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Home - Approfondimenti - Analisi - Il rinnovo del contratto nazionale

Il rinnovo del contratto nazionale

28 Luglio 2004
in Analisi

di Manuela Galetto -dottorato in Scienze del Lavoro, Università degli Studi di Milano

La trattativa e gli attori sociali


 

Il rinnovo del commercio si inserisce a pieno titolo in una non facile stagione contrattuale, tanto che, per alcuni, l’ipotesi d’accordo raggiunta il 2 luglio, è già simbolo di come non vuole essere un accordo. Durante i preparativi della piattaforma per settembre, infatti, gli autoferrotranvieri hanno tenuto a precisare che “..non ci sarà un altro contratto commercio per gli autoferro!”. A scadenza più o meno regolare la notizia della firma di pre-contratti in aziende metalmeccaniche ci ricorda che la Fiom ha rifiutato di firmare il rinnovo del Ccnl sulla base, oltre che di aumenti ritenuti inadeguati, anche per la mancata applicazione di norme restrittive della legge 30. A tal proposito, vedremo che il rinnovo del contratto del commercio porta con sé alcuni elementi critici in parte legati all’andamento della trattativa, e in parte dovuti ai contenuti e all’estensione di misure di flessibilità del lavoro.


Circa un milione e mezzo di lavoratori delle grandi catene di distribuzione, oltre che dei piccoli negozi, dipendenti delle attività di terziario e servizi hanno avuto il rinnovo del proprio contratto di settore, e si è così conclusa un’estenuante attesa. L’accordo, infatti, è stato siglato con un anno e mezzo di ritardo e, soltanto negli ultimi dieci giorni, la trattativa ha subito ben due significative interruzioni.


A metà giugno si profilava la possibilità di un altro accordo separato, dopo che la Filcams Cgil aveva rifiutato di prendere in considerazione la proposta di semplificare l’articolazione contrattuale in due bienni economici – la proposta da parte datoriale era quella di rinnovare in una sola tornata anche il successivo biennio economico del commercio, in scadenza tra pochi mesi, con conseguenti riduzioni degli aumenti salariali e perdite nel recupero dell’inflazione. La mancata modifica del sistema contrattuale ha risolto la questione e ha reso possibile la ripresa delle negoziazioni.


Una successiva interruzione, poco prima della firma dell’accordo, era stata dettata da reticenze, per alcuni inaspettate, di Confcommercio sollevate, in particolare, dai rappresentanti della grande distribuzione che trovavano troppo oneroso il compromesso fino a quel momento raggiunto e chiedevano maggiore flessibilità nel ricorso a forme di contratti flessibili. Anche in questo caso le incomprensioni sono state poi mediate e l’accordo è stato raggiunto con concessioni importanti in termini di flessibilità da parte dei sindacati.


 


I motivi della difficoltà della trattativa gettano luce su che cosa significa, in questo periodo, “rinnovare” un contratto nazionale di lavoro. Gli incontri tra le parti e le loro dinamiche di scambio e interlocuzione, in particolare nel caso del commercio, riportano in primo piano, con forza, questioni irrisolte relative ai complessi piani di relazioni che entrano in gioco nella negoziazione. Si può qui provare a trarre alcune considerazioni sui rapporti tra base e sindacato, tra delegati e federazione, tra i diversi sindacati firmatari e non e, infine, tra governo e parti sociali.


