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Home - Blog - La politica industriale “liquida” di Renzi

La politica industriale “liquida” di Renzi

di Gianni Celata
30 Marzo 2016
in Blog
La politica industriale “liquida” di Renzi

Dopo la programmazione industriale per settori ed aree di prima repubblica memoria; dopo la assenza di policy che non riguardassero la comunicazione nel periodo berlusconiano; dopo la invadenza della magistratura in campo economico industriale nella cosiddetta seconda repubblica; Renzi si muove con una politica industriale che può essere definita liquida, traducendo i paradigmi della società liquida di Zygmunt Bauman per l’economia.

Si deve convenire che oggi sarebbe impossibile e sbagliato per uno Stato  impostare una politica industriale per grandi narrazioni settoriali o per area Che poi questo era la programmazione del centro sinistra degli anni’60 / ‘80: una grande narrazione per grandi settori (siderurgia, raffinazione petrolifera,  grande chimica, etc.) e per aree (il Mezzogiorno principalmente). Una narrazione industriale ed economica che poggiava su procedure standard per tentare di risolvere problemi diversi. Il che ha comportato l’errore di identificare pressoché unicamente la grande dimensione degli impianti  come  la sola scelta di insediamenti industriali per il Sud. Le politiche industriali successive sopra ricordate sono da dimenticare.

Questa impossibilità di applicazione di superate politiche industriali deriva, non solo in  Italia, da una molteplicità di fattori esterni e non controllabili dal singolo Stato. I più importanti? La forza assunta da una finanza malata nella sua abnorme dilatazione planetaria e di strumenti. Una tendenza che appare inesorabile alla concentrazione industriale. Uno gioco competitivo mondiale i cui termini variano con la velocità dei bit. Non si sa neppure come qualificare paesi come la Cina, l’Indonesia, e altri che venivano  considerati  dei semplici service o retrobottega dell’industria euro-americana e che sono ben altro nello loro veloci mutazioni in corso d’opera. E poi, le proiezioni, non ancora smaltite, anzi si è solo all’inizio, dell’innovazione tecnologica derivata dal digitale e dalla Rete Internet nelle filiere industriali tradizionali, negli assetti organizzativi e nella catena del valore delle imprese.

Questa situazione, assieme alla lunga crisi che si sta prolungando dalla metà del 2008, ma non sta mettendo fuori gioco l’agibilità degli Stati come facitori di politiche che coinvolgano macrosettori industriali, sta anche  facendo scomparire le consolidate solidarietà politiche, economiche e anche militari tra Stati del dopoguerra. Trump negli USA parla di rivedere perfino la NATO ma lo stesso Obama in questa fase di fine mandato dimostra distrazione rispetto all’Europa e al Mediterraneo con forti ed inusuali critiche verso i due più grandi alleati europei, UK e Francia;la Germania in Unione Europea e nell’area Euro ha fatto e fa una politica di potenza che mira a consolidare interessi finanziari e industriali ben precisi e ovviamente strettamente teutonici; le primavere arabe ormai dimenticate hanno dato il pretesto a UK e Francia di tentare di minare interessi italiani in Libia, peraltro con effetti disastrosi; gli investimenti della Commissione Europea che potrebbero dare ossigeno alla Comunità degli ormai tanti e forse troppi paesi del continente, soffrono di stitichezza strutturale; e così via.

Come per la società liquida di Bauman, stante questa situazione, la possibilità di intervento dei singoli Stati nelle policy industriali in termini macrosettoriali si fa impossibile. Di conseguenza le imprese, come gli individui di Bauman, non si sentono più parte di una community stabile e consolidata in cui gli interessi tendono a coincidere. Quindi una industria, come la società raccontata da Bauman  in cui le imprese agiscono in contesto in continua continuazione, spesso fuori dal loro angolo visivo,  e i modi di procedere, le strategie aziendali tendono ad una obsolescenza rapida, così come i tempi degli ammortamenti che tendono a ridursi, senza che si abbia il tempo di metabolizzare il cambiamento. E non c’è community che possa sopravvivere in questo contesto. La crisi di rappresentanza di Confindustria e del Sindacato  in Italia, per rimandare al nostro residuale microcosmo, non indica proprio questo?

Se la politica industriale non può quindi, per forza di cose, partire da grandi narrazioni settoriali o per area, se le community tradizionali sono fuori gioco, se vuole avere un valore, deve necessariamente partire dai punti, cioè dalle singole imprese. In questo consiste la liquidità della politica industriale: intervenire su singole imprese, punti del campo industriale, così come gli individui sono punti, che possono anche riunirsi in flussi ma sempre di volta in volta mutevoli, nella società liquida di Bauman.

