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Home - Approfondimenti - Analisi - La riforma può contribuire al rinnovo del contratto dei metalmeccanici

La riforma può contribuire al rinnovo del contratto dei metalmeccanici

22 Febbraio 2005
in Analisi

Giorgio Santini – Segretario confederale Cisl

La riforma degli assetti contrattuali, oggetto di discussioni non ancora concluse all’interno delle confederazioni sindacali e il rinnovo del contratto dei metalmeccanici hanno dei punti in comune o, più precisamente, sono destinati ad interagire nei prossimi mesi? E, in caso positivo, in che modo?
Le risposte a queste domande non sono scontate.
Va innanzitutto ricordato che le due questioni sono difficilmente comparabili, in quanto, nel caso dei metalmeccanici, si tratta di un semplice (?) rinnovo del biennio economico. Mentre nel caso della riforma degli assetti contrattuali l’obiettivo è di cambiare parti significative di quel modello che dal luglio 93 fino ad oggi ha regolato tutta la contrattazione collettiva in Italia.
Tuttavia, ci sono dei punti in comune. Più precisamente, il punto d’intreccio è dato dalla contrattazione decentrata e dallo scopo di una sua estensione in tutti i luoghi di lavoro.
L’obiettivo è comune, ma le strade scelte sono diverse.
Dal punto di vista della Cisl, la riforma della contrattazione punta ad un nuovo assetto che oltre al contratto nazionale garantisca una piena esigibilità alla contrattazione decentrata (aziendale o territoriale).
Sono cinque le motivazioni di questa scelta:
1) La constatazione ormai molto evidente che le trasformazioni che si sono determinate in questi anni, con una forte frammentazione nella struttura delle imprese, nelle organizzazioni dei rapporti industriali e commerciali, nella composizione della catena del valore, con estese forme di outsorcing, rendono l’attuale struttura contrattuale sempre più esterna al concreto dispiegarsi dei processi economici e sociali.
2) Le altrettanto forti trasformazioni avvenute nel mercato del lavoro con le stratificazioni di numerose tipologie di contratti e con la flessibilizzazione, spesso esasperata, del rapporto impresa/lavoro fortemente sbilanciata a sfavore dei lavoratori e della stabilizzazione dell’occupazione, rendono ancora più pressante l’esigenza di disporre di strumenti contrattuali più incisivi per tutelare e promuovere il lavoro in queste difficili situazioni.
3) In entrambi i casi, la direzione verso cui spingono le trasformazioni va dal centro alla periferia, dal grande al piccolo, dall’omogeneità alla differenziazione. Come confermato anche a livello istituzionale con le nuove competenze in campo economico e sociale attribuite dalla riforma del titolo V della Costituzione alle Regioni.
4) Altre motivazioni derivano dalla difficile congiuntura dell’industria in Italia e dalla necessità, per uscirne, di riposizionare il nostro apparato produttivo su livelli di qualità più elevata, recuperando competitività. Ciò comporta adeguate scelte di politica industriale, ma non potrà prescindere da azioni trasversali a tutte le imprese, da un lato per rilanciare la produttività delle aziende facendo leva su una variegata tastiera di strumenti e intrecciandole con relazioni sindacali a dimensione partecipativa, dall’altro per una diffusa azione di valorizzazione delle capacità professionali e conoscitive dei lavoratori, attraverso l’utilizzo sistematico della formazione continua.
Per realizzare ciò è necessario un motore che non può che essere la contrattazione decentrata che per le sue stesse caratteristiche di luogo e soggetti coinvolti può affrontare queste problematiche in modo molto più efficace ed incisivo rispetto alla contrattazione nazionale, che potrà al massimo delinearne il contesto generale.
5) Il tema della redistribuzione della produttività a livello decentrato può permettere una politica retributiva più orientata all’incremento del salario dei lavoratori e non solo alla semplice tutela del potere d’acquisto e soprattutto può farlo in modo non inflazionistico proprio perché ancorata a solidi parametri di produttività.
