Il tesoretto (per ora ipotetico) da 1,6 miliardi di euro, scovato da Renzi nelle pieghe del bilancio? Diamolo ai poveri, anzi, ai poverissimi. Trasformiamolo in un reddito minuscolo, tecnicamente definito reddito minimo sociale. Quanto? Quanto basta per farlo arrivare almeno a 400 euro al mese. La proposta viene da un manifesto firmato da 33 diverse associazioni, impegnate nella lotta alla povertà: dalle Acli, alla Caritas, al Banco alimentare, al Forum terzo settore, ad Action Aid a Save the children.
La spinta viene dalla devastazione sociale che oltre sei anni di crisi e di austerità hanno creato, non solo in Italia, ma in buona parte d’Europa. Le statistiche europee parlano di un drammatico incremento del numero di bambini che vivono in famiglie in cui nessuno lavora: in Italia e in Spagna – pur meno colpite dalla crisi rispetto a Grecia e Portogallo – la percentuale di bambini in queste condizioni è più che raddoppiata, dal 5 al 12 per cento. E’ esploso il numero dei Neet, i giovani che non lavorano e non studiano: dal 16 al 25 per cento degli adulti sotto i 30 anni, sempre in Italia e Spagna. In generale, è drammaticamente cresciuto il numero di persone in condizioni di “severa deprivazione materiale”, nella definizione di Eurostat o, per dirla con l’Istat, chi non raggiunge “uno standard di vita minimamente accettabile”.
Cosa non è accettabile, oggi, nell’Europa del Duemila? Non siamo più ai tempi di Dickens: il problema non è morire, letteralmente, di fame. Soffre di “severa deprivazione materiale”, secondo Eurostat, chi non può raggiungere almeno quattro di nove standard: pagare in tempo affitto, rate, mutui, bollette; una settimana di vacanze lontano da casa; un pasto con proteine, almeno un giorno sì e uno no; affrontare spese inattese; un telefono (anche cellulare); una tv a colori; una lavatrice; un’auto; riscaldamento a casa. Per l’Europa, questa è la condizione minima di una vita decente. Fra il 2007 e il 2013, in Italia e in Spagna, le persone che non ci arrivano sono più che raddoppiate: dal 5 al 12 per cento della popolazione. In Italia siamo passati da 2,4 a oltre 6 milioni di poveri, circa un italiano su dieci.
Quelli che stanno sotto la soglia dei 400 euro sono, in realtà, di meno, anche se sempre tanti: circa il 6,5 per cento degli italiani, cioè, intorno ai 3 milioni di persone. Naturalmente, i 400 euro sono intesi per persona e si moltiplicano in caso di nuclei familiari più estesi. In sostanza, il meccanismo funziona così: se una persona in stato di “severa deprivazione materiale” riesce a mettere insieme solo 300 euro al mese, l’apposito fondo interviene per dargli i 100 euro che mancano per arrivare a 400. Se le persone sono due e guadagnano in tutto 600 euro, l’intervento cresce, anche se non arriva al doppio, perchè, in due, scattano dei risparmi. Il vantaggio, dicono i proponenti, rispetto alle proposte già presenti in Parlamento è che i destinatari non sono solo i disoccupati, ma i poveri in generale, cioè anche chi non è in condizioni di lavorare. Quanto costa questo tipo di intervento? Meno di quello che propone il Movimento 5 Stelle, che prende a riferimento non la povertà assoluta, ma quella relativa, ovvero la distanza dal reddito medio nazionale. Invece dei 17 miliardi dei grillini, dunque, il reddito minimo sociale costerebbe 7,1 miliardi l’anno. A regime, però. L’idea è quella di arrivarci nel giro di quattro anni. Per il primo anno, la spesa sarebbe di 1,8 miliardi di euro, più o meno quanto il tesoretto vantato da Renzi. Anche questo primo stanziamento, tuttavia, secondo le stime, consentirebbe subito di arrivare a sostenere il 40 per cento dei poverissimi, gli under-400, che costituiscono la platea potenziale del reddito minimo sociale.
Maurizio Ricci