In questa direzione si sta muovendo Renzi con un intervento non sempre e non  necessariamente diretto ma anche solo indiretto o di mero supporto, ma sempre differenziato e specifico secondo i singoli casi aziendali. Il ruolo del Ministero dell’Industria? Curare le retrovie (crisi aziendali) e fornire dossier gestiti poi direttamente dal Premier nei casi rilevanti non solo per dimensione ma anche per posizionamento sul mercato internazionale.

Alcuni casi possono rappresentare bene  questa liquidità della politica industriale renziana.

Il primo è certamente l’appoggio e l’accompagnamento con misure complementari sulla cassa integrazione della fusione tra  Alitalia ed Ethiad. Archiviata rapidamente la pratica Air France che sarebbe stata una disgrazia per la centralità del nostro paese nella rete del trasporto aereo mondiale, si è favorito un partner complementare ad Alitalia con il quale economie di scopo e di piattaforma sono significative e competitive a livello planetario.

Il secondo caso è rappresentato dagli accordi in corso di definizione tra Mediaset, la Telecom di Bollorè e, sullo sfondo inevitabile,  la Sky di Murdoch. Senza escludere l’intervento successivo di un’altra Telco in un settore dove la concentrazione sembra inevitabile a causa della riduzione strutturale dei margini operativi. Il vero Patto del Nazareno sta nel tempo che Renzi ha dato a Berlusconi per sistemare la sua Azienda in cambio di agibilità politica sulle riforme costituzionali e non. Avvertire la RAI che il suo assetto definitivo potrà partire solo dopo. Nel suo caso si tratterà d capire quale sarà il perimetro del servizio pubblico e quale quello di una media company, magari quotata in borsa, che opera sul mercato. Perimetri e forse destini, per forza di cose, nettamente separati.

Il terzo caso è l’appoggio politico dato all’azione dell’ ENI che opera in un settore dove altri Stati operano in prima persona, anche con interventi militari. Mai nessun Governo si è espresso con questa forza in un settore strategico come quello dell’ approvvigionamento energetico. Gli interessi spesso anche se non sempre erano meramente clientelari o peggio.

Il quarto caso è particolare e riguarda la FIAT. Qui  il rapporto più che cordiale tra Marchionne e Renzi nasce dall’ approccio rottamatorio di entrambi. L’AD di FIAT e ora di FCA ha prima rottamato la FIAT sabauda, poi la Confindustria, quindi la Fiom di Landini, adesso RCS con una contemporanea fusione “innaturale” per alcuni tra La Repubblica e La Stampa dopo aver fatto quella col Secolo IXX . A mio avviso, si appresta ad una sperimentazione di forme di partecipazione dei lavoratori degli stabilimenti all’impresa.  Il Job Act è stato moltr cose, ma non c’è dubbio che è stato sostegno forte alla riorganizzazione degli stabilimenti FIAT in Italia.

Il quinto caso è certamente la recentissima fusione in corso tra Banca Popolare e Popolare di Milano bloccata da ostacoli pretestuosi in BCE e che un forte ukase italiano ha sbloccato. E sempre in campo finanziario c’è un denso lavorio del Governo dietro e davanti le quinte per Monte dei Paschi.

Come si vede una politica verso l’industria ed anche la finanza che in nessun caso ha seguito una procedura standardizzata ma che si impegna sui singoli dossier dei singoli casi aziendali in una ottica sempre internazionale, con interlocutori diversi e approcci adeguati ai casi, senza perdere mai di vista la filiera e la catena del valore di appartenenza. Le aggregazioni di imprese avvengono semmai dopo, come i flussi di Baumann, secondo le specifiche esigenze del caso e per tempi che tendono a ridursi. La mutevolezza è la cifra dell’attuale fase economica e industriale

Cosa ha permesso a Renzi di interpretare adeguatamente questa politica industriale liquida? L’essere stato Sindaco. In quanto tale non ha avuto alcun potere di politica industriale. L’unico modo con cui possono operare , tutti i sindaci che onorano il loro ruolo, è risolvere problemi critici o di ulteriore sviluppo  delle singole aziende  intervenendo direttamente in materia urbanistica.  Per il resto possono esercitare solo una pressione sul Governo perché intervenga. Adesso che il Governo è lui, questa cultura maturata in ambiente municipale si sposa esattamente con le necessità di questa complessa fase economica europea e mondiale.

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Gianni Celata

Gianni Celata

Docente di economia e comunicazione

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