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Home - Approfondimenti - Analisi - La flessibilità ha bisogno di consenso

La flessibilità ha bisogno di consenso

15 Maggio 2008
in Analisi

di Antonio Sansone, segretario generale Fim Cisl Torino

“La Fiat investe oltre cento milioni di euro, assume cento lavoratori, offre prospettive allo stabilimento: il sindacato che fa? Sciopera”. L’indubbia efficacia della sintesi giornalistica che riferisce gli avvenimenti in corso alle meccaniche dell’Iveco offre, però, una lettura semplice di problemi complessi; è, dunque, opportuno avere un quadro completo. All’Iveco è presente da oltre 10 anni un forte  sistema di flessibilità degli orari, che vede molti lavoratori presenti al sabato in prestazione straordinaria sostanzialmente tutte le settimane dell’anno. Questi lavoratori, come molti altri, rispondono al problema salariale con l’allungamento del loro orario di lavoro. Sulla base dei guadagni percepiti con lo straordinario fanno fronte ai loro bisogni, non necessariamente voluttuari: molti fanno straordinario per pagare il mutuo.

In tema di flessibilità, tra i lavoratori dell’Iveco, come anche in generale, si vivono i problemi e si subiscono le conseguenze di dover essere flessibili in un sistema rigido, ovvero di stare in un contesto che non si occupa di offrire servizi ai lavoratori flessibili. Il risultato è che, soprattutto per alcune situazione delicate di natura familiare, il guadagno del lavoro straordinario viene utilizzato per pagare chi accudisce i figli dei lavoratori flessibili, che al sabato non possono portarli all’asilo, o chi assiste gli anziani dei medesimi lavoratori. Per inciso, un’azienda ed un sistema sociale flessibili dovrebbero tenere conto di queste situazioni o esentando questi lavoratori o aumentando l’offerta di servizi a loro favore. Quando l’orario si allunga in modo strutturale e serve a rispondere al problema dei bassi salari, l’esperienza insegna che non serve che il sindacato metta in guardia i lavoratori sui rischi che le esigenze di straordinario vengano meno riducendo così in modo secco il salario.


A grandi linee, questo è quello che avviene in generale, e i lavoratori delle meccaniche dell’Iveco non fanno eccezione a questa regola. L’azienda per anni ha goduto di questo allungamento dell’orario di fatto, assestandosi ad un organico inferiore alle esigenze dettate dai volumi produttivi. Le meccaniche dell’Iveco godono inoltre, da molti anni, di un altro importante vantaggio competitivo, condiviso con le Rsu e rappresentato dalla flessibilità dei rapporti di lavoro temporanei. Si è creato una sorta di polmone di lavoro temporaneo che respira all’unisono con l’andamento dei volumi produttivi e che, attraverso percorsi di stabilizzazione concordati con le Rsu,  ha consentito il passaggio a tempo indeterminato di centinaia di lavoratori. Inoltre, in periodo di volumi calanti, ha realizzato, contraendo il polmone di lavoro temporaneo, l’invidiabile primato di non utilizzare cassa integrazione da 15 anni.


Una domanda, allora: tutta questa flessibilità esistente, di cui parte rilevante è condivisa dalle Rsu, non basta? No, non basta, perché siamo ad un salto in avanti strutturale di volumi e di prospettive per lo stabilimento di meccanica dell’Iveco, e quindi non si possono fare investimenti rilevanti contando solo sull’adesione volontaria dei lavoratori. Sembra di essere di fronte ad una questione analoga a quella che si è vissuta a fine 2007 alle meccaniche di Mirafiori, allorché un accordo trovato da tutte le organizzazioni sindacali su nuovi regimi di orario a fronte di investimenti e prospettive per lo stabilimento venne clamorosamente respinto dai lavoratori.


Un’altra domanda: quei lavoratori delle meccaniche di Mirafiori e questi dell’Iveco, propensi solitamente a essere disponibili al lavoro straordinario per le già citate ragioni salariali, sono impazziti, e disinteressati al futuro delle aziende? Forse, come si osservava all’inizio, la situazione è più complessa e richiede anche alla Fiat di interrogarsi, evitando scorciatoie liquidatorie e superficiali. Perché se, come dice Montezemolo, ormai le aziende rappresentano i lavoratori meglio del sindacato, questi lavoratori bocciano gli accordi del sindacato e scioperano di fronte alle proposte dell’Iveco? La risposta, che riguarda sia i lavoratori sia il sindacato, non è che si sciopera contro il lavoro al sabato o che non si apprezzino le scelte di sviluppo e prospettive offerte dalla Fiat: semplicemente  si pone il problema di non perdere retribuzione e di non essere lasciati soli a pagare i costi sociali della flessibilità.


Se è vero che è importante fare squadra per risultare vincenti nelle competizioni, Fiat dovrebbe riflettere sul fatto che la costruzione del consenso dei lavoratori non è un modo per rendere più semplice il lavoro del sindacato ma è un valore importante di competitività. Il consenso, in questa vicenda delle meccaniche dell’Iveco, si costruisce dando risposte alle legittime esigenze salariali dei lavoratori, offrendo garanzie di consolidamento e sviluppo dell’occupazione e non lasciando i lavoratori da soli ad affrontare le conseguenze negative di una flessibilità che non è accompagnata da servizi al lavoratore. Poiché non ci sono risposte semplici a questioni complesse, Fiat non può affermare che il sindacato sia contro la flessibilità né fare esibizioni muscolari minacciando denunce: deve prendere atto che non c’è squadra vincente senza o contro i lavoratori e in assenza di un giusto compenso salariale che premi la flessibilità.


In questo quadro, il nuovo governo, anziché detassare tout court lo straordinario, dovrebbe incentivare gli accordi sindacali sulla flessibilità e predisporre servizi a sostegno dei lavoratori flessibili. A volte non si fanno gli accordi perché non si condividono gli obiettivi: nel caso delle meccaniche dell’Iveco  l’accordo non c’è (ancora) perché lavoratori e sindacato valutano insufficienti le proposte dell’azienda.

redazione

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