Partendo dalla prima tipologia di relazione, tra base e sindacato, non si può ignorare il fatto che all’indomani della firma del rinnovo, i lavoratori di alcune aziende del settore (all’Ikea di Corsico, per fare un esempio) si siano trovati fuori dai cancelli increduli e indecisi sulla posizione da prendere, in altre numerose aziende (Esselunga e HP, per esempio) nello stesso momento si organizzavano assemblee fuori programma per discutere dei contenuti dell’accordo ormai firmato. Da un lato, certo, si erano finalmente concluse le difficili trattative, dall’altro, verosimilmente, i delegati sindacali speravano di raggiungere risultati più maturi senza dover pagare così tanto in termini di flessibilità – come vedremo, uno dei punti caratterizzanti del rinnovo è che la quota di contratti a tempo determinato rispetto al totale dei dipendenti non è soggetta a limitazioni nel primo anno di avvio di un nuovo esercizio commerciale, mentre per il successivo dipenderà dalla contrattazione aziendale; il contratto di apprendistato, allargata la fascia di età dei potenziali destinatari, avrà durata maggiore (fino a 48 mesi) rispetto a quanto previsto precedentemente.


Si è così creata una situazione confusa riguardo lo sciopero indetto proprio per il giorno successivo alla firma del rinnovo. L’impegno profuso da parte dei delegati per una mobilitazione ben organizzata è passato in secondo piano rispetto al raggiungimento dell’accordo.


Tornando al secondo piano di rapporti, tra delegati e confederazione, sia datoriali che sindacali, in questa trattativa si è resa evidente, ancora una volta, la necessità improrogabile di regolare rappresentatività, competenze e mandato. L’impressione era che i delegati sindacali non avevano una percezione chiara e trasparente di come si stava svolgendo la negoziazione. I principi programmatici della Cgil sono diversi rispetto a quanto ha sottoscritto la Filcams in quest’ultimo caso, così come, a loro volta, l’ultima rottura da parte di Confcommercio ha sottolineato che i rappresentanti della grande distribuzione non intendono rinunciare ai benefici offerti dalla legge 30 nella regolazione del lavoro. I sindacati di base, tradizionalmente meno “accomodanti” in queste occasioni, hanno indetto uno sciopero per il 16 luglio per protestare contro la firma da parte dei sindacati confederali di un accordo non condiviso.


Quest’ultima considerazione ci porta a guardare da vicino i rapporti tra i diversi sindacati, tra i quali nell’ultimo anno ci sono state frequenti  occasioni di divergenza. L’abbiamo visto con l’accordo separato dei metalmeccanici, nelle lotte “metropolitane” dei trasporti pubblici così come quando, durante le trattative del commercio, la Filcams ha preso le distanze dalle altre sigle sindacali denunciandole di voler stravolgere il sistema contrattuale includendo nel rinnovo normativo in corso anche il secondo biennio economico (quest’ultimo in scadenza tra pochi mesi): tutto questo non si può non tradurre nel riconoscimento di una pressante necessità di una legge sulla rappresentanza, questione da tempo dibattuta e su cui molti studiosi, sindacalisti, esperti e “addetti ai lavori”, si interrogano[1].


 


Per concludere, il clima già torrido dei primi giorni di luglio sembrava addirittura essersi infuocato dopo le dichiarazioni del ministro del Lavoro, Maroni. Il suo è stato un intervento esplicitamente rivolto alle trattative del rinnovo del commercio in difesa della legge 30 come strumento indispensabile di flessibilità. In realtà, di flessibilità il settore del commercio e dei servizi ne sperimenta già molta e da molto tempo[2]. È nella grande distribuzione che si è sperimentato precocemente il part time domenicale, il job sharing, ed è sempre in questo settore che si registrano tassi di turn over spesso molto alti, elemento che accomuna il settore del commercio, e della grande distribuzione in molti paesi.


Circa l’irrinunciabile applicazione della legge 30 Mario Tiraboschi, in un articolo sul Sole 24 Ore,  ha messo in luce i vantaggi della regolazione collettiva di misure di flessibilizzazione rispetto alla contrattazione individuale, rischio in cui il singolo lavoratore potrebbe imbattersi se le parti sociali nel confronto a livello nazionale non arrivano a decidere convenientemente. Considerazione condivisibile, se non fosse per le oggettive difficoltà nel trovare un punto di incontro, considerata la forte disparità di potere contrattuale nel confronto qui in analisi.


