di Vincenzo Scudiere – segretario generale Cgil Piemonte
In una fase in cui le politiche di governo non aiutano, può risultare un esercizio di pura immaginazione parlare di riforma della contrattazione. Eppure, tutti i fattori consiglierebbero degli approfondimenti, pur in assenza di una politica redistributiva, con una politica fiscale a favore dei pochi che hanno tanto, una politica dei redditi che è solo un lontano ricordo, l’incapacità di governare prezzi e tariffe, in un quadro economico che risulta essere il più a rischio a memoria d’uomo. La crisi industriale imperversa nelle realtà che fino a qualche anno fa erano considerate il motore dell’economia, in Piemonte è il 14° trimestre che si registra un calo consistente della produzione industriale.
Eppure, i processi di globalizzazione, l’Europa, le più importanti trasformazioni che hanno attraversato il Paese richiederebbero una rivisitazione delle regole che hanno presieduto finora al modello contrattuale. Per far questo ci sarebbe bisogno di una situazione diversa, di un clima di fiducia e, soprattutto, di un quadro politico, economico, sociale che rovesciasse in positivo i profondi elementi negativi di cui tutti siamo testimoni.
Per questo, convinto che in questa fase è importante mantenere il sistema di regole finora esistenti, almeno fino alla conclusione di importanti rinnovi contrattuali, voglio limitare le mie riflessioni su tre questioni centrali che possono riguardare il futuro del sistema contrattuale. Posto che, appunto, non è ininfluente il quadro generale e il peso che nel contesto economico e sociale ha la scelta e la presenza di una politica di tutti i redditi, sono convinto che la questione dei livelli di contrattazione, con un po’ di buona volontà e fantasia, possa essere affrontata facendo tesoro delle esperienze. In questo contesto, almeno per quanto mi riguarda, partendo dall’opzione della salvaguardia del carattere confederale e contrattuale del sindacato e del ruolo fondamentale dei lavoratori nel controllo dei processi di produzione, credo che il contratto nazionale deve conservare il ruolo di strumento unificante sia dei minimi contrattuali, sia sul versante della normativa essenziale alla tutela e alla definizione delle condizioni di lavoro e dei diritti.
La contrattazione aziendale è uno strumento fondamentale per costruire un rapporto positivo tra lavoratore e impresa e, contemporaneamente, per l’esercizio del controllo e del miglioramento delle condizioni lavorative. Quella territoriale, infine, può assumere valenza per le situazioni lavorative di settori in cui contrattare in azienda non risulta possibile, come gli artigiani ed altre figure frantumate del mondo del lavoro.
Ho provato a descrivere una opinione condivisa da gran parte della Cgil non per ripetere stancamente una posizione ma perché, in tutta franchezza, non riesco ad immaginare risposte più equilibrate in un quadro che voglia puntare a salvaguardare tutele e diritti. Ovviamente non trascuro l’esigenza di superare, nel sistema attuale, tutte quelle forme di accavallamento tra i vari livelli che pure sono state spesso di ostacolo per i rinnovi contrattuali. Ma, riconosciuto questo, non riesco ad immaginare un sistema diverso da quello che per una lunga fase abbiamo sperimentato e applicato al meglio ed ha la sua origine nell’accordo del 1993.
Non è semplicemente tattico il rinvio della discussione e del confronto, è importante che Cgil, Cisl e Uil, partendo dalle posizioni di ciascuno, ricerchino una risposta e una proposta comune da confrontare con il sistema delle imprese. Spero che, a quel punto, il quadro generale sarà più chiaro, perché in assenza di regole generali condivise anche il modello contrattuale rischia di essere figlio esclusivamente di un esercizio dei rapporti di forza, ed il Paese, nelle condizioni in cui versa, non ne ha proprio bisogno. E, come sempre, per evitarlo è necessario un grande compromesso, in cui le ragioni del lavoro siano considerate pari a quelle delle imprese.
Si ritorna quindi alla condizione di partenza: senza una politica di tutti i redditi, qualsiasi modello risulterebbe parziale e fortemente limitativo degli obiettivi di un sindacato confederale, che mentre esercita il dovere della tutela dei propri rappresentati esercita al tempostesso la responsabilità dell’interesse generale.



