Essendo il recupero della produttività un obiettivo cruciale per il nostro sistema industriale e, quindi, di interesse nazionale, questa attitudine potrebbe essere sostenuta ed incentivata anche da quote di detassazione/decontribuzione (compensate dal bilancio pubblico) sugli aumenti salariali contrattati a titolo di produttività in sede decentrata.
Quindi, come si può vedere, le ragioni della riforma affondano le loro radici nel vivo delle necessità di innovazione e rilancio del sistema industriale e dell’esigenza di ridare una prospettiva alla contrattazione collettiva, altrimenti soggetta a rischio  continuo di erosione del suo perimetro attuativo.
La ratio della riforma della contrattazione porta anche a ritrovare l’equilibrio nei rapporti tra il contratto nazionale e la contrattazione decentrata.
Le funzioni vanno specializzate. La contrattazione nazionale, che dovrebbe essere anche opportunamente riaggregata in contratti collettivi di grande area o filiera, dovrebbe definire la tutela del potere di acquisto dei salari in rapporto all’inflazione prevedibile e, per la parte normativa, la disciplina generale delle più importanti materie quali diritti individuali e collettivi, orario di lavoro e ferie, inquadramenti professionali.
La contrattazione decentrata sul piano economico dovrà avere la funzione di redistribuire la produttività secondo parametri da negoziare tra le parti e sarà, poi, finalizzata alla gestione congiunta in sede aziendale delle diverse variabili riguardanti la prestazione lavorativa e la condizione dei lavoratori.
Per quanto riguarda la durata e la cadenza dei contratti, va evitata la sovrapposizione tra contrattazione nazionale e decentrata e quindi va superato il biennio economico, prevedendo un’unica arcata temporale (3/4 anni) del contratto nazionale, all’interno del quale si svolgerà la contrattazione decentrata (indicativamente a metà periodo).
Certezza e specializzazioni delle funzioni, non sovrapposizioni delle cadenze temporali, incentivazione pubblica sono tre condizioni importanti per rendere effettiva ed esigibile la contrattazione decentrata in tutti i luoghi di lavoro, superando così l’attuale situazione che vede interessato dalla contrattazione decentrata solo il 30% dei lavoratori.
Anche la piattaforma per il contratto dei metalmeccanici pone con estrema forza la questione di dare (finalmente!) una compiuta attuazione contrattuale all’estensione della contrattazione decentrata.
Non è una richiesta del tutto nuova. Fu presentata già nell’ultima tornata del rinnovo contrattuale nel 2003 ma non vi fu la disponibilità delle parti datoriali, contrarie persino a sperimentazioni delimitate e parziali.
Ora la richiesta viene riproposta dalla piattaforma in maniera, per così dire, rovesciata prevedendo cioè una quota salariale, definita dal CCNL, per le aziende che non hanno svolto o non svolgeranno la contrattazione decentrata.
Data la quantità delle richieste si presume che la ratio sia quella di costituire una prima base comune, una sorta di zoccolo minimo, al quale ancorare la contrattazione decentrata suscettibile di essere migliorato successivamente dall’esercizio autonomo della contrattazione stessa.
Se non fosse così, saremmo al paradosso che la richiesta, se accolta, anziché incentivare la contrattazione decentrata, avrebbe l’effetto contrario, quello di inibirla. Cioè, un non-senso.
E’ una scelta quella operata dalla piattaforma dei metalmeccanici che ha sollevato molte obiezioni anche sulle motivazioni, sulle funzioni e sull’esercizio della contrattazione decentrata. Secondo alcuni con la richiesta dei metalmeccanici avremo una sorta di produttività prestabilita ed omogenea per tutti, almeno nella sua base, e questo contrasterebbe con le forti differenziazioni in essere nel mondo del lavoro. Si pensi, per un attimo, alle tensioni che attraversano i settori esposti alla concorrenza internazionale rispetto alle prospettive meno turbolente dei settori concentrati sui mercati interni.
Nonostante tutte queste obiezioni, è, però, indubitabile che, pur in forma poco ortodossa, la piattaforma dei metalmeccanici pone con forza, su base generale, la questione di dotare i lavoratori italiani di un secondo livello di contrattazione nel proprio luogo di lavoro o territorio.