 


Novità di questo rinnovo contrattuale


 


Tornando ai controversi contenuti dell’accordo, vediamo di delineare le linee principali su cui si snoda il rinnovo, quali sono le novità che aziende e lavoratori si trovano ad affrontare.


Quasi automaticamente, le notizie su un rinnovo di Ccnl di settore riportano per prima cosa l’ammontare degli aumenti, identificando generalmente una cifra che, facilitando il confronto con altri settori, è comprensiva di tutto il piano di aumenti. Nel caso del commercio si parla di 125 Euro, cifra che comprende i tre scaglioni in cui viene distribuito l’aumento. In questo caso 35 Euro saranno già presenti nella prossima busta paga dei lavoratori del commercio, ce ne saranno altri 37 a partire da quella di Dicembre, poi altri 23 dal prossimo anno e infine, a dicembre del 2006 arriveranno gli ultimi 30 euro aggiuntivi. Se normalmente l’aumento entra a regime nel giro di un biennio, nel caso del contratto in analisi, come abbiamo visto, è quadriennalizzato. La parte economica comprende, infatti, anche l’una tantum di 400 Euro (250 adesso e 150 a gennaio) che compensano la vacanza contrattuale di circa 18 mesi.


Tra qualche mese, è il caso di ricordare, scade la parte economica del Ccnl del commercio. L’ipotesi di contratto prevede una “verifica” a marzo del 2005, elemento che è stato oggetto di dibattito tra i vari livelli di confronto (le OO.SS. in un primo momento chiedevano un aumento di 137 euro in due scaglioni da 89 e 48, un’una tantum di 350 Euro e insistevano, appunto, sulla “verifica” a marzo dell’anno prossimo sull’andamento dell’inflazione). Nella parte finale del testo del contratto relativa a “Decorrenza e durata” si legge che “entro il 31 marzo 2005, si procederà alla verifica dell’andamento dell’inflazione reale registrato per l’anno 2004. In caso di scostamento superiore allo 0,25% rispetto all’indice d’inflazione tendenziale sopra indicato (2%) sarà convocato un apposito incontro al fine di individuare i correttivi da apportare a quanto definito dal presente contratto con riferimento al secondo biennio di contrattazione (2005-2006)”.


 


La parte normativa si è resa, di recente, altrettanto delicata ed interessante nei suoi effetti e, come abbiamo in parte già visto nel caso del commercio, frequente motivo di scontro tra le parti trattanti.


Di particolare rilevanza risultano le quote stabilite a livello nazionale per i contratti flessibili rispetto al totale della forza lavoro impiegata. Nel rinnovare il contratto, le parti hanno infatti stabilito che i contratti cosiddetti atipici – comprendenti quindi contratti a tempo determinato e somministrazione di manodopera (interinali secondo la denominazione pre-legge 30) – potranno arrivare a costituire al massimo il 28% dell’organico in forza per unità produttiva, prima era il 23%.


La novità più importante sulla questione flessibilità, tuttavia, è rappresentata dalla decisione di non porre alcun tetto ai contratti a tempo determinato e somministrazione nel primo anno di avvio di nuovi esercizi, mentre per il secondo anno di attività le eventuali quote dovranno essere stabilite dalle Rsu. Questo ha suscitato perplessità nel mondo del lavoro, il commercio sarà il primo settore a sperimentare, anche se limitatamente ai primi anni di attività, una flessibilità senza vincoli nella gestione e organizzazione della forza lavoro. È prematuro fare previsioni su quali potrebbero essere gli effetti sui luoghi di lavoro interessati da questa novità, certo è che la dubbiosità espressa da alcuni delegati sindacali può essere interpretata come il risultato di uno sfondamento simbolico operato dall’eliminazione del tetto di flessibilità.


