Dopo quattro anni e un paio di mesi, la trattativa tra Confindustria e sindacati sul sistema contrattuale è finalmente arrivata a un punto di verità. Confindustria ha consegnato ai rappresentanti dei lavoratori una proposta precisa di un nuovo sistema di contrattazione, definita nei suoi singoli aspetti, coordinata nelle diverse parti. Spetta adesso al sindacato dare la propria risposta, dire qual sì o quel no che possono cambiare il tratto delle relazioni industriali. Che comunque da adesso in poi non saranno più le stesse. Perché se dal sindacato arriva un sì, sarà un nuovo sistema di contrattare, ma se arriva un no allo stesso modo gli equilibri non saranno più gli stessi, qualsiasi cosa accada.
La proposta di Confindustria non presenta elementi di novità rispetto a quanto è già stato detto in queste settimane. Si descrive un sistema duale, con contratti sia nazionali che di secondo livello: i primi tesi a mantenere il potere di acquisto delle retribuzioni, meno una parte dell’inflazione importata, gli altri a distribuire quel po’ di produttività che si può realizzare nelle sin gole realtà produttive.
Il primo scoglio è tutto in quel po’ di inflazione che non si recupera. La Cgil non ha fatto mistero della sua volontà di mantenere integro il recupero dell’inflazione, come aveva previsto l’accordo del 1993. Una pretesa che però cozza contro la necessità di non alimentare l’inflazione, dividendo i sacrifici che ci impone il sistema economico internazionale. Se aumenta il prezzo delle materie prime o del petrolio, senza che ciò sia in qualche modo attribuibile al soggetto imprenditoriale, i salari non possono recuperare tutto quanto hanno perso. Dipende adesso dalla trattativa specificare quanto e cosa sia possibile recuperare e cosa invece no, ma il sacrificio va ripartito.
L’altro scoglio è invece quello della diffusione della contrattazione articolata. Perché se è giusto che, proprio perché il contratto collettivo non recupera tutta intera l’inflazione, sia il contratto di secondo livello ad accrescere le buste paga, dove questo è giustificato da un aumento della produttività. Ma è giusto che ciò avvenga davvero in tutte le aziende che vanno bene e non solo dove il sindacato è più forte e può imporre la contrattazione aziendale.
La soluzione il documento della Confindustria la ha preso a prestito dagli ultimi due contratti dei metalmeccanici, che hanno previsto un aumento salariale per tutti i lavoratori il cui salario è costituito solo dai minimi contrattuali nazionali. Da chi, quindi, non ha fatto contrattazione aziendale. Questo garantisce i lavoratori, mentre le aziende sarebbero più motivate a fare contrattazione aziendale dalla defiscalizzazione attuata dal governo sul salario accessorio, specie se l’intervento fosse reso permanente.
Proprio queste difficoltà fanno capire che l’accordo non è dietro l’angolo. Ma resta l’assoluta necessità di raggiungerlo, perché le alternative sarebbero comunque devastanti, sia che tutta la trattativa fallisse, e si arrivasse al Far West, senza regole e ordine, sia che si raggiungesse un accordo monco, senza la firma della Cgil. Cisl e Uil sono d’accordo, più o meno, sulle cose indicate da Confindustria, la Cgil manifesta difficoltà. Ma il riformismo è questo, affrontare i problemi quando si presentano. E nessuno può ignorare la continua, terribile perdita di competitività che affligge il nostro paese, anche e soprattutto per la stasi della produttività.
12 settembre 2008
Massimo Mascini
























