Nel 2023 gli indicatori di benessere soggettivo in Italia “risultano stabili o in leggero miglioramento rispetto ai valori del 2022. Sono stati recuperati i livelli raggiunti nel 2019, prima dell`emergenza pandemica, a seguito della quale si era registrato un evidente e motivato declino. La percentuale di persone che valutano tra 8 e 10 la loro soddisfazione per la vita nel complesso raggiunge nell`ultimo anno il valore più alto di sempre (46,6%), in crescita di oltre 3 punti rispetto al 2019 (43,2%)”. Lo si legge nel rapporto BES 2023 dell’Istat, presentato questa mattina a Roma, che fornisce annualmente un quadro complessivo del benessere, analizzandone lo sviluppo per fornire informazioni utili ad una più completa visione delle condizioni della società italiana.
Complessivamente per il 2023 si delinea un miglioramento in poco più della metà dei 129 indicatori per cui è possibile il confronto con l`anno precedente, il 28,7% degli indicatori è su livelli peggiori e il 17,8% risulta stabile. Una quota analoga o maggiore di indicatori in miglioramento si ritrova in quasi tutti i domini con l`eccezione di Ambiente (4 indicatori su 16) e Sicurezza (2 su 7).
Il giudizio sulle prospettive future, prosegue l’Istituto di statistica, è in lieve miglioramento rispetto al 2022. La percentuale di coloro che pensano che la loro vita possa migliorare nei prossimi cinque anni (30,3%) torna ai livelli del 2019, sebbene resti inferiore alla proporzione del 2021 (31,9%), quando le aspettative di una positiva evoluzione della crisi sanitaria avevano indotto le persone a esprimere un atteggiamento di maggiore ottimismo verso il futuro. All`opposto, la percentuale di chi ritiene che la propria vita possa peggiorare (12,1%) diminuisce rispetto al 2022, ma è comunque di quasi 2 punti al di sopra di quella minima raggiunta nel 2021.
Tuttavia si rilevano luci e ombre. Riguardo gli indici sulla povertà assoluta in Italia, si rileva una crescita dell`incidenza individuale a partire dal 7,6% del 2019″: nel 2023, “secondo le stime preliminari, l`incidenza individuale rimane sostanzialmente stabile rispetto all`anno precedente” al 9,8%.
Il dato, spiega il dossier, “era in flessione rispetto al 2018 per effetto, in larga parte, dell`introduzione del Reddito di cittadinanza di cui a partire dal secondo trimestre del 2019 avevano beneficiato circa un milione di famiglie. Nel 2020 l`incidenza individuale della povertà assoluta balza al 9,1%, mantenendosi stabile nel 2021. Oltre che dalla crisi economica, la dinamica del biennio pandemico è stata influenzata dalle misure restrittive che hanno inciso sul calo dei consumi e sui comportamenti di spesa delle famiglie nei mesi più difficili della pandemia. Nel 2022 l`incidenza torna a crescere arrivando al 9,7%, in larga misura a causa della forte accelerazione dell`inflazione che ha colpito in maniera più dura le famiglie meno abbienti. Le spese di queste ultime non sono riuscite, infatti, a tenere il passo con l`aumento dei prezzi, incluso quello dei beni e servizi essenziali considerati nel paniere della povertà assoluta”.
Nel confronto con l’Europa, per quanto riguarda il dominio Benessere economico, la grave deprivazione materiale e sociale (4,5% in Italia, 6,7% nel`Ue27) e il sovraccarico del costo dell`abitazione (6,6% in Italia e 8,7% nel`Ue27 ) segnalano per l`Italia una condizione di minor sfavore rispetto alla media dei Paesi dell`Unione, ma tutti gli altri indicatori disponibili invece, descrivono una condizione peggiore della media Ue27″.
I gap maggiori, rileva l’Istituto di Statistica, riguardano la bassa intensità lavorativa (9,8% in Italia e 8,3% nel`Ue27) e il rischio di povertà (20,1% in Italia e 16,5% nel`Ue27).
“Divari molto ampi – prosegue Istat – riguardano le misure del dominio Lavoro e conciliazione dei tempi di vita: in Italia nel 2023 il tasso di mancata partecipazione al lavoro (14,8%) supera di quasi sei punti percentuali la media Ue27 (8,7%); il tasso di occupazione è di 9,1 punti percentuali più basso di quello medio europeo (75,4%) e la percentuale di persone in part time involontario (10,2% nel 2022), nonostante in calo da quattro anni, è quasi il triplo della media dei 27 paesi dell`Unione (3,6%)”.
Quanto al capitolo sanità, nell`ultimo anno sono aumentate le migrazioni ospedaliere, la quota di medici di medicina generale con un numero di assistiti oltre la soglia massima e la rinuncia a prestazioni sanitarie ritenute necessarie. In particolare, nel 2023, dichiara di avere rinunciato a prestazioni il 7,6% della popolazione” a causa “motivi economici, lunghe liste di attesa o difficoltà di accesso”.
Sebbene nel 2023 si osserva una leggera crescita del livello medio di fiducia per il Parlamento e per i partiti politici, e (più contenuta) per il sistema giudiziario, è “ancora largamente insufficiente la fiducia verso le istituzioni politiche”. I punteggi medi restano comunque ben al di sotto della sufficienza, in particolare quello per i partiti, che si ferma a 3,5 punti su una scala da 0 a 10. La fiducia nelle Forze dell`ordine e nei Vigili del fuoco è a un livello più che doppio rispetto ai partiti (7,4); resta stabile nell`ultimo anno, ma in minimo calo rispetto al 2019. In forte calo la partecipazione elettorale in Italia, ma resta in linea con la media europea.
Criticità anche sul capitolo ambiente e clima – per cui il rapporto rileva che “la preoccupazione dei cittadini per i cambiamenti climatici (70,8% di persone di 14 anni e più) e l`indicatore di soddisfazione per la situazione ambientale (69,1%) si confermano su livelli simili al 2019” -, ma anche per quanto riguarda la percezione della sicurezza.
Nell’ambito Istruzione e Formazione, “un quadro positivo emerge, in particolare, per l`incremento della popolazione che possiede un titolo di studio più elevato: il 65,5% degli individui di 25-64 anni ha ottenuto almeno il diploma di scuola secondaria di secondo grado (era il 63% nel 2022 e il 62,3% nel 2019); il 30,6% dei giovani tra 25 e 34 anni ha un diploma di laurea o un titolo di tipo terziario (era il 29,2% nel 2022 e 27,9% nel 2019)”.
Molto positivi anche gli andamenti per gli indicatori sui NEET, scesi al 16,1% della popolazione di 15-29 anni (erano il 19,0% nel 2022) e sui giovani di 18-24 anni che hanno abbandonato la scuola prima di aver ottenuto una qualifica o diploma di scuola secondaria di secondo grado, scesi al 10,5% (erano l`11,5% nel 2022). Entrambe le misure sono anche in netto miglioramento rispetto al 2019 (erano rispettivamente il 22,1% e il 13,3%), dopo essere peggiorate nel corso della pandemia.
e.m.