Di Giuseppe Fanchetti
Con la prevedibile eccezione del “Sole 24 Ore” e de “l’Unità” – due giornali che, da sempre, dedicano particolare attenzione alla cronaca sindacale -, i maggiori quotidiani di domenica 1° dicembre non hanno dato ai loro lettori una notizia che ha avuto il torto di vedere la luce in un orario giornalisticamente infelice, e cioè nel primo pomeriggio di sabato (in questo caso, 30 novembre), ma aveva ed ha una sua indubbia rilevanza.
Stiamo parlando delle elezioni per il rinnovo della Rsu, la struttura di rappresentanza sindacale, in quella che è di gran lunga la maggiore fabbrica metalmeccanica del nostro paese: l’Ilva di Taranto. Il dato clamoroso è quello della sconfitta subita dalla Fiom-Cgil che, dal secondo posto, è precipitata al quarto, perdendo più della metà dei precedenti consensi. Uno scacco bruciante, anche se bisogna dar atto alla stessa Fiom di aver prontamente diffuso, pubblicandolo sul proprio sito, un comunicato contenente sia i risultati elettorali che una dichiarazione del segretario nazionale responsabile per la siderurgia, Rosario Rappa.
Prima di avanzare qualche ipotesi interpretativa, vediamo dunque questi risultati. Al voto ha partecipato circa l’80% dei lavoratori, con una modesta flessione del 3% rispetto alle elezioni del 2010. La Uilm-Uil – il sindacato storicamente egemone del sito tarantino sin da quando l’acciaieria apparteneva all’Italsider – ha mantenuto il primo posto, ma ha subito un arretramento consistente, passando da 4.259 voti a 3.493 (39,08%). La Uilm ha quindi perso 766 voti, pari al 5,62%.
Relativamente migliore il risultato della Fim-Cisl che, pur arretrando anch’essa in cifre assolute (-214 voti), ha ottenuto una percentuale (24,15%) simile a quella precedente e, soprattutto, con 2.219 voti è passata dal terzo al secondo posto sul totale dei dipendenti, mantenendo la forte posizione che già aveva fra gli impiegati.
Al terzo posto con 1.837 voti, pari al 20,55% dei consensi, troviamo inopinatamente la Usb, presentatasi per la prima volta all’elezione della Rsu. Si tratta di voti che, con ogni probabilità, sono stati strappati in maggior parte alla Fiom. Il sindacato dei metalmeccanici Cgil, che nel 2010 aveva conseguito 3.063 preferenze, ne ha avute adesso infatti solo 1.389 (15,11%), perdendo 1.674 voti. Davvero, come ha detto Rappa, si tratta di risultati che “parlano da soli”.
Parlano nel senso che è indiscutibile che, per la Fiom, l’esito del voto rappresenti, citando ancora Rappa, una “sconfitta”. Ma non ci dicono da dove tragga origine questo risultato. In proposito esistono almeno due teorie. Vediamo quali.
La prima teoria è relativa alla storia interna della Fiom tarantina. Nel 2004, l’anno del congresso nazionale Fiom in cui la mozione maggioritaria di Gianni Rinaldini si contrappose a quella di Riccardo Nencini e Fausto Durante, anche nella città del Golfo la battaglia fu vinta dai rinaldiniani. All’Ilva, però, alcuni delegati, tra cui il più votato dell’intero stabilimento, si schierarono con i “riformisti”. Dopo il Congresso, la Fiom provinciale aprì un fronte contro di loro, finendo per perdere consensi in fabbrica. Per rafforzarsi, aprì allora le porte a una nuova leva di delegati più radicali, per non dire estremisti. Tanto estremisti da essere ingovernabili. Dopo il congresso del 2010, il nuovo Segretario generale, Landini, se ne liberò, anche con alcune espulsioni, peraltro motivate facendo riferimento a questioni di condotta personale, più che a ragioni di linea politica. Ebbene, sono questi ex fiommini quelli che hanno dato vita, l’anno scorso, a rumorose contestazioni contro i sindacati confederali e che, dopo aver importato a Taranto l’Unione sindacale di base, hanno adesso raccolto molti consensi in fabbrica.
La seconda teoria si riferisce a come la Fiom ha affrontato la questione ambientale esplosa l’anno scorso in relazione alla gravità dell’inquinamento causato dall’Ilva. Dall’estate del 2012, la Procura della Repubblica di Taranto ha lanciato un’offensiva che, ad alcuni, è apparsa volta, essenzialmente, a muovere guerra ai Riva, proprietari dell’acciaieria, anche a costo di ostacolare la ricerca di concreti percorsi di risanamento. Secondo tale teoria la Fiom, volendo mantenere una netta autonomia dall’azienda, è apparsa attenta, innanzitutto, a non contrapporsi in nulla e per nulla alla Procura tarantina, finendo per seguire una linea “giudiziariamente corretta” più adatta a essere rappresentata mediaticamente su quotidiani nazionali e talk show televisivi, che a dare voce alle ansie di lavoratori sempre più incerti sul proprio futuro.
Uilm e Fim, invece, si sono tenute, come da tradizione, vicine all’azienda, non esitando a prendere le distanze dalle più clamorose iniziative giudiziarie, quali il sequestro dell’acciaio prodotto, e mantenendo una presa tra i lavoratori dell’Ilva. Dal canto suo, la neonata Usb, mettendosi contro tutti e tutto, si è mostrata capace di interpretare l’anima di una città che, non molti anni fa, si era riconosciuta in un personaggio ambiguo e, per così dire, pre-grillino come il sindaco Cito. La Fiom, non essendo riuscita a imporre come centrale il tema della necessità e della possibilità di conciliare produzione di acciaio e ambiente, e quindi salute, ha finito per perdere consensi da una parte e dall’altra. E questo ci spinge a pensare che un’immagine mediaticamente forte può risultare sindacalmente vincente solo se è capace di interpretare la complessità delle spinte che traggono origine dai luoghi di lavoro.
Un’ultima considerazione. Il risultato tarantino non può non suonare come un campanello d’allarme per la Fiom. Dopo la sostanziale chiusura di Termini Imerese, la normalizzazione di Melfi e la debacle dell’Ilva, il sindacato dei metalmeccanici Cgil ha ormai una presenza residuale nelle grandi fabbriche del Mezzogiorno. L’isolamento contrattuale del sindacato guidato da Maurizio Landini tende a tradursi, nell’Italia meridionale, in debolezza organizzativa.


























