Chi ricorda la scena del film “Miseria e nobiltà”? Il cappotto di Napoleone viene sopravvalutato, caricato di significati e promesse, ma alla fine resta sempre un cappotto.
Il nostro TFR, oggi al centro del dibattito previdenziale, sembra vivere la stessa sorte: lo carichiamo di aspettative spropositate, lo trasformiamo in strumento di pensionamento anticipato, in leva di politica economica, in sostegno alle imprese, persino in misura di finanza pubblica. Ma il TFR, ricordiamolo, è salario differito: resta pur sempre un cappotto, per quanto prezioso.
Un sistema a toppe
La previdenza italiana è diventata negli anni un sistema fatto di eccezioni e complicazioni: quote, scaloni, esodati, salvaguardie, Ape sociale, pensioni anticipate. Ogni stagione politica aggiunge una toppa, con l’illusione di risolvere nodi che invece sono strutturali.
Intanto, il mondo intorno è cambiato:
- Socialmente, con nuove abitudini familiari, percorsi di lavoro più frammentati e carriere meno lineari che hanno demolito uno dei pilastri dimenticati del welfare state nostrano: la famiglia.
- Demograficamente, con un invecchiamento senza precedenti e un rapporto attivi/pensionati sempre più fragile. E alla luce di ciò cambia il mondo del lavoro, senza che cambino regole e abitudini.
Mentre cambia la vita reale, noi continuiamo a rincorrere l’urgenza del momento, adattando l’impianto normativo esistente invece di ridisegnare l’intero sistema.
Il dibattito
Lo ricorda Alberto Brambilla, esperto di previdenza: per i lavori usuranti e le persone fragili esistono già strumenti specifici. Perché continuare a riproporre in loop il tema dell’anticipo pensionistico, quando l’Italia è il Paese europeo in cui si lavora meno in termini di ore e di anni? Lo dicono i numeri, non le impressioni politiche. Attenzione poi: ogni intervento proposto in favore di alcuni si è ribaltato a discapito di altri, peggiorando (si non migliorando) la c.d. legge Fornero o producendo nuovo debito.
Eppure il dibattito resta acceso:
- Il sottosegretario Durigon propone di utilizzare il TFR in Inps per uscire a 64 anni con 25 anni di contributi.
- Elsa Fornero avverte: è una “sceneggiata”, con il rischio di creare più debito e nuove crisi.
- Sergio Corbello (Assoprevidenza) denuncia un colpo ai fondi pensione, già deboli.
- Antonio Mastrapasqua propone di restituire il TFR in busta paga, lasciando al lavoratore la scelta.
- Mauro Maré suggerisce di spostare il focus su una tassazione più equa lungo il ciclo di vita, non sull’uscita anticipata.
La verità è che il TFR non può diventare il tappabuchi di ogni emergenza.
Proprio perché è salario differito, il legislatore ha previsto due possibili destinazioni:
- lasciarlo in azienda altrimenti al Fondo Tesoreria Inps (per le aziende sopra i 50 dipendenti);
- oppure investirlo in previdenza complementare.
Ed è questa l’unica vera strada di prospettiva.
Il TFR destinato ai fondi pensione rappresenta già una soluzione previdenziale sostenibile, che integra la pensione pubblica e rafforza il secondo pilastro. Una scelta che però deve essere:
- promossa e incentivata, affinché diventi la regola e non l’eccezione;
- protetta, evitando che venga annacquata con ipotesi surreali e di breve respiro (uscita anticipata, nuova contribuzione obbligatoria, busta paga senza vantaggi fiscali);
- disponibile, perché il lavoratore deve poter accedere al proprio TFR in caso di necessità, senza però snaturarne la funzione previdenziale ma senza che questo determini il peso della scelta irrevocabile.
Confondere le carte, alimentando scorciatoie, significa minare la fiducia e rallentare la crescita di uno strumento che potrebbe garantire davvero un futuro migliore alle nuove generazioni e che fatica a crescere, anche perché non si creano attorno le certezze opportune.
Se vogliamo essere seri, serve una scelta di fondo: ripensare l’intero welfare state, non limitarsi a nuove scorciatoie. La previdenza è un patto intergenerazionale: non possiamo inseguire solo le richieste dei sessantenni di oggi, rischiando di scaricare il peso sulle spalle dei trentenni e dei quarantenni di domani.
Per questo continuiamo a proporre una visione di lungo periodo: sostenibilità, equità e valorizzazione delle competenze. Senza illusioni sul “cappotto”, ma con la consapevolezza che il vero lavoro è ricostruire un sistema capace di reggere al cambiamento demografico, sociale ed economico. Prima che sia troppo tardi.


