Al secondo interrogativo relativo alle possibili interazioni tra la riforma degli assetti contrattuali e la piattaforma dei metalmeccanici, la risposta è più problematica. Infatti nelle organizzazioni sindacali ed imprenditoriali prevale l’idea che il contratto dei metalmeccanici si debba concludere prima e a prescindere dalla riforma della contrattazione.
Questa posizione non è sbagliata. Anzi, se fosse concretamente e tempestivamente realizzabile rappresenterebbe un passo in avanti, giacché una delle obiezioni più forti alla riforma della contrattazione è sempre stata la possibile interferenza negativa con i contratti già (o ancora) aperti.
Ma forse le prospettive non sono così lineari.
Che accoglienza potrà trovare la piattaforma dei metalmeccanici lo dirà il negoziato che inizia in questi giorni.
Sono prevedibili molte difficoltà, accentuate dal fatto che sono saltati i parametri della politica dei redditi per responsabilità del Governo e con essi tutti i riferimenti rispetto all’inflazione programmata e quindi, giustamente, nella piattaforma viene considerata l’inflazione attuale. Questo è già un motivo di un probabile braccio di ferro tra le parti sulla richiesta retributiva, che potrebbe protrarsi anche nel tempo.
E’ uno scenario che nessuno nel sindacato, ovviamente si augura, ma che, stante le posizioni in campo non si può escludere e potrebbe portare, come in altre vertenze contrattuali, ad una lunga fase di stallo, di guerra di posizione, di progressivo logoramento della situazione, ulteriormente accentuata dalla oggettiva e pesante difficoltà in cui si trova, tra gli altri settori, anche l’industria metalmeccanica.
Se si dovesse entrare in una fase di stallo contrattuale, la situazione peggiorerebbe, aumenterebbe la conflittualità fino ad arrivare a tentativi di mediazione esterna del Ministero del Lavoro, che al momento, considerate le posizioni espresse da esponenti governativi, appare  di dubbia utilità ai fini di una soluzione.
Questo è un possibile esito, come si vede, molto nebuloso e incerto per un negoziato contrattuale difficile.
Potrebbe esserci, se entrambe le parti lo volessero, un altro percorso che, in caso la vertenza dei metalmeccanici ristagni, si ponesse il problema, a livello interconfederale, di come contribuire alla soluzione della vertenze e di rafforzare le ragioni delle federazioni dei metalmeccanici.
Un negoziato interconfederale distinto ma parallelo e finalizzato a  ridisegnare gli assetti contrattuali potrebbe fornire un prezioso contributo a risolvere alcune questioni, soprattutto quelle relative all’estensione della contrattazione decentrata.
Le soluzioni e le tecniche contrattuali possono essere molte e non è questo il momento di approfondirle, ma basti ricordare che, nelle varie proposte di riforma elaborate da tutte e tre le organizzazioni, la regolazione e l’estensione della contrattazione decentrata è un compito affidato al contratto nazionale.
Inoltre, la storia contrattuale italiana ci mette a disposizione esperienze contrattuali decentrate, esigibili per tutti i lavoratori, ad esempio nei settori delle costruzioni e dei lavoratori agricoli, funzionanti in virtù di parametri, criteri, a volte anche percentuali minime/massime, fissati dai rispettivi Ccnl. 
Tenendo conto, allora, di questi elementi oggettivi, comuni all’esperienza e all’elaborazione di Cgil, Cisl e Uil si vede come lo spazio per una riforma degli assetti esista realmente e come essa, se realizzata in tempi adeguati, potrebbe effettivamente contribuire anche alla risoluzione della vertenza contrattuale dei metalmeccanici.
Non è questo il motivo principale per fare la riforma, ma se nel suo realizzarsi essa potesse aiutare a risolvere i problemi contrattuali aperti, bene, questo può diventare uno stimolo in più per le confederazioni e le parti datoriali per fare buon uso del tempo e realizzare la riforma, magari entro il 23 luglio 2005.
Perché no?

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