di Roberto Di Maulo, segretario generale Fismic Confsal
Sono sempre più frequenti le occasioni nelle quali le confederazioni tradizionali (e le loro organizzazioni di categoria) cercano di esercitare il monopolio della rappresentanza dei lavoratori. Tale comportamento ci sembra che non abbia nessun fondamento giuridico, né tanto meno riscontro con la realtà che sta emergendo nei posti di lavoro, sulla quale sarà bene riflettere a fondo.
Dal punto di vista giuridico, dopo il referendum del 1995, non si può parlare di sindacati maggiormente rappresentativi in astratto, ma di sindacati comparativamente rappresentativi sulla base di parametri concreti. Tali parametri per determinare la comparatività sono: l’estensione territoriale, l’essere firmataria del Ccnl e di accordi aziendali, l’esito elettorale nelle elezioni Rsu/Rls. Questa comparazione non tiene conto del numero degli iscritti, in quanto non esiste un sistema di certificazione, che noi crediamo sia assolutamente necessario.
Quindi i parametri di comparativa rappresentatività non danno in astratto a nessuno titolo di esercitare la rappresentanza dei lavoratori in modo monopolistico.
Oltre la sfera della rappresentanza sarebbe da approfondire quello degli Enti bilaterali, che vanno dalla mitica Cassa edile per giungere a quelli con l’Artigianato e alla non ultima nata, Fondimpresa. Gli Enti bilaterali sono organismi messi in piedi attraverso la contrattazione che assegnano, in via esclusiva, a organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori la gestione di fondi che possono avere origine da istituti contrattuali (Cassa edile o Artigiani) o da leggi (come nel caso di Fondimpresa). Il carattere esclusivo di tali Enti è oramai nel mirino di sentenze della magistratura che, come nel caso della causa intentata dalla Regione Emilia Romagna, avversa a Fondimpresa, inizia a condannare il carattere di tali iniziative, proprio in base alla loro esclusività e al tentativo di operare in regime monopolistico.
Se si osservano alcune recenti elezioni delle Rsu si evidenzia ulteriormente perché le organizzazioni sindacali tradizionali non posso pretendere di operare in regime di monopolio sul sistema delle relazioni sindacali del nostro Paese.
La Fismic ha preso in esame tre elezioni di Rsu svolte recentemente e le ha, messe a confronto con quelle di appena tre anni fa, in tre importanti unità produttive: Sata di Melfi, (stabilimento prevalentemente operaio e giovane nel Sud), Enti centrali di Mirafiori (uno dei posti di lavoro più grandi e antichi del Nord con oltre l’80% di impiegati) e la Sogei di Roma (azienda con oltre 1500 addetti, tutti tecnici informatici).
Analizzando i risultati di queste elezioni si possono scoprire cose molto interessanti (vedi tabella e grafici): su un totale di 8049 voti validi, solo il 51,77% dei lavoratori ha espresso il suo gradimento per una delle liste di Fim-Fiom-Uilm, mentre il restante 48,23% sceglie una lista diversa. Ove si confrontassero i risultati elettorali con quelli della tornata elettorale di tre anni fa, avremmo dei risultati molto diversi: allora i lavoratori avevano votato per oltre il 63% le confederazioni tradizionali e solo il 37% circa liste diverse.Questo significa che oltre il 12% dell’elettorato ha abbandonato Cgil-Cisl-Uil in soli tre anni.
Noi crediamo che questi risultati elettorali dimostrano, in modo non equivoco, che esiste un bisogno di pluralità sindacale, che non può essere ignorato, né modificato.
Per parte nostra chiediamo che su questi temi si apra un dibattito tra tutte le forze sindacali, le organizzazioni dei datori di lavoro, i partiti politici, gli esperti e gli intellettuali che si occupano della materia delle relazioni sindacali ed anche lo stesso Governo. Ma soprattutto ci aspettiamo che Cgil-Cisl-Uil mettano da parte le armi dell’arroganza e inizino a discutere di quello che nel Paese sta realmente avvenendo in materia di rappresentanza e rappresentatività. Non farlo sarebbe un errore grave di presunzione.