 


Degna di particolare approfondimento è la parte relativa all’apprendistato, che accoglie alcune delle novità introdotte dalla legge 30. Al titolo V del testo dell’accordo vengono prima riportate le tipologie esistenti di apprendistato, in generale caratterizzato dal legame dell’attività lavorativa con un contenuto anche formativo. Nel contratto del commercio, tuttavia, si prevede soprattutto il ricorso all’apprendistato professionalizzante, con l’obiettivo di “consentire lo sviluppo di concrete opportunità occupazionali”.


Dato il diritto-dovere della componente formativa vengono escluse da tale istituto, a scanso di equivoci, alcune mansioni specifiche come lavori di archivio e scrittura. Si passa quindi a definirne le restrizioni nell’applicabilità, sottolineando che, in tema di proporzione numerica, “il numero di apprendisti che l’imprenditore ha facoltà di occupare nella propria azienda non può superare il 100% dei lavoratori specializzati e qualificati in servizio presso l’azienda stessa”. I limiti di età sono compresi tra i 18 e i 29 anni, e il contratto può avere durata massima di 48 mesi (prima era 36). La quota di trasformazioni in assunzioni diventa il 70% (rispetto al 60% del precedente Ccnl di settore), clausola che vincola eventuale ricorso ad ulteriori nuovi contratti in apprendistato. Un miglioramento, va ricordato, riguarda il trattamento per malattia che passa da 3 a 6 casi in un anno retribuiti al 60%. Per quanto riguarda, invece, trattamento normativo ed economico, l’apprendista sarà inquadrato a 2 livelli inferiori a quello in cui è inquadrata la mansione professionale per cui è svolto l’apprendistato durante la prima metà del periodo di apprendistato, mentre passa ad un solo livello inferiore per la seconda metà del periodo di apprendistato. Mentre alla fine il livello di inquadramento sarà quello corrispondente alla qualifica eventualmente conseguita. Su quest’ultima accezione va evidenziata la distinzione rispetto al contratto di inserimento: quest’ultimo, infatti, può prevedere l’inquadramento due livelli sotto la qualifica normale, e un livello inferiore quando si tratta di re-inserimento. Vale la pena ricordare che nell’istituto contrattuale di inserimento si è stabilito che in caso di assunzioni part time, l’orario non potrà essere inferiore al 50%, stabilendo inoltre la garanzia di conferme al 60%.


 


Le clausole flessibili ed elastiche dei contratti a tempo parziale vengono modificate con l’obiettivo di accrescere la flessibilità di tale istituto. Viene semplificato il ricorso al lavoro straordinario e la possibilità di concordare rapidamente aumenti della prestazione lavorativa, sia verticale che orizzontale.


Effetti positivi per l’attività sindacale derivano invece dal computo del lavoratore part time come unità intera, e non più proporzionalmente all’orario lavorato come avveniva prima nelle operazioni di headcounting (la conta delle teste) dell’ufficio risorse umane dell’azienda.


Infine, la richiesta di part time per le mamme di bambini fino al terzo anno di età dovranno essere accolte per un minimo del 3%, percentuale non altissima se si considera l’altra presenza di forza lavoro femminile che caratterizza il settore e gli incoraggiamenti, anche a livello europeo, a favorire misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.


Il resto del contratto comprende temi abbastanza comuni tra i rinnovi degli ultimi tempi: si parla di codice di condotta contro il fenomeno del mobbing, di incoraggiamento di misure che favoriscano le pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori, formazione e assistenza sanitaria aggiuntiva, demandando di volta in volta il monitoraggio dell’andamento di tali istituti agli enti bilaterali preposti. Di crescente importanza saranno anche gli aumenti dei fondi di previdenza complementare, nel 1996 il settore ne ha istituito uno chiamato Fonte ed è destinato a tutti i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato del settore. La questione su come potrà essere colmato il gap per i lavoratori a tempo determinato sembra non essere ancora ben conosciuta – se non dai più competenti addetti ai lavori ed esperti previdenzialisti- e richiede che sia fatta prima chiarezza sulla sua obbligatorietà o meno. Tuttavia non è questa la sede per approfondire il tema, seppur di così urgente interesse.


