Per una volta, una buona notizia. E proprio in materia di posti di lavoro, cioè nella materia più spinosa, in questi tempi in cui nuove e inattese crisi aziendali, dalla Whirlpool a Mercatone Uno, ci aiutano a capire, con la concretezza delle vicende di cronaca, come possa accadere che le cifre offerte dalle statistiche ufficiali o dalle previsioni macroeconomiche non consentano ancora di scorgere elementi positivi nel panorama dell’occupazione, nonostante l’annunciata ripresa.
Di cosa stiamo parlando? Del fatto che Cevital, il gruppo algerino che ha acquisito mesi fa le acciaierie ex Lucchini di Piombino, ha raggiunto un’intesa con i sindacati dei metalmeccanici in base a cui tutti i 2.200 lavoratori in forza nel sito siderurgico saranno riassunti. E ciò mentre, fino a poche ore dall’intesa, l’azienda algerina si era attestata sull’offerta di riassorbirne non più di 1.860.
Insomma, più di 300 dipendenti della ex Lucchini hanno di nuovo davanti a sé una prospettiva lavorativa. Una notizia, questa, tutt’altro che disprezzabile; e ciò non solo e non tanto per le sue proporzioni quantitative, ma perché ci consente di intravvedere una prospettiva di reindustrializzazione di un sito storico del nostro apparato produttivo.
Per cogliere il senso della notizia, dobbiamo collocarla innanzitutto nel percorso di cui costituisce una tappa. Alla fine di novembre dell’anno scorso, il gruppo algerino Cevital batte gli indiani di Jindal nella gara per l’acquisizione della ex Lucchini. Il progetto dei nordafricani è originale e complesso. In prima battuta Cevital offre l’acquisizione e il mantenimento in attività dei tre laminatoi già installati a Piombino e propone di sostituire l’altoforno, destinato ormai a una dolorosa chiusura, con la costruzione di due forni elettrici. Ciò per dare continuità alla produzione di acciaio.
Questa parte del progetto, anche se comporta la rinuncia definitiva all’altoforno, ha indubbiamente una sua concretezza, ma implica un processo di trasformazione che ha bisogno di un certo tempo per essere portato a regime. Tempo durante il quale la quantità di manodopera impiegata sarà sicuramente inferiore a quella che trovava lavoro nel vecchio centro siderurgico. Già nei primi contatti di Cevital con i sindacati emerge dunque il nodo occupazionale e l’azienda, come detto, si attesta sull’offerta di riassorbire non più di 1.860 lavoratori. Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil, con l’appoggio delle rispettive confederazioni sindacali, insistono per ottenere la riassunzione di tutti i dipendenti. Il 29 aprile si arriva a una rottura. Ma ecco che, dopo poche ore, i fili della trattativa vengono riannodati e si giunge all’intesa di cui stiamo parlando.
Nel Verbale di incontro si dice che la Aferpi Srl, ovvero la nuova società costituita da Cevital (Acciaierie e Ferriere di Piombino), “ha dichiarato la propria disponibilità” a “trasferire tutto il personale” in forza alla ex Lucchini e alle società collegate nella nuova realtà produttiva. Ciò, beninteso, in fasi “progressive” e “secondo le necessità tecnico-organizzative e produttive correlate e conseguenti” all’attuazione del progetto industriale elaborato da Cevital.
Vediamo dunque come e quando potranno essere reimpiegati i 2.200 lavoratori di cui stiamo parlando. A Piombino si dice che nei prossimi mesi i tre laminatoi – che non sono collocati vicino all’altoforno, ma in un’area sita a una decina di chilometri dalla cittadina, là dove dovrebbero essere collocati anche i due nuovi forni elettrici – porteranno avanti la propria attività produttiva non più sui 21 turni settimanali classici della siderurgia, ma su 12 turni. Ciò, naturalmente, in attesa della costruzione dei nuovi forni. Per mandare avanti questa attività così ridotta, potrebbero bastare circa 800 lavoratori. L’intesa prevede però “l’utilizzo dei contratti di solidarietà difensivi”. Il che, secondo alcune valutazioni, dovrebbe consentire di riportare in attività altri 400 lavoratori. In pratica, i dipendenti attivi sarebbero così 1.200, anche se con redditi ridimensionati a causa della riduzione degli orari individuali connessa al ricorso al contratto di solidarietà. Gli altri lavoratori, all’incirca un migliaio, resterebbero invece collocati in Cassa integrazione fino alla fine del 2016. Agli inizi del 2017 dovrebbe poi entrare in funzione il primo dei due nuovi forni elettrici seguito, successivamente, dal secondo. In questo modo, tutti i dipendenti che non maturassero nel frattempo i requisiti necessari per poter andare in pensione, verrebbero via via reimpiegati dalla Aferpi o, comunque, nell’ambito dei progetti industriali elaborati da Cevital.
