Tra il 18 e il 20 aprile una mobilitazione dei portuali di Tangeri, in Marocco, con il sostegno del sindacati Unione Marocchina del Lavoro UMT e Lavoratori del Porto e Gente di Mare, ha bloccato lo scalo di una nave portacontainer Maersk, proveniente dagli Stati Uniti, incaricata del trasferimento di componenti per F35 destinati all’esercito israeliano e diretta verso la base aerea di Nevatim, a sud di Israele. Sono 18 i portuali, su 20 totali del primo turno, ad aver imposto la ferma opposizione allo scalo, così come i 27 su 30 del secondo turno. Stesso copione anche a Casablanca qualche giorno prima. Non collaboriamo alla logistica della guerra, sostengono questi lavoratori, che già dall’inizio del conflitto israelo-palestinese hanno fatto sentire la propria voce insieme ai sindacati per non rendersi “complici diretti della guerra genocida contro il popolo palestinese”. La notizia è stata diffusa dal media indipendente Drop Site e rilanciata anche da Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. “Spero che tutti i lavoratori del mondo prendano ispirazione dalla protesta marocchina”.
E infatti i lavoratori e sindacati marocchini non sono gli unici ad opporsi al collaborazionismo con la logistica della guerra. A ottobre 2024, i portuali greci del Pireo hanno impedito le operazioni di carico di un container di proiettili diretti in Israele fino a che la nave non ha ripreso il largo senza la commessa. «Assassini, fuori dal porto» hanno scritto i lavoratori sulla fiancata del container. E anche per il sindacato degli scaricatori del porto del Pireo, Enedep, l’imperativo è non rendersi “complici dello sterminio in Palestina”, che “si scontrerà con la nostra resistenza”.
Così come in Spagna, nel porto di Algeciras lo scorso novembre, dove è stato lo stesso governo di Pedro Sanchez, su sollecitazione di un esponente di Sumar, ad aver negato lo scalo due altre due portacontainer provenienti dagli USA diretta in Israele e ancora prima alla nave danese salpata dall’India contenente esplosivo diretto ad Haifa che avrebbe dovuto fare tappa a Cartagena.
E anche in Francia. Lo scorso 11 aprile il sindacato CGT e i lavoratori del porto di Fos-sur-Mer, vicino a Marsiglia, sono stati avvisati dell’arrivo di una nave, sempre Maersk, trasportante presumibilmente componenti per aerei F-35 destinati all’esercito israeliano. Il sindacato e i lavoratori portuali hanno fatto immediatamente sapere a Maersk che se la nave trasporta materiale militare, «ci rifiutiamo che questa nave entri a Fos e non la lavoreremo». L’azienda ha aperto alla contestazione permettendo la verifica di tutti i container che, al fine, non trasportavano materiale bellico. Ma resta l’avvertimento: i portuali e il sindacato «si battono per la pace e per fermare il genocidio perpetrato dal governo israeliano» e «sono solo i portuali e gli operai portuali a decidere se trattare o meno una nave, se mettere in sciopero o bloccare il loro strumento di lavoro».
Inoltre, sempre in Francia, CGT e i lavoratori di STMicroelectronics hanno sottoscritto una lettera aperta in cui si chiede all’azienda di interrompere ogni attività con l’esercito Israeliano, rivendicando che “l’internazionalismo è un valore essenziale della nostra organizzazione sindacale. Siamo sempre stati dalla parte dei popoli oppressi”.
In Italia è forte l’opposizione dei portuali di Genova, che da anni si battono contro l’invio di armi nei teatri di guerra. L’ultimo atto, solo cronologicamente, è del Collettivo autonomo dei lavoratori portuali e dell’Usb e risale al 10 novembre 2024: un migliaio tra lavoratori e manifestanti si sono opposti al transito di carichi bellici con il blocco dei varchi di San Benigno, Albertazzi, ed Etiopia. “La catena logistica è necessaria ad alimentare i conflitti rifornendoli di armamenti e non vogliamo fare parte di questo ingranaggio”.
Nella settimana del primo maggio queste testimonianze acquisiscono un valore ulteriore, ricordandoci che il lavoro è fondamento di tutte le democrazie e democrazia, appunto, significa pace ed equità per tutti. È internazionalismo, come richiamano i cugini francesi: non una parola vuota, ma un valore su cui tornare a riflettere.
Elettra Raffaela Melucci