattazione, retribuzioni e costo del lavoro in Italia 2000-2001”, CNEL, Documento n. 23, 2002, Roma, p. 66.



[21] Si segnala, infine, che la Confederazione europea dei sindacati (CES) ha realizzato un progetto per l’apertura di uno sportello, denominato Infopoint, per il sostegno ed il supporto, sia in fase di costituzione che di effettiva attività, dei comitati aziendali europei.  

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