Va ricordato che il contratto qui analizzato è stato poi sottoscritto, in due momenti diversi, anche da Confesercenti e dalle associazioni che rappresentano i circa 60.000 dipendenti della distribuzione cooperativa. In quest’ultimo caso, è bene evidenziare, la percentuale di garanzie di conferme per i contratti di inserimento è pari al 75%, anziché 60% come descritto sopra per l’accordo con Confcommercio, e si trova inoltre una dichiarazione di responsabilità sociale d’impresa.


 


Conclusioni


 


Nell’opinione di chi scrive, l’importanza di una regolazione collettiva rimane una priorità irrinunciabile nella gestione della flessibilità e delle nuove forme di lavoro, rispetto alla regolazione individuale. Le interpretazioni di autorevoli esperti[3] su come il sindacato possa garantirsi un ruolo nella gestione delle nuove forme di lavoro sono utili per creare un orientamento teorico e per favorire intuizioni brillanti anche attraverso il metodo comparato con altri paesi. D’altra parte, però, è l’esperienza diretta sul campo del lavoro e della sua regolazione che deve progredire insieme ai cambiamenti veloci della società secondo principi chiari. Questo può essere facilitato da una partecipazione vera degli attori coinvolti, di cui abbiamo visto all’inizio i complessi rapporti, e dalla valorizzazione della loro funzione sociale.


In questi giorni si è riacceso il dibattito sull’importanza dei diversi livelli di contrattazione, le posizioni si polarizzano in chi vorrebbe una regolazione centrale alleggerita a favore di una contrattazione di secondo livello più forte, e chi invece ritiene irrinunciabile una guida centralizzata. Ritengo che il livello centrale detenga una funzione chiave nel coordinare i settori economici su cui si basa la crescita del nostro paese, in quest’ottica la contrattazione collettiva a livello nazionale diventa un bene, appunto, collettivo. Tale principio è stato ribadito anche nella premessa generale del testo in analisi, e non va letto con superficialità.


Le dichiarazioni soddisfatte dei rappresentanti che hanno partecipato direttamente alla trattativa per il rinnovo del commercio potrebbero far intuire una strategia di monitoraggio e vigilanza sulle novità. Se così fosse, la funzione rassicurante di tali dichiarazioni potrebbe alleviare l’iniziale senso di malcontento registrato da alcuni diretti interessati del settore, causato in buona parte dallo sfondamento simbolico operato dal nuovo contratto con la cancellazione delle percentuali di contratti a termine, anche se legata soltanto al caso specifico dell’avvio di una nuova attività.


Il livello di crescita del settore, combinato al controllo della gestione del lavoro, sarà cruciale anche nella definizione dei rinnovi che aspettano di essere negoziati in autunno. La responsabilità, quindi, di questo contratto e della gestione dei suoi diversi possibili effetti è particolarmente ingente.


 


 






[1]  Particolarmente interessante, a questo proposito, l’articolo di Gian Primo Cella su “La pluralità delle rappresentanze sindacali e la sua regolazione”, settembre 2003, sito del Diario del Lavoro



[2]  Chiesi, A.M. (1989), Sincronismi sociali, Bologna, Il Mulino – in particolare Capitolo 3 “Il sistema degli orari nella distribuzione commerciale”



[3]  Tra gli altri, Regini, M., I mutamenti nella regolazione del lavoro e il resistibile declino dei sindacati europei, in Stato e Mercato, 2003, n. 67; e Regalia, I., Rappresentanza del lavoro e cittadinanza sociale. Riflessioni per un mutamento desiderabile, in Sociologia del Lavoro, n. 80/2000 “Lavoro e nuova cittadinanza. Cittadinanza e nuovi lavoratori”, Franco Angeli

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