Come racconta al Diario del lavoro Mirko Lami, storico leader operaio dell’acciaieria di Piombino e attualmente cassaintegrato, tra i suoi compagni di lavoro c’è una diffusa preoccupazione perché, tolta l’attività dei laminatoi, per il resto si tratta di verbi declinati al futuro. Va anche detto, però, che quando il piano industriale di Cevital sarà approvato e l’accordo per l’acquisizione della Lucchini sarà perfezionato, ovvero, come si spera, dal prossimo giugno, il volume delle attività in essere nell’area dovrebbe crescere. Lo smantellamento dell’altoforno, da un lato, e l’avvio della costruzione del primo forno elettrico, dall’altro, dovrebbero infatti assorbire nuova occupazione.
Ciò che ha portato all’intesa del 30 aprile è probabilmente il fatto che l’azienda algerina ha compreso che per i sindacati era inaccettabile l’idea che alcune centinaia di lavoratori venissero licenziati. Ma non si deve credere che l’intesa di cui stiamo parlando sia solo un compromesso accettato da un nuovo interlocutore per motivi di opportunità nelle sue relazioni con la società circostante. In realtà, i primi passi compiuti da Cevital in Italia fanno parte di un processo che dovrebbe portare Piombino a trasformarsi da polo concentrato nella produzione di acciaio a base logistica di livello mediterraneo.
In questo processo, va riconosciuto, ha avuto una funzione decisiva l’azione di politica industriale condotta dalla Regione Toscana, guidata dal Presidente Enrico Rossi, in accordo non solo col Governo nazionale, ma anche con l’Unione europea. Le crisi successive della Lucchini e della russa Severstal, che alla Lucchini era subentrata, hanno rischiato seriamente di ridurre Piombino a un territorio punteggiato da stabilimenti chiusi. E intanto hanno già quasi dimezzato il traffico merci dello scalo toscano. Da anni, infatti, le attività portuali sono connesse in larga misura alla movimentazione dei materiali necessari per le produzioni siderurgiche e dei prodotti finiti usciti dai capannoni della Lucchini e della Magona.
Ora, invece, si delinea una prospettiva di ripresa collegata appunto all’idea di sfruttare le valenze logistiche del porto toscano. Il Nuovo Pignone, come raccontato da Maurizio Bologni su Repubblica Affari & Finanza del 4 maggio, progetta di avviare vicino al porto la costruzione dei cosiddetti “grattacieli energetici”, ovvero di moduli di grandi proporzioni contenenti turbine destinati ad essere impiegati come supporto per l’estrazione di gas e petrolio. E si tenga presente che l’azienda basata a Firenze costituisce l’hub della General Electric per la zona comprendente Mediterraneo e Medio Oriente.
Inoltre, sempre a Piombino dovrebbe nascere il polo europeo per le demolizioni navali. Un’attività fin qui svolta prevalentemente in Asia con pessime condizioni lavorative e consistente nocività ambientale. In questo caso, si parla dell’ingresso in scena di una newco costituita da tre soggetti, fra cui la Saipem, società del gruppo Eni.
Ebbene, tutto questo è strettamente connesso all’arrivo degli algerini di Cevital che puntano a trasformare l’area costiera, fin qui occupata dall’altoforno, in una base logistica dedicata al settore agroalimentare e rivolta a Nord Africa e Medio Oriente. Insomma, Piombino sembra essere uno dei pochi casi in cui dalla crisi di questi ultimi anni potrà nascere una prospettiva economica del tutto nuova. Una prospettiva che, se tutto andrà bene, potrà avere positive ricadute anche sul piano occupazionale.
@Fernando_Liuzzi