La morte di Gino Giugni mi lascia sconfortato. L’età avanzata e la lunga malattia, che rendevano possibile la sua scomparsa, non attenuano il senso di vuoto umano ed intellettuale che la sua presenza, pur da qualche tempo ormai silenziosa, riempiva. Era come se la sua esistenza rappresentasse una garanzia, una polizza di assicurazione, alla quale comunque poter ricorrere, di fronte ai rischi incombenti di una deriva culturale; un argine al crescente lassismo civico. Giugni, infatti, ha rappresentato, per molti di noi che non solo attingevamo ai suoi scritti, ma abbiamo avuto la fortuna di poterlo incontrare ed ascoltarlo, il senso del rigore. Nel suo caso la parola rigore non aveva niente di rigido, freddo, distante. Si trattava, al contrario, di un atteggiamento umano e mentale, aperto al dialogo, ma che finiva per rendere ineccepibile il suo pensiero, il suo discorso.
Quando il teorico, l’intellettuale, divenne ministro, questo rigore fu messo a dura prova, ma costitui la modalità’ che gli permetteva di analizzare tutto prima di scegliere, di decidere. E poiche’ spesso in politica le decisioni che si debbono prendere hanno margini di aleatorieta’, di provvisorieta’, di opinabilita’, che mal si addicono alla nettezza e alla inconfutabilita’ dello scienza (perché quella di Gino era propriamente scienza!), era interessante – e rappresenta un aspetto da approfondire nella ricostruzione doverosa non solo del pensiero, ma anche della persona, della figura di Gino Giugni – assistere all’itinerario umano ed emotivo, non solo mentale, che portava il professor Giugni a trasformarsi nel politico Giugni.
A me è capitato, per un periodo, di frequentare sia il Professore che il Ministro. Ma è soprattutto negli incontri veneziani, a chiacchierare nella hall del suo albergo, fuori da ogni ruolo ed ufficialità, che ho conosciuto quel tratto che poteva rendere coerenti le due facce dello studioso e del politico.
Nelle difficoltà e le opportunità, nelle contraddizioni della Storia di questo nostro Paese, dal miracolo economico all’autunno caldo, al terrorismo brigatista, di cui fu vittima, alla grande ed ancora incompiuta trasformazione economica e sociale, noi che eravamo impegnati direttamente sul fronte, abbiamo avuto in Gino Giugni un riferimento e una guida. Come tutte le vere guide ed i veri innovatori, indicava la strada. Toccava poi ai viandanti della Storia sociale gestire il cammino, cadere e rialzarsi. Ma, e qui sta la originalità e la coerenza, il prof. Gino Giugni, scienziato sociale di spessore internazionale, capo scuola del diritto del lavoro, Ministro, parlamentare, fino a che ha potuto è rimasto anche lui per strada: a camminare, cadere e rialzarsi.
In questi tempi di faticosa ricerca di identità’ progressiste, di crisi della socialdemocrazia, di urgente bisogno di innovazione, di fragilità’ dei legami, ma anche di una straordinaria domanda di futuro non ancora del tutto intercettata e riconosciuta, Gino Giugni ci lascia in eredità il tratto più’ caratteristico della sua opera di studioso e di politico: il riformismo.
6